Minori

Sono 597 (di cui 26 ragazze) alla fine del marzo 2025 i giovani detenuti nelle carceri minorili italiane. Ben 9 Istituti Penali per Minorenni sui 17 presenti sul territorio nazionale soffrono di sovraffollamento, mai registrato nelle carceri minorili prima del Decreto Caivano del settembre 2023 che ha ampliato la possibilità di applicazione della custodia cautelare per i minorenni e ridotto l’uso delle alternative al carcere. A Treviso si sfiora il doppio delle presenze rispetto ai posti disponibili, il Beccaria di Milano e l’Ipm di Quartucciu a Cagliari hanno un tasso di affollamento del 150%, Firenze supera il 147%.

Un carcere minorile imprigionato in un carcere per adulti.

La soluzione trovata dal governo è inedita e inaudita: la trasformazione in Ipm di una sezione del carcere bolognese per adulti della Dozza, transitata nelle scorse settimane sotto la gestione del Dipartimento Giustizia Minorile e di Comunità con un atto amministrativo, atto che non ne muta tuttavia le caratteristiche strutturali. Un carcere minorile imprigionato in un carcere per adulti, i cui 50 posti ospitano al 31 marzo i primi 12 ragazzi maggiorenni provenienti dal circuito minorile e qui forzatamente trasferiti. Ai ragazzi coinvolti non sono state fornite spiegazioni rispetto a quanto andava loro accadendo, ai tempi e alle modalità della permanenza, ai criteri della selezione. La nuova destinazione di questa sezione rompe in maniera plastica il principio internazionalmente riconosciuto della netta distinzione che sempre deve esserci tra la risposta penale destinata agli adulti e quella destinata ai ragazzi. In vista dei primi trasferimenti, molte sono state le voci che si sono levate contro la scelta operata, dai garanti territoriali dei diritti dei detenuti a molte associazioni cittadine e nazionali.

È stato proprio il tentativo di impedire il trasferimento verso tale reparto di un compagno neo-maggiorenne alla base della protesta cui hanno preso parte alcuni giovani detenuti nel carcere minorile del Pratello a Bologna tra il 18 e il 19 aprile scorsi. Nonostante abbia coinvolto solo pochi ragazzi, la circostanza ha tuttavia visto l’intervento di poliziotti in tenuta antisommossa e perfino del Gio, il Gruppo di Intervento Operativo della polizia penitenziaria, reparto specializzato istituito nel maggio 2024 per intervenire in caso di gravi disordini interni. La protesta era iniziata con il rifiuto di rientrare in cella all’orario prestabilito, cosa che da sola sarebbe stata sufficiente a configurare il nuovo reato di rivolta penitenziaria introdotto dal cosiddetto Decreto-Legge Sicurezza, punito con pene elevatissime ed effettivamente contestato ai ragazzi.

Molte le proteste che hanno avuto luogo nelle carceri minorili nel corso dell’ultimo anno, a causa delle degradate condizioni di vita interna.

Molte le proteste che hanno avuto luogo nelle carceri minorili nel corso dell’ultimo anno, a causa delle degradate condizioni di vita interna, del sovraffollamento che costringe a dormire su materassi a terra, dell’assenza di attività interne, della permanenza in cella spesso quasi per l’intera giornata, della mancanza di percorsi individualizzati di reintegrazione sociale. Tra gli istituti più colpiti vi sono sicuramente l’Ipm milanese intitolato a Cesare Beccaria, attualmente teatro di un’inchiesta per gravi violenze reiterate contro i ragazzi reclusi, e l’Ipm romano di Casal del Marmo. Le proteste dei ragazzi non hanno portato all’ascolto e all’apertura di un dialogo da parte dell’istituzione ma a reazioni punitive (disciplinari e penali) e a ulteriori chiusure del carcere. Molti volontari che operano all’interno delle carceri minorili si sono visti restringere spazi di azione nel portare avanti attività ricreative e culturali con i giovani detenuti. Il nuovo reato di rivolta penitenziaria rischia adesso di seppellire i giovani detenuti sotto cumuli di anni aggiuntivi di carcere.

Al Decreto Caivano e alla stretta sulla giustizia minorile non sembra tuttavia corrispondere una reale emergenza nella criminalità minorile.

