di Sofia Antonelli e Elia De Caro
Nel 2024, le richieste sono state precisamente 516. Complessivamente, negli ultimi 5 anni, sono state 2612.
Dal 2020 il Difensore Civico di Antigone gestisce ormai ogni anno circa 500 richieste di supporto relative a persone private della libertà personale. Nel 2024, le richieste sono state precisamente 516. Complessivamente, negli ultimi 5 anni, sono state 2612.
Si tratta di un numero importante, inimmaginabile fino a qualche tempo fa. Prima della pandemia ci si aggirava solitamente tra le 100 e le 200 richieste l’anno poi, con l’emergenza sanitaria, molte cose sono cambiate. Da un giorno all’altro, è anzitutto cambiato il numero di richieste d’aiuto rivolte all’ufficio di Antigone. Il carcere, come il resto del mondo, affrontava in quei mesi una situazione senza precedenti, fatta di confusione, chiusure, sospensione dei colloqui, ansia per i propri cari. Per poter affrontare l’emergenza, il Difensore Civico è stato costretto a cambiare le sue modalità di lavoro, diventando quasi interamente online. Questo cambiamento, mantenuto anche con il ritorno alla normalità, ha consentito a un maggior numero di persone di prendere parte alle sue attività da tutto il territorio nazionale. Solo così si è riusciti a garantire che ogni singola richiesta d’aiuto si trasformasse in una presa in carico, rapida ed effettiva, del caso.
Sono oggi più di 70 le volontarie e i volontari che contribuiscono, in forma totalmente gratuita, all’operato del Difensore Civico di Antigone. Un gruppo di lavoro altamente qualificato, composto principalmente da giuristi e professionisti sanitari. Le dimensioni e le capacità del gruppo hanno consentito di continuare a gestire una mole di casi elevata, rimasta tale nonostante la fine della pandemia. Diversamente da quanto ci si poteva aspettare, il numero di richieste non è infatti diminuito, oscillando di anno in anno, ma rimanendo sempre intorno alle 500. Di queste, la maggior parte sono casi nuovi (352 nel 2024), il resto aggiornamenti di questioni già seguite (164 nel 2024).
Sovraffollamento, suicidi e una popolazione detenuta sempre più frutto delle marginalità sociali. Queste le principali emergenze del carcere di oggi, che ritroviamo chiaramente – in maniera diretta e trasversale – in tutte le attività svolte dal Difensore Civico, nell’anno passato e in quello in corso.
Le centinaia di richieste provenienti da tutta Italia rendono il Difensore Civico uno strumento in grado di raccontare il carcere contemporaneo, dalle questioni che da sempre lo caratterizzano, alle quelle di maggiore attualità. Se il 2020 e il 2021 parlavano principalmente di emergenza sanitaria, gli anni successivi ci raccontano le nuove emergenze in corso e le conseguenze che hanno avuto, e che continuano ad avere, su vari aspetti della detenzione. Sovraffollamento, suicidi e una popolazione detenuta sempre più frutto delle marginalità sociali. Queste le principali emergenze del carcere di oggi, che ritroviamo chiaramente – in maniera diretta e trasversale – in tutte le attività svolte dal Difensore Civico, nell’anno passato e in quello in corso.
Nel 2024, le richieste di supporto relative ai trasferimenti sono state in tutto 71, ossia il 20% dei nuovi casi gestiti dal Difensore Civico nel corso dell’anno.
