Messa alla prova

Messa alla prova

1024 576 XVIII rapporto sulle condizioni di detenzione

Messa alla prova

In Italia, da alcuni anni, la giustizia di comunità è, numericamente, la risposta prevalente alla commissione di un reato. L’insieme di misure alternative alla detenzione (o meglio di sanzioni di comunità), largamente intese e dunque anche prima della condanna definitiva (fase pre-decisoria), come nel caso della sospensione del processo per messa alla prova è la risposta più ricorrente. Il numero di soggetti in carico per misure e sanzioni di comunità al 31 ottobre 2021 risulta essere 67.792, cui si aggiungono 45.134 soggetti in carico per indagini e consulenze. Si tratta di numeri maggiori, e non di poco, rispetto alle circa 55 mila persone detenute in carcere.

 

Un dato interessante riguarda la suddivisione per genere delle persone “messe alla prova”: le donne sono 3.909, gli uomini 19.979. Percentualmente significa che le donne sono il 19,5% del totale.

Delle oltre 67 mila persone in misure di comunità, il numero più consistente è proprio di coloro che sono stati “messi alla prova”. Nel 2021 infatti, si è arrivati a 23.888 persone, dunque il 50% della totalità delle persone in misura alternativa.
E la tendenza è quella di crescere ancora: nel 2014 erano appena 500 le persone a cui era stato sopseso il procedimento per “messa alla prova”, dopo quella data, l’entrata in vigore della riforma ha prodotto un deciso aumento che non ha subito flessioni, tranne che nel 2020, anno della pandemia. Il Covid-19 ha infatti prodotto un rallentamento anche dell’attività degli Uffici di Esecuzione penale esterna (che hanno il “governo” della messa alla prova, in termini di predisposizione dei programmi). Tale rallentamente ha “congelato” i numeri della messa alla prova che, tuttavia sono tornati a crescere con il diminuire dell’emergenza pandemica (+13% dal 2020 al 2021).
Un dato interessante riguarda la suddivisione per genere delle persone “messe alla prova”: le donne sono 3.909, gli uomini 19.979. Percentualmente significa che le donne sono il 19,5% del totale. Il che conferma la tendenza di una maggior frequenza di accesso delle donne alle sanzioni di comunità, rispetto alla carcerazione. In carcere infatti, le donne non hanno mia superato il 5% del totale della popolazione detenuta.
La situazione si “capovolge” se si analizza la nazionalità: le persone straniere in messa alla prova sono il 16% del totale, dunque circa la metà degli stranieri presenti in carcere.

Alla “messa alla prova” già decisa e attuata, vanno aggiunti le richieste “in fase istruttoria” (fase di indagine per messa alla prova): al 31 ottobre 2021 erano 24.108. Se si vanno a sommare ai fascicoli già decisi, si può affernare che la “messa alla prova” interessa 50 mila persone nel nostro Paese.
Questi dati vanno confrontati all’analisi dei fallimenti dei programmi di messa alla prova (tecnicamente, le revoche) pronunciate dai tribunali in caso di reiterati omissioni o violazioni dei programmi da parte delle persone in messa alla prova
Ebbene, il significativo aumento del numero di misure concesse nel corso degli anni è coinciso con un numero sempre molto contenuto e, per di più in costante ulteriore decremento, delle revoche. Le revoche, infatti, sono passate dal 2,9% nel 2017, al 2,1% nel 2018, all’1,6% nel 2019 e nel 2020.
Dunque su cento misure concesse, soltanto due falliscono, a conferma dell’utilità dello strumento.

Per il buon funzionamento della messa alla prova e soprattutto per ottimizzare i tempi di istruttoria, è fondamentale il dialogo con la magistratura. Nel caso della messa alla prova, essendo in fase pre-decisoria, ad essere coinvolta è la magistratura ordinaria (e non la sorveglianza). Nel 2021 sono 110 i tribunali italiani (su 165 del totale dei tribunali) ad aver stipulato “accordi” con gli Uffici per l’esecuzione penale esterna. La maggior parte degli ultimi protocolli sottoscritti vede il coinvolgimento, oltre agli uffici di esecuzione penale esterna, di ulteriori interlocutori qualificati, istituzionali e non, nell’intento di garantire la più ampia partecipazione della comunità, in una logica di costruzione di reti competenti ed allargate, in grado di assicurare l’offerta di un più ampio ventaglio di risorse per il raggiungimento degli obiettivi complessi che la messa alla prova si pone.
Nei tribunali di Reggio Calabria, Catanzaro, Roma, Cassino, La Spezia, Genova, Chiavari, Savona, Palermo, Termini Imerese, Enna, Caltanissetta, Gela,Trieste e Gorizia, Vercelli e Biella, sono stati istituiti veri e propri “Sportelli per la Messa alla Prova” con il compito di agevolare i contatti tra i vari soggetti coinvolti (comprese le difese degli imputati).
Sono poi fondamentali i rapporti tra autorità giurisdizionale e enti pubblici e privati disponibili ad accogliere persone in “messa alla prova” (o per svolgere lavori di pubblica utilità). Nel 2021 sono state 2.020 le persone il cui programma di messa alla prova prevedeva lo svolgimento di lavori di pubblica utilità in uno degli enti convenzionati. A livello centrale alle 8 convenzioni già in essere (Legambiente 2017, ENPA 2017, FAI 2018, US ACLI 2018, LILT 2018, CRI 2018, AFVS 2018, Istituto Don Calabria 2019), nel 2020 si sono aggiunte quelle stipulate con l’AVIS (27 ottobre 2020), la SOGIT (27 ottobre 2020), l’ANF (7 ottobre 2020) e, per ultimo nel 2021 con il Ministero della Cultura (5 novembre 2021); quest’ultima convenzione, la prima fra Ministeri, prevede lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità presso biblioteche (36 biblioteche per 70 posti), archivi di Stato (5 archivi per 10 posti) e musei (11 musei per 22 posti) sparsi sul territorio nazionale. Tutte le convenzioni nazionali rendono al momento disponibili ben 1.506 posti per lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità in favore della collettività.

Se aumenta il numero complessivo di “messe alla prova” aumenta anche la loro durata. Spetta al giudice infatti definire quanto debba durare il programma e, negli ultimi anni, si è assistito a decisioni che allungano la durata della messa alla prova.

Se aumenta il numero complessivo di “messe alla prova” aumenta anche la loro durata. Spetta al giudice infatti definire quanto debba durare il programma e, negli ultimi anni, si è assistito a decisioni che allungano la durata della messa alla prova.
Il 36% (6.580) va oltre i 365 giorni, il 30% (5.499) si mantiene entro il limite dei 365 giorni, il 15% (2.736) entro i 240 giorni, il 16% (2.896) entro i 180 giorni, il 3% (458) entro i 90 giorni e, infine, meno dell’1% (145) entro i 30 giorni.

In conclusione, se dovessimo individuare un profilo ricorrente delle persone messe alla prova, potremmo dire che si tratta in prevalenza di soggetti:
di giovane età (il 30% degli imputati ha un’età compresa fra i 30 e i 39 anni e il 24% fra i 18 e i 29 anni);
di sesso maschile (84%);
di cittadinanza italiana (84%);
imputato per violazione del codice della strada (30%, “solo” il 12,8% ha commesso reati contro la persona);
lavoratori dipendenti (23%);-
che deve svolgere lavori di pubblica utilità nei servizi socioassistenziali e sociosanitari (il 74% dei programmi di messa alla prova prevede proprio questa tipologia di attività da svolgere).