Al Decreto Caivano e alla stretta sulla giustizia minorile non sembra tuttavia corrispondere una reale emergenza nella criminalità minorile. Secondo gli ultimi dati presentati dal Ministero dell’Interno nel maggio 2024 e relativi all’anno precedente, le segnalazioni a carico di minorenni nel 2023 sono diminuite del 4,15% rispetto al 2022. Al loro interno, il governo indica con preoccupazione l’aumento di alcuni reati violenti che giustificherebbe la stretta repressiva. A ben guardare, tuttavia, vengono indicate le lesioni dolose – che aumentano di meno di due punti percentuali – le rapine, che passano da 3.175 a 3.419, ovvero 244 in più in un anno – e le violenze sessuali. Queste ultime aumentano dell’8,25%, che in termini assoluti significa 24 casi in più. Tutti numeri che non sembrano segnare un inequivocabile allarme ma che potrebbero essere frutto di una normale oscillazione che nei fenomeni sociali sempre si riscontra inevitabilmente. Tanto è che è stato lo stesso Ministero, nel presentare i dati, a sostenere che “il fenomeno appare sostanzialmente stabile o in lieve diminuzione”, che “le gang giovanili non appaiono in aumento”, e ad affermare che vanno attenzionate le condotte violente fornendo però le seguenti indicazioni, del tutto in controtendenza con quanto sta accadendo: “Proporre alternative culturali/sociali (centri di aggregazione, centri sportivi, etc.). Fare rete con tutti i soggetti interessati, in primis famiglia e scuola. Ascolto e coinvolgimento nei processi decisionali”.

Nel febbraio 2025 il Ministero dell’Interno ha inoltre reso noti i soli dati riguardanti gli omicidi volontari nel 2024. Grande clamore mediatico ha provocato il fatto che quelli commessi da minorenni siano aumentati dal 4% all’11% del totale rispetto al 2023. Se guardiamo però anche qui ai numeri assoluti vediamo che l’aumento degli omicidi volontari commessi da minorenni è stato (secondo il Ministero, che tuttavia diverge dai dati forniti dall’Istat, secondo cui l’aumento sarebbe di soli 10 casi, per una divergenza rispetto al dato del 2023) di 21 casi, passando da 14 a 35. Il basso numero complessivo degli omicidi volontari in Italia (319 nel 2024) tende ad amplificare i valori percentuali. L’aumento di 21 unità (o forse di 10) degli omicidi commessi da minorenni è senz’altro un fenomeno da indagare per cercare di comprenderne le radici, ma può anch’esso rientrare in fisiologiche oscillazioni dei fenomeni criminali. Uno sguardo al passato ci dice infatti che nel 2015 gli omicidi volontari commessi da minorenni sono stati 31, nel 2016 sono stati 33, nel 2017 sono stati 36, senza che ciò abbia portato a stravolgimenti nel sistema della giustizia minorile.

Guardando alla popolazione reclusa negli Ipm alla fine di marzo vediamo come i giovani stranieri (per quasi l’80% provenienti dal Nord Africa, quasi sempre minori stranieri non accompagnati) costituiscano il 49,9% del totale delle presenze. I minorenni detenuti sono il 62,1%. Gli altri sono giovani adulti sotto i 25 anni che hanno compiuto il reato da minorenni. Il 65% dei ragazzi in carcere sono in custodia cautelare, una percentuale che sale all’81,4% se consideriamo i soli detenuti minorenni.

Da uno sguardo ai reati di cui sono accusati i ragazzi nel circuito penale emerge un’incongruenza risalente nel tempo. Nell’anno 2024, i reati contro la persona costituiscono il 22,9% del totale dei reati ascritti alla popolazione detenuta, mentre costituiscono il 31% del totale dei reati ascritti ai giovani complessivamente in carico ai servizi della giustizia minorile. Viceversa, i meno gravi reati contro il patrimonio costituiscono il 50,8% del totale dei reati ascritti alla popolazione in Ipm e solo il 38% del totale dei reati ascritti ai ragazzi complessivamente in carico. Dovendo il carcere costituire una misura estrema, ci si aspetterebbe che fosse destinata sostanzialmente ai reati più gravi.