Al primo posto tra le problematiche gestite abbiamo, ormai stabili negli ultimi tre anni, le questioni legate ai trasferimenti in altri Istituti penitenziari. Quella del trasferimento è di per sé una procedura complessa, che coinvolge più uffici (l’Istituto di partenza, quello di destinazione, l’amministrazione penitenziaria a livello centrale o regionale) e dipende da circostanze variabili. Bloccati a lungo a causa del Covid, i trasferimenti tra Istituti sono oggi resi ancora più complessi a fronte di carceri sempre più piene. In molti Istituti – se non addirittura in interi provveditorati – è ormai quasi inutile far richiesta, tanto si sa già che la risposta sarà negativa per mancanza di posto. E’ ad esempio quanto successo in un caso gestito lo scorso giugno, nel quale un signore detenuto a Vigevano chiedeva di essere trasferito in un qualsiasi istituto pugliese, in considerazione della grande distanza (888 km) con il luogo di residenza del nucleo familiare. Questa distanza rendeva difficoltoso il mantenimento dei rapporti familiari non essendo i congiunti nelle condizioni né economiche, né tantomeno sanitarie, per poter affrontare frequentemente un viaggio di quella portata. Ad un nostro sollecito, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha messo nero su bianco l’impossibilità di accolgere la richiesta a causa dell’elevato sovraffollamento nell’intera regione Puglia, la più sovraffollata d’Italia (tasso di affollamento del 170% considerati i posti effettivamente disponibili). La nota del Dap recita “il mancato accoglimento delle sue istanze di trasferimento per gli istituti penitenziari della Puglia stante l’elevato rapporto presenza/capienza che caratterizza gli istituti penitenziari pugliesi che ha determinato altresì il trasferimento di un congruo numero di detenuti dal distretto Puglia – Basilicata”. Questa risposta non solo racconta il frequente rigetto di trasferimenti per motivi familiari, ma la sempre più diffusa pratica dei cosiddetti “sfollamenti”, ossia improvvisi spostamenti di persone da un carcere a un altro dettati dalla necessità di creare spazio. Sempre più persone ci contattano perché trasferite, senza alcun preavviso, in un altro Istituto penitenziario, vedendosi sradicare non solo dai propri familiari, ma anche dai percorsi avviati all’interno dell’Istituto, spesso frutto di un lungo impegno anche da parte del personale coinvolto. Nel 2024, le richieste di supporto relative ai trasferimenti sono state in tutto 71, ossia il 20% dei nuovi casi gestiti dal Difensore Civico nel corso dell’anno.
Seguono le richieste di supporto per ragioni sanitarie, 58 in totale.
Seguono le richieste di supporto per ragioni sanitarie, 58 in totale. La maggior parte di queste richieste riguardano la difficoltà ad accedere a visite specialistiche, spesso rinviate per la mancanza dei servizi di scorta necessari per accompagnare la persona presso presidi sanitari esterni. Segnalazioni di questo tipo arrivano da tutto il territorio italiano, trattandosi di una circostanza comune alla maggior parte degli Istituti di media e grande dimensione. Altre questioni riguardano il mancato accesso a medicinali, macchinari o regimi alimentari specifici. Il carcere non è il luogo adatto per curare molte patologie, che in molti casi durante la detenzione registrano significativi aggravamenti. E’ il caso ad esempio di un signore detenuto in una Casa di reclusione siciliana, seguito dal Difensore Civico da diversi anni. A settembre 2024 ci scrive dicendo di aver richiesto di andare in una struttura sanitaria perché soffre di un tumore alla cavità orale, senza che la sua richiesta fosse però mai stata accolta. Afferma che in carcere sono a conoscenza del suo quadro clinico fortemente compromesso, ma che comunque non riesce ad accedere alle visite necessarie. In due mesi il tumore è aumentato di dimensione, tanto che il dentista dell’Istituto lo ha avvisato che, se non operato, il tumore avrebbe potuto espandersi fino al cervello, compromettendo anche la vista. Per questo motivo, il dentista ha più volte provato a sollecitare l’Amministrazione penitenziaria affinché il signore venisse operato, anche lui senza ottenere riscontro. Tramite un’interlocuzione con il Garante Regionale abbiamo poi appreso che, dopo numerosi solleciti, nel mese di marzo il signore ha effettuato la biopsia necessaria per valutare eventuali operazioni.
Al terzo posto, con 42 casi, si colloca una voce negli anni scorsi lontana dal podio, ossia quella relativa alle condizioni di detenzione.
