Donne e bambini

Donne e bambini

1024 538 XVII rapporto sulle condizioni di detenzione

 

Ancora bambini in carcere. I numeri della detenzione femminile in Italia.

Erano 2.250 le donne presenti negli istituti penitenziari italiani al 31 gennaio 2021 – 26 delle quali con figli al seguito, come vedremo più sotto – pari al 4.2% del totale della popolazione detenuta. Una percentuale sostanzialmente stabile nel tempo, che negli ultimi 30 anni ha visto raggiungere il picco superiore del 5,4% nel 1992 e quello inferiore del 3,8% nel 1998, ma che sostanzialmente si è sempre mantenuta poco sopra i 4 punti percentuali, di poco inferiori al valore mediano dei paesi del Consiglio d’Europa, che secondo gli ultimi dati disponibili relativi al 31 gennaio 2019 si attesta sul 5,1%.

Le quattro carceri femminili presenti sul territorio italiano (a Trani, Pozzuoli, Roma e Venezia) ospitano 549 donne, meno di un quarto del totale. L’Istituto a custodia attenuata di Lauro, unico Icam autonomo e non dipendente da un carcere ordinario, ospita 7 madri detenute. Le altre 1.694 donne sono distribuite nelle 46 sezioni femminili ospitate all’interno di carceri maschili.

Le quattro carceri femminili presenti sul territorio italiano (a Trani, Pozzuoli, Roma e Venezia) ospitano 549 donne, meno di un quarto del totale. L’Istituto a custodia attenuata di Lauro, unico Icam autonomo e non dipendente da un carcere ordinario, ospita 7 madri detenute. Le altre 1.694 donne sono distribuite nelle 46 sezioni femminili ospitate all’interno di carceri maschili. Nonostante la riforma dell’ordinamento penitenziario entrata in vigore nell’ottobre 2018 abbia introdotto all’art. 14 l’esplicita specificazione che le donne ospitate in apposite sezioni devono essere “in numero tale da non compromettere le attività trattamentali”, si continua ad andare dalle 109 presenze femminili nel carcere milanese di Bollate o dalle 110 nel carcere di Torino fino alle 10 di Barcellona Pozzo di Gotto, le 6 di Mantova, le 2 di Paliano, numeri piccolissimi risalenti nel tempo (le due donne a Paliano sono registrate già dall’aprile 2020, mentre nei mesi precedenti la compagnia si allargava a 3 e prima a 4). Capita anche di incontrare un’unica detenuta donna probabilmente di passaggio nel carcere di Brindisi o in quello napoletano di Poggioreale, di cui non vi è tuttavia traccia nei mesi precedenti. Difficile organizzare occupazioni significative per queste persone, nell’approccio generale che quasi mai permette la frequentazione diurna di uomini e donne per partecipare ad attività congiunte.
Sebbene non disponiamo di dati precisi disaggregati per genere, possiamo dire che la pandemia ha investito, soprattutto nella seconda ondata, anche il mondo della detenzione femminile, facendo tra le altre cose registrare un focolaio nel carcere femminile di Rebibbia nonché il contagio di cui bambini con la loro madre nell’Icam di Torino.
Nel corso del 2020 l’Osservatorio di Antigone, avendo dovuto limitare gli ingressi in carcere, ha visitato 44 istituti. Tra questi vi erano due carceri femminili (a Roma e Venezia) e 18 carceri maschili ospitanti sezioni femminili, per un totale di 1.102 donne coinvolte, quasi la metà del totale delle donne detenute, un numero ben significativo. Negli istituti visitati vi erano inoltre 10 bambini che vivevano assieme alle proprie madri. Le quattro carceri femminili presenti sul territorio italiano (a Trani, Pozzuoli, Roma e Venezia) ospitano 549 donne, meno di un quarto del totale. L’Istituto a custodia attenuata di Lauro, unico Icam autonomo e non dipendente da un carcere ordinario, ospita 7 madri detenute. Le altre 1.694 donne sono distribuite nelle 46 sezioni femminili ospitate all’interno di carceri maschili.