Uno sguardo ai soli ragazzi stranieri ci mostra come essi commettano reati tendenzialmente meno gravi degli italiani. Tra gli stranieri in carcere, i reati contro la persona sono il 20.9% del totale dei reati ascritti ai detenuti stranieri mentre quelli contro il patrimonio sono il 59,6%. Tra i ragazzi stranieri complessivamente in carico ai servizi della giustizia minorile, i reati contro la persona sono il 25,9% del totale dei reati ascritti ai giovani stranieri mentre quelli contro la persona sono il 48,6%. In entrambe le prospettive, dunque, i ragazzi stranieri sono maggiormente rappresentati degli italiani nei reati contro il patrimonio mentre lo sono meno nella categoria più grave dei reati contro la persona. Per quanto riguarda infine i reati riguardanti la normativa sugli stupefacenti, essi costituiscono il 9,5% dei reati ascritti ai ragazzi in Ipm (il 5,9% se guardiamo solo ai ragazzi stranieri) e l’8,8% dei reati ascritti al totale dei ragazzi in carico (il 5,9% se guardiamo ai soli stranieri).

Alla fine del 2022 le presenze erano 381 e alla fine del 2024 raggiungevano le 587 unità, con una crescita del 54% in due anni. Crescita che sarebbe ancora maggiore se non fosse per la facilitazione introdotta dal Decreto Caivano a trasferire in chiave punitiva gli ultra-diciottenni del circuito minorile a carceri per adulti.

La preoccupazione per l’espansione della reazione penale verso i più giovani inizia fuori del carcere: se alla fine del 2022 i ragazzi complessivamente in carico ai servizi della giustizia minorile erano 13.658, alla fine del 2023 erano 13.861 (a fronte, come si è detto, di un calo del 4,15% delle segnalazioni di minori rispetto all’anno precedente), mentre alla fine del 2024 erano ben 14.866. Quanto agli Ipm, alla fine del 2022 le presenze erano 381 e alla fine del 2024 raggiungevano le 587 unità, con una crescita del 54% in due anni. Crescita che sarebbe ancora maggiore se non fosse per la facilitazione introdotta dal Decreto Caivano a trasferire in chiave punitiva gli ultra-diciottenni del circuito minorile a carceri per adulti, con la conseguenza di interrompere bruscamente il percorso educativo del ragazzo e di affaticarne enormemente il recupero. Tali trasferimenti sono stati 189 nel corso del 2024, l’80% in più rispetto ai 105 del 2022. Uno sguardo agli ingressi negli Ipm degli ultimi cinque anni e alle presenze alla fine di ogni anno ci mostra con chiarezza la diminuzione dell’uso del carcere minorile dovuta alla pandemia da Covid-19 e la successiva espansione provocata dalle nuove norme governative.

Significativo per valutare l’impatto del Decreto Caivano è anche l’andamento degli ingressi nei Centri di Prima Accoglienza (Cpa), dove il minore appena arrestato, fermato o accompagnato viene trattenuto fino a un massimo di quattro giorni, che nella stragrande maggioranza dei casi (il 94,5% nel 2024) si concludono con l’applicazione di una misura cautelare.

Le comunità si mostrano sempre più riluttanti ad inserire ragazzi del circuito penale, poiché faticano a sostenere un’utenza – come spesso accade che sia in particolare quella dei minori stranieri non accompagnati.

Uno sguardo alle comunità, snodo essenziale del sistema della giustizia penale minorile italiana, ci dice che al 31 marzo erano 1.146 i giovani ospiti, di cui solo 23 nelle tre strutture pubbliche gestite direttamente dal Ministero della Giustizia. La carenza di adeguati servizi pubblici e l’insufficiente sostegno dato alle comunità convenzionate sono senz’altro tra le cause delle difficoltà molto spesso incontrate dai ragazzi nel trovare un’adeguata accoglienza. Le comunità si mostrano sempre più riluttanti ad inserire ragazzi del circuito penale, poiché faticano a sostenere un’utenza – come spesso accade che sia in particolare quella dei minori stranieri non accompagnati, che la scarsa disponibilità di ospitalità esterna costringe magari per anni alla vita di strada – portatrice di dipendenze e doppie diagnosi.