Al terzo posto, con 42 casi, si colloca una voce negli anni scorsi lontana dal podio, ossia quella relativa alle condizioni di detenzione. Questo ovviamente non perché non fosse un tema centrale anche nel passato, ma perché all’ordinaria amministrazione nell’ultimo biennio si sono aggiunte circostanze legate al costante aumento della popolazione detenuta e alla maggiore chiusura degli spazi detentivi. Circostanze che, sommandosi a strutture penitenziari sempre più fatiscenti, hanno inevitabilmente inciso sulle condizioni di vita in carcere. Si riscontrano pertanto maggiori situazioni di criticità e in generale un clima più teso negli Istituti. Così racconta un uomo detenuto in un carcere abruzzese “Qui stiamo nel vero sovraffollamento, le celle da 4 persone sono diventate da 7 e così ancora di più gli spazi vengono meno. Così la puzza del sovraffollamento macchia quella che è la dignità dell’essere umano. L’istituto rimane senza acqua ogni tre per due e così arriviamo sempre di più nel degrado fatiscente. Ho una cella in pessime condizioni, figuratevi che da quando sono entrato qua ci sono i vetri rotti. Per non parlare delle altre celle che sono senza luce. Per non parlare del risveglio del mattino, che una persona per andare in bagno deve prendere il numeretto, ossia deve attendere la fila che è una cosa mostruosa. Questo fa arrivare i dissapori con le stesse persone che ci coabitano. Andiamo sempre di più nel degrado. I lavori per i detenuti sono sempre più pochi e non tutti si possono permettere ad avere una vita da detenuto. E’ come essere un senza tetto. Sono in sciopero pacifista della fame e a breve anche in sciopero degli psicofarmaci. Faccio questo per farmi ricevere dalla mia educatrice. Sono qui da un anno e due mesi e dopo il colloquio d’ingresso, l’ho vista solo una volta dopo 6 mesi. Qui per ottenere qualcosa deve succedere sempre una cosa. Si tratta di una disumana situazione affinché una persona viene portata all’estremo e lì poi succede la bomba. Qui si va al collasso e le persone che non reggono questo sistema esplodono e così incominciano i tafferugli. Inizia così la cosa e poi a mano a mano si dilaga, facendo cose che non vanno bene a nessuno”.
La crescente disumanizzazione degli ambienti penitenziari viene anche favorita dalla circolare sulla media sicurezza e dalla proliferazione di reparti disciplinari, i cd reparti ex 32 OP, che si tramutano in una sorta di isolamento collettivo ove tutti i ristretti in tali sezioni sono esclusi temporaneamente, ma per un lungo periodo che può durare fino a sei mesi, da molte delle attività ricreative, formative e culturali degli istituti. In tali reparti le ore esterne alle camere di pernottamento sono poche, se non del tutto assenti. Le tensioni diventano esplosive a causa dell’ulteriore compressione di spazi e delle attività che le persone detenute possono svolgere.
Altro dato tragicamente in crescita è quello relativo ai casi catalogati come “questioni di sicurezza”, ossia le situazioni nelle quali si teme per l’incolumità della persona, soprattutto in relazione ad un presunto rischio suicidario.
