Sessualità ed affettività

La detenzione priva le persone non soltanto della libertà di movimento, ma anche di aspetti fondamentali della vita affettiva e sessuale. Per lungo tempo, il sistema penitenziario italiano ha considerato l’esercizio della sessualità in carcere come un tabù, una questione da eludere più che da normare, relegando la dimensione erotico-affettiva dei detenuti e delle detenute in una zona d’ombra non riconosciuta né garantita. Tuttavia, la sessualità – come espressione dell’identità, della dignità e della relazionalità umana – non si annulla con l’ingresso in carcere. Al contrario, il suo confinamento e la sua negazione sollevano interrogativi profondi sui limiti della pena e sui diritti che continuano a sussistere anche in condizioni di restrizione della libertà.

Negli ultimi anni, spinte provenienti dalla società civile, dalla magistratura di sorveglianza e dalla Corte Costituzionale hanno progressivamente incrinato questo silenzio istituzionale, riconoscendo che la sessualità e l’affettività non possono essere considerate un “privilegio” ma un diritto umano fondamentale, da tutelare anche all’interno delle mura penitenziarie. La recente sentenza n. 10/2024 1 della Consulta, che ha sancito l’illegittimità costituzionale del controllo visivo obbligatorio durante i colloqui con il partner, rappresenta un momento di svolta.

Il controllo visivo costante durante i colloqui viene così riconosciuto come un’interferenza sproporzionata e lesiva della dignità personale (art. 3 Cost.), della vita privata e familiare (art. 8 CEDU), nonché dei vincoli costituzionali relativi al rispetto dei diritti internazionali (art. 117 Cost.).

L’emanazione della circolare DAP dell’11 aprile 2025 sul tema: “Affettività e incontri intimi in carcere” rappresenta un primo, importante momento di svolta nel lungo e contraddittorio rapporto tra sistema penitenziario e diritti sessuali delle persone detenute. Per la prima volta, l’amministrazione penitenziaria italiana interviene in maniera esplicita e organica sul tema dell’affettività e degli incontri intimi, traducendo in prassi operative quanto affermato dalla sentenza n. 10/2024 della Corte costituzionale.

Tale circolare, rivolta a Provveditori, Direttori e Comandanti di Reparto, costituisce un primo tentativo di regolamentare, sia dal punto di vista amministrativo che logistico, l’effettiva realizzazione del diritto all’intimità relazionale e sessuale per i detenuti e le detenute. Se da un lato essa segna una rottura importante con il passato — segnato da un’assenza normativa pressoché totale e da una prassi repressiva —, dall’altro evidenzia anche le molteplici difficoltà materiali, burocratiche e culturali che ancora ostacolano la piena esigibilità del diritto alla sessualità in carcere.

La circolare cerca di tradurre i principi giuridici in linee guida operative, definendo destinatari, criteri, modalità organizzative e casi di esclusione. Destinatari del diritto sono i detenuti e le detenute con legami affettivi riconosciuti, stimati in circa 16.912 persone. L’accesso ai colloqui intimi viene stabilito in funzione della verifica del legame affettivo — semplificata nei casi di matrimonio o unione civile — e con alcune priorità d’accesso, come nel caso di detenuti con pene lunghe o senza accesso ad altri benefici.

Il colloquio, secondo quanto si evince dalla circolare, avverrà senza controllo visivo diretto, in locali appositi, della durata massima di due ore. Il personale sarà presente solo all’esterno, con possibilità di videosorveglianza limitata e solo in termini di presidio logistico. Saranno predisposte misure igieniche e di sicurezza, inclusi controlli degli effetti personali e delle lenzuola portate da fuori, nonché la pulizia dei locali a carico di detenuti lavoranti.

L’esclusione automatica per i detenuti in 41-bis o 14-bis, l’obbligo del nulla osta da parte dell’autorità giudiziaria per chi è in attesa di giudizio o in posizione mista, e una lunga serie di valutazioni discrezionali affidate alle direzioni penitenziarie e alle autorità competenti.

Se la circolare appare innovativa sotto molti aspetti, è altrettanto vero che essa introduce una serie articolata di cause di esclusione e filtri valutativi, che rischiano di rendere l’accesso ai colloqui intimi una possibilità riservata a pochi. Tra queste: l’esclusione automatica per i detenuti in 41-bis o 14-bis, l’obbligo del nulla osta da parte dell’autorità giudiziaria per chi è in attesa di giudizio o in posizione mista, e una lunga serie di valutazioni discrezionali affidate alle direzioni penitenziarie e alle autorità competenti.

Le condizioni soggettive (condanne per reati gravi, problemi disciplinari, affiliazioni a circuiti di Alta sicurezza o collaborazione con la giustizia) vengono considerate fattori che possono precludere, o ritardare anche di mesi, l’accesso al colloquio. La valutazione dei comportamenti pregressi del detenuto, i pareri dell’equipe multidisciplinare e persino le consultazioni con le forze dell’ordine introducono elementi di controllo e selezione fortemente discrezionali, che rischiano di svuotare il riconoscimento del diritto a una sessualità piena e libera.