Per far fronte a questi problemi, invece di potenziare il supporto fornito alle comunità esistenti si è scelta la strada di sperimentare l’apertura di apposite nuove comunità qualificate come ad alta intensità terapeutica, dove i ragazzi con disagio psichico o disturbi legati all’uso di sostanze verranno collocati in un contesto separato rispetto a quello delle comunità ordinarie, con le conseguenze che ciò potrà avere in termini di stigmatizzazione, psichiatrizzazione, emarginazione sociale, prevalenza della dimensione sanitaria su quella educativa, difficoltà di reintegrazione in società. La prima di queste comunità è stata inaugurata lo scorso febbraio in provincia di Pavia e altre due dovrebbero aprire entro la fine dell’anno sempre in Lombardia. La gestione della prima struttura è stata affidata all’azienda Recovery For Life Spa. Le comunità che apriranno a Brescia e a Como saranno invece gestite dalla Cooperativa Stella, che tra le altre cose ha partecipato in passato, senza vincerla, alla gara di appalto per gestire i Cpr di Milano e Gradisca d’Isonzo.

La gestione psichiatrica è un problema molto serio anche all’interno degli Ipm. Una recente inchiesta di “Altraeconomia”, che fa seguito a quella dell’ottobre 2023 portata avanti anche con l’aiuto di Antigone, ha mostrato come la spesa pro-capite per benzodiazepine e antipsicotici sia vertiginosamente aumentata nelle carceri minorili: a Torino nel 2024 aumenta del 64% rispetto al 2022, a Nisida l’aumento è del 352% in tre anni, a Pontremoli di oltre il 1.000%, a Roma del 71%; al Beccaria di Milano nel 2023 l’utilizzo di antipsicotici e benzodiazepine è stato di 8,3 volte superiore rispetto a Bologna e 3,3 in più di Firenze, una distanza che si riduce l’anno successivo solo a causa del forte aumento dei consumi negli altri due Ipm. La diretta esperienza dell’Osservatorio di Antigone sulle carceri minorili ci parla di nostre visite durante le quali ci siamo imbattuti in intere sezioni di ragazzi addormentati in orari che dovrebbero essere pienamente dedicati alle attività scolastiche o di altro tipo.

Oltre all’apertura della sezione minorile nel carcere per adulti della Dozza, la creazione di posti ulteriori per far fronte al sovraffollamento è stata annunciata attraverso l’apertura – o la riapertura – di quattro nuovi Ipm.

Di fronte alla crisi che il sistema della giustizia minorile italiana – considerato in passato un fiore all’occhiello dall’intera Europa e oggi guardato da più parti con preoccupazione – sta attualmente vivendo, la risposta governativa è sempre quella di una ventilata edilizia penitenziaria. Oltre all’apertura della sezione minorile nel carcere per adulti della Dozza, la creazione di posti ulteriori per far fronte al sovraffollamento è stata annunciata attraverso l’apertura – o la riapertura – di quattro nuovi Ipm: a Rovigo, L’Aquila, Lecce e Santa Maria Capua Vetere. Posti che, anche qualora venissero recuperati, continuando con questi ritmi risulteranno presto insufficienti.

Il cambiamento culturale rispetto all’approccio educativo che da sempre caratterizzava la giustizia minorile italiana è cristallizzato anche nella circolare emessa dal Dipartimento della Giustizia Minorile e di Comunità lo scorso primo ottobre 2024, nella quale si impone di indossare la divisa a tutti i poliziotti penitenziari in ogni forma di servizio all’interno degli Istituti Penali per Minorenni o nelle traduzioni esterne. Se il vestire in abiti civili aveva in passato voluto significare la maggiore vicinanza degli operatori ai ragazzi con i quali si rapportano dentro le carceri minorili, partecipando anche il poliziotto penitenziario al percorso di reintegrazione sociale del giovane, oggi secondo la citata circolare “l’appartenente al Corpo di polizia penitenziaria indossa l’uniforme con garbo e dignità, è responsabile del decoro e del prestigio dell’uniforme stessa ed è tenuto a mantenere un aspetto decoroso consono al proprio status”.

Chiudiamo ricordando come il tribunale dei minori di Roma abbia nelle scorse settimane sollevato la questione di costituzionalità rispetto alla norma introdotta in fase di conversione in legge del Decreto Caivano che impedisce l’applicazione della messa alla prova per alcuni reati, quali la violenza sessuale o la rapina aggravate, senza che il giudice possa valutare le concrete circostanze del fatto di reato né il superiore interesse del minore nelle sue possibilità di reintegrazione sociale. La Consulta si è già pronunciata in passato sul medesimo tema, dichiarando tuttavia inammissibili le questioni per difetto di rilevanza, in quanto gli eventi erano accaduti prima dell’entrata in vigore della nuova disciplina.