Altro dato tragicamente in crescita è quello relativo ai casi catalogati come “questioni di sicurezza”, ossia le situazioni nelle quali si teme per l’incolumità della persona, soprattutto in relazione ad un presunto rischio suicidario. Nel 2024 sono state 14 le situazioni di questo tipo prese in carico dal Difensore Civico, nella maggior parte dei casi segnalate da parenti che chiedono un aiuto, spesso disperato, perché terrorizzati per la vita dei propri cari. “Salve, sono la mamma di un ragazzo di 33 anni ..mio figlio è stato arrestato per furto e rapina, ha commesso questi reati perchè era un tossicodipendente da crack e nessuno mai è riuscito ad aiutarlo nonostante lui volesse farsi aiutare i tempi erano lunghissimi, e più passava il tempo più diventava peggio. Dopo una protesta è stato trasferito e messo in isolamento senza nemmeno lenzuola ma con dei fogli di rotolo,senza nulla né vestiti, privo di acqua in cella…viene sedato tutti i giorni infatti siamo andati a trovarlo ed è sceso in condizione proprio umilianti non avevo mai sentito quella brutta puzza su mio figlio e per lo più non riesce nemmeno a guardare negli occhi perché i suoi occhi non sono più giusti ma ha le pupille all’insù non capisco cosa gli sta succedendo….ha già provato a togliersi la vita la scorsa settimana. Abbiamo tanta paura, è padre di 2 piccoli bambini e non posso dire ai miei nipoti che papà non c’è più perché in carcere nel 2024 si vive così e si è trattati come gli animali…mio figlio non può essere trattato in questo modo solo perché è caduto nella droga e ha sbagliato per essa…vi imploro di aiutarmi a fare qualcosa….vi prego sono una mamma disperata. Aiutatemi…”
Altre volte è la persona stessa a contattarci. A marzo 2024 un uomo detenuto in un carcere del sud Italia scriveva “Sono stato trasferito qui per aver tentato il suicidio nel precedente carcere due volte nell’arco di pochi giorni. Sono stato trasferito ancora più lontano dalla mia famiglia. Veramente chiedo un aiuto per ottenere un avvicinamento colloqui permanente [..] Sono 6 mesi che non vedo mia figlia per motivi economici e sto male e depresso. Vi chiedo di aiutarmi e di far sì che possa riabbracciare mia figlia. Anche essendo ergastolano ho il diritto di vivermi la mia famiglia anche nei colloqui visivi..”. Successivamente ci ha comunicato di aver intrapreso uno sciopero della fame, oltre a minacciare nuovamente di togliersi la vita.
Negli anni la collaborazione tra il Difensore Civico e la rete dei Garanti territoriali è andata via via aumentando. Nel 2024 sono state 53 le segnalazioni trasmesse ai loro uffici.
Ogni volta che riceviamo comunicazioni di questo tenore, il nostro ufficio si attiva con urgenza segnalando la situazione nel giro di poche ore, in modo da attenzionare e mettere in sicurezza la persona. Primi destinatari di queste segnalazioni sono i Garanti dei diritti delle persone private della libertà che, grazie a relazioni costanti con i luoghi di detenzione ed ad un potere di accesso immediato, possono intervenire in maniera rapida e diretta. Negli anni la collaborazione tra il Difensore Civico e la rete dei Garanti territoriali è andata via via aumentando. Nel 2024 sono state 53 le segnalazioni trasmesse ai loro uffici. Di queste, 18 hanno riguardato questioni sanitarie, 15 rischi suicidari, 10 condizioni di detenzione, 5 presunti maltrattamenti e abusi e 5 altre questioni. Nel 2023 le segnalazioni erano state in totale 43, nel 2022 erano state 38 e nel 2021 soltanto 12.
Rafforzare la collaborazione tra Difensore Civico e Garanti è fondamentale ambo i lati. Da una parte consente ai Garanti di intercettare situazioni a volte sconosciute, dall’altra permette al Difensore Civico di arrivare dove altrimenti non arriverebbe, non disponendo ovviamente degli stessi poteri di intervento riconosciuti agli organismi di garanzia. Nonostante la presenza di una fitta rete di Garanti, il Difensore Civico continua a rappresentare un efficace strumento di supporto a livello nazionale. Ciò non solo per la sua funzione di tramite, ma per la conformazione stessa dell’organismo, interno ad un’associazione di terzo settore e quindi svincolato da procedure che in alcuni casi rendono le azioni più complesse. La natura informale, le modalità di lavoro snelle e le costanti comunicazioni con detenuti e familiari, consentono al Difensore Civico di fornire un’assistenza rapida, senza rimetterci in termini di contenuti, garantiti dal gruppo di volontari esperti e da ormai lunghi anni di operato. Il potersi inoltre avvalere degli strumenti di ricerca dell’associazione (dati dalla costante attività dell’osservatorio, dagli approfondimenti della rivista e del rapporto), oltre che dalla rete di sportelli in carcere e i diversi legami con altri enti del terzo settore, costituisce una forma di primo riscontro e verifica su quanto ci viene segnalato.