L’emanazione della circolare DAP del 2025 si inserisce in un contesto giuridico e sociale segnato dalle ripetute e crescenti sollecitazioni da parte dei magistrati di sorveglianza italiani. In particolare, diverse ordinanze hanno accolto i reclami ex art. 35-bis O.P., presentati da detenuti che, a più riprese, hanno chiesto il riconoscimento del proprio diritto alla sfera affettiva e sessuale.

In particolare, a Terni, un detenuto in regime di Alta Sicurezza ha ottenuto il diritto a colloqui intimi con la moglie, obbligando l’amministrazione penitenziaria a creare spazi adeguati. Anche a Parma, un altro detenuto ha visto accolta la sua richiesta di colloqui riservati con la moglie.

Magistrato di Sorveglianza di Verona, che – nell’esprimersi favorevolmente alla richiesta di un detenuto di avere rapporti intimi intra-murari con la compagna -, ha definito la limitazione dell’affettività come una “pena accessoria anacronistica”.

Un’altra voce importante a levarsi è stata quella del Magistrato di Sorveglianza di Verona, che – nell’esprimersi favorevolmente alla richiesta di un detenuto di avere rapporti intimi intra-murari con la compagna -, ha definito la limitazione dell’affettività come una “pena accessoria anacronistica”.

L’Associazione Antigone, nel 2023, aveva preso parte al processo che ha portato alla pronuncia della Corte Costituzionale sulla sessualità in carcere in qualità di amicus curiae. In questo contesto, uno dei punti cardine che avevamo sollevato è stato che il diritto alla sessualità non può essere trattato come un privilegio o una valutazione discrezionale basata su condizioni premiali, come ad esempio la concessione di permessi premio. In questo contesto, Antigone ha fatto riferimento agli articoli 15 e 28 O.P., che considerano le relazioni affettive come elementi positivi del trattamento detentivo, finalizzati al reinserimento sociale del detenuto, come previsto dal terzo comma dell’art. 27 Costituzione.

Nella medesima sede, era stato sottolineato come il diritto alla sessualità non possa essere limitato o negato sulla base di una presunta sicurezza, in particolare considerando che tale tipo di permessi non è applicabile nemmeno nei confronti dei detenuti in attesa di giudizio definitivo – una porzione consistente della popolazione carceraria, pari a poco meno di un terzo degli attuali detenuti.

A distanza di due anni, nonostante gli innegabili passi avanti nel campo dell’affettività e della sessualità in carcere, le perplessità sollevate da Antigone in quella sede continuano a essere attuali. Infatti, la formula contenuta nella circolare del DAP appare ancora troppo segnata dall’arbitrarietà, con il rischio che il godimento di questo diritto fondamentale venga trattato (ancora una volta) come una concessione premiale. Dunque, nonostante la circolare riconosca il diritto a colloqui intimi e affettivi, la sua fruizione resta subordinata a criteri vaghi e a un’interpretazione che può variare ampiamente, mettendo in discussione la garanzia universale di un diritto che, come dimostrato dalle pronunce della Corte Costituzionale e dai principi costituzionali, non dovrebbe essere trattato come una “ricompensa” ma come un diritto inalienabile. Inoltre, non può essere considerato un diritto se, come previsto dalla stessa circolare, non viene concesso a chi si trova a regimi speciali, come il 41-bis, il che di fatto ne limita l’accesso a una vasta parte della popolazione detenuta.

Il contesto di sovraffollamento endemico che caratterizza le carceri italiane rende difficile, se non impossibile, garantire l’adeguatezza degli spazi per le esigenze di intimità dei detenuti.

Inoltre, l’invito a dotarsi di spazi appositi per i colloqui intimi sembra essere una misura che, sebbene possa apparire come una soluzione utile, rischia di scontrarsi con la realtà del sistema carcerario italiano. Il contesto di sovraffollamento endemico che caratterizza le carceri italiane rende difficile, se non impossibile, garantire l’adeguatezza degli spazi per le esigenze di intimità dei detenuti. Non solo, ma i fondi recentemente stanziati dal Commissario Straordinario Doglio, destinati a migliorare la situazione dell’edilizia penitenziaria, non sono stati in alcun modo orientati alla costruzione di spazi dedicati a questa attività. Ciò porta a una situazione paradossale, dove si invita l’Amministrazione penitenziaria a dotarsi di spazi adeguati senza però mettere in campo risorse concrete per farlo.

Osservatori romani di Antigone: la scarsità di personale di scorta. In molte strutture, la mancanza di personale e le difficoltà logistiche sono così gravi che nemmeno i detenuti che necessitano di visite mediche urgenti o interventi salva-vita possono essere accompagnati nei presidi sanitari esterni. E se già questo rappresenta un problema grave, appare evidente che la possibilità di organizzare colloqui intimi tra detenuti e familiari da un istituto penitenziario all’altro risulterà praticamente impossibile senza un adeguato numero di scorte, personale formato e spazi idonei.

  1. Per la pronuncia della Corte costituzionale vedere qui