Fondamentale è anche l’attività di segnalazione e sollecito nei confronti dell’amministrazione penitenziaria, alla quale nel 2024 il Difensore Civico ha trasmesso in totale 21 comunicazioni.
Fondamentale è anche l’attività di segnalazione e sollecito nei confronti dell’amministrazione penitenziaria, alla quale nel 2024 il Difensore Civico ha trasmesso in totale 21 comunicazioni. Nella maggior parte dei casi (12) si è trattato di solleciti, indirizzati ai Provveditorati regionali o alla Direzione Generale detenuti e trattamento, relativi a richieste di trasferimento per le quali la persona detenuta non aveva ricevuto riscontro, atto teoricamente dovuto entro 60 giorni. Ovviamente l’amministrazione non è in alcun modo obbligata a dar riscontro al nostro ufficio, ciò tuttavia avviene in maniera sempre più frequente, probabilmente in considerazione dell’ormai consolidata attività e dei frequenti scambi susseguitisi nel corso degli anni. Dei 12 solleciti presentati, la metà ha ricevuto risposta. Altre circostanze richiedono invece segnalazioni rivolte alle Direzioni o ad altre figure professionali dei singoli Istituti penitenziari, per attenzionare questioni di loro competenza. Sono state 7 le segnalazioni di questo tipo, di cui due per rischio suicidario, due per una richiesta legata alle condizioni di detenzione, una per presunti abusi avvenuti all’interno del carcere e una per questioni di natura burocratica. Infine, 2 segnalazioni sono state trasmesse ai massimi vertici dell’amministrazione, ossia al Capo Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e al Dipartimento di Giustizia Minorile e di Comunità. Il primo caso riguardava tre situazioni particolarmente critiche rilevate all’interno di due Istituti penitenziari calabresi durante le visite di monitoraggio svolte dall’Osservatorio di Antigone. In un’unica segnalazione si comunicava, al Capo dipartimento, la presenza di un uomo in isolamento da un mese e mezzo in una cella senza riscaldamento e acqua calda; di un uomo straniero affetto da problematiche di natura psichiatrica incompatibile con la vita in sezione e dunque collocato in una cella priva di arredi, senza termosifone, né branda o materasso, visto giacere sul pavimento avvolto in una coperta e vestito dei soli indumenti intimi; e di un uomo, anch’esso straniero e affetto da problematiche psichiatriche, autore di comportamenti violenti e autolesivi, nei confronti del quale in un mese e mezzo erano stati disposti tre TSO. La seconda segnalazione è stata invece trasmessa al Dipartimento di Giustizia Minorile, in quanto relativa ad un minore straniero non accompagnato trasferito dal Beccaria di Milano a un IPM del sud Italia. La sua tutrice volontaria segnalava al nostro ufficio come tale situazione fosse stata altamente dolorosa per il ragazzo, separandolo da lei e da un parente, ossia i suoi unici contatti in Italia. Come spesso accade, il trasferimento era avvenuto senza preavviso né comunicazione, tanto che il ragazzo non aveva potuto neanche portare con sé le sue cose. Alla nostra richiesta di chiarimenti, il Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità ha risposto che il trasferimento era stato disposto “per motivi di sovraffollamento”. Era la prima volta che il Difensore Civico riceveva un caso relativo a un minore detenuto, altro segno dei tempi che corrono e delle crescenti emergenze in corso nel sistema di giustizia minorile che conosce, per la prima volta dall’introduzione nell’ordinamento minorile del 1988, una situazione di sovraffollamento negli Istituti penitenziari e un’enorme crescita dei minori assoggettati a forme di controllo penale.
Nel corso del 2024, il Difensore Civico ha intrapreso complessivamente 495 azioni in uscita.
Nel corso del 2024, il Difensore Civico ha intrapreso complessivamente 495 azioni in uscita, ossia interventi di vario genere in risposta alle 516 richieste di supporto ricevute. La maggior parte di questi interventi consistono in comunicazioni con le persone detenute, i loro familiari e legali, sotto forma di lettere, email e telefonate. Sono stati 397 gli scambi di questo tipo. Seguono le attività di tramite e sollecito svolta con i Garanti (53) e con l’amministrazione penitenziaria (21). A questa si aggiunge il lavoro di predisposizione di specifica modulistica penitenziaria con 19 atti in totale, quali istanze di trasferimento e istanze relative a misure alternativi o benefici penitenziari (14) e reclami/ricorsi (5). In tre occasioni sono state trasmesse segnalazione ad aree sanitarie di Istituti penitenziari e in un caso è stata contattata un’amministrazione comunale.
Nel 2024 sono stati sette i casi trasmessi al gruppo del contenzioso. Tra questi, quattro si sono tramutati in esposti presentati in procura a nome di Antigone.
Oltre a sollecitare interventi e ad attenzionare criticità all’esterno dell’associazione, in casi particolarmente delicati, relativi a presunte abusi e violenze in carcere, il Difensore Civico fa da tramite con l’area di lavoro interna ad Antigone impegnata nelle attività di contenzioso. Nel 2024 sono stati sette i casi trasmessi al gruppo del contenzioso. Tra questi, quattro si sono tramutati in esposti presentati in procura a nome di Antigone. Senza scendere nei dettagli, trattandosi di fatti ancora sotto indagine, tre riguardano presunte violenze commesse ai danni di persone detenute. ll quarto riguarda il decesso di un giovane ragazzo. I familiari, nutrendo diversi dubbi sulla dinamica della vicenda, hanno sporto denuncia e si sono poi rivolti ad Antigone. Il ragazzo soffriva di problemi psichiatrici e aveva un trascorso di tossicodipendenza. Pare avesse girato numerose carceri da quando era piccolo. Si trovava nell’Istituto dove è morto da circa due settimane ma, fino alla comunicazione del decesso, né la madre né l’avvocato erano a conoscenza del trasferimento.
Come abbiamo visto, le richieste al Difensore Civico provengono da persone diverse. In percentuale, la maggior parte di coloro che entrano in contatto con il nostro ufficio sono persone direttamente interessate da un percorso di esecuzione penale (il 48,3%). Tra queste, in primis persone detenute (138), alle quali si aggiungono persone in misura alternativa alla detenzione (18), in misura di sicurezza, in misura cautelare esterna (9) e anche persone tornate in libertà ma con ancora questioni da risolvere legate al loro percorso detentivo (5). Seguono i familiari (139) e altre terze persone (10), che complessivamente rappresentano il 42,3%. Interessante notare come la stragrande maggioranza di queste siano donne. Mogli, compagne, madri, figlie, cugine e nipoti che si rivolgono quotidianamento al nostro ufficio per cercare aiuto per un loro caro detenuto. Il restante 9,3% di chi ci contatta è composto da professionisti che, a vario titolo, supportano la persona detenuta. Tra questi soprattutto operatori del terzo settore (19) e avvocati (12).
Mentre sono la maggioranza di chi cerca aiuto per altri, le donne rappresentano una piccola percentuale tra coloro che assistiamo in quanto dirette interessate. Dei 352 casi nuovi seguiti dall’inizio dell’anno, solo 20 riguardavano donne detenute, il 5,7%, più o meno in linea con la percentuale della popolazione detenuta femminile a livello nazionale.
Nel 2024 abbiamo fornito supporto a persone detenute in 107 Istituti penitenziari diversi.
Complessivamente nel 2024 abbiamo fornito supporto a persone detenute in 107 Istituti penitenziari diversi, di cui due carceri minorili e due carceri straniere. Questa capillarità è sintomo di una conoscenza sempre più diffusa e di una fiducia sempre più profonda nel lavoro svolto, da più di quindici anni, da tutti i volontari e le volontarie del Difensore Civico di Antigone.