Poche le donne che lavoravano fuori dal carcere come previsto dall’art. 21 dell’ordinamento penitenziario: una sola sulle 67 donne presenti a Bologna o sulle 57 presenti a Verona o ancora sulle 42 di Perugia; due sulle 80 donne a Lecce, le 30 a Taranto, le 29 a Reggio Calabria o le 24 a Castrovillari; nessuna sulle 39 di Latina, le 36 di Como o le 31 di Foggia; 17 sulle 306 donne recluse a Roma Rebibbia. Poche anche le donne che lavoravano in carcere per datori di lavoro esterni: due a Taranto, una a Castrovillari e a Foggia, cinque a Bologna, nessuna a Como, a Sassari, a Modena a Forli, 7 a Lecce, 12 a Rebibbia e 15 a Venezia Giudecca. Di più le donne che lavoravano alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria: circa la metà delle presenti a Como, a Milano San Vittore, a Venezia, a Piacenza, circa un terzo delle presenti a Sassari e a Forlì, 116 su 306 a Roma.
150 le donne recluse nel carcere di Rebibbia che seguivano corsi scolastici. 33 a Bologna, 10 a Reggio Calabria e Taranto, nessuna a Como, Sassari, Foggia. In questi tre istituti nessuna donna era inoltre coinvolta in corsi di formazione professionale, che occupavano invece 7 donne a Bologna, 14 a Latina, 15 a Venezia e 22 a Lecce. Una situazione disomogenea sull’intero territorio nazionale, indice della mancanza di una programmazione centralizzata.
Il 63,2% delle celle ospitanti donne nelle carceri visitate dall’Osservatorio era dotato di bidet così come previsto dal regolamento penitenziario, il 5,3% non lo era, mentre per il 31,6% il dato non è disponibile. Nel 63,2% degli istituti visitati ospitanti donne vi era un servizio di ginecologia mentre non vi era per il 15,8% (il dato non è disponibile per il 21,1%). Nel 42,1% di queste carceri si trovava un servizio di ostetricia mentre mancava nel 26,3%. Non ovunque, nelle carceri ospitanti bambini, era presente un pediatra, così come volontari che si occupavano di accompagnare all’esterno i bambini che dormivano in istituto.
Nel corso dell’anno si sono registrati 51 episodi di autolesionismo riguardanti donne nell’istituto di Rebibbia, 18 in quello di Taranto, 15 in quello di Foggia. Delle persone morte per suicidio in carcere nel 2020 (61 secondo i dati forniti dal Ministero della Giustizia) una risulta essere una donna secondo il dossier ‘Morire di carcere’ curato da Ristretti Orizzonti. Si è tolta la vita a febbraio nel carcere di Sassari, dove era reclusa per furto e da dove sarebbe uscita nel maggio successivo. Aveva 39 anni.
2.457 donne hanno varcato le mura di un carcere italiano nel 2020.

Gli ingressi da parte di donne sono stati il 6,9% degli ingressi complessivi, una percentuale superiore a quella statica delle presenze che mostra come le permanenze delle donne abbiano tendenzialmente durata inferiore rispetto a quelle degli uomini.

Gli ingressi da parte di donne sono stati il 6,9% degli ingressi complessivi, una percentuale superiore a quella statica delle presenze che mostra come le permanenze delle donne abbiano tendenzialmente durata inferiore rispetto a quelle degli uomini.
Il maggior numero di ingressi femminili si è riscontrato in Lombardia (401), seguito da quelli del Lazio (385), della Campania (241) e del Piemonte (240), della Puglia (182).
La capienza ufficiale delle carceri femminili è pari a 509 posti letto. Il tasso di affollamento ufficiale risulta del 107,9%, superiore al tasso di affollamento ufficiale generale delle carceri italiane (pari al 105,5%, e tuttavia inferiore a quello reale vista la mancata considerazione dei posti letto inutilizzabili). Le donne, con il piccolo peso numerico che arrecano al sistema penitenziario, non sono responsabili del sovraffollamento carcerario ma lo subiscono più degli uomini, quando non soffrono al contrario di isolamento.
Il numero più alto di donne detenute si trova in Lombardia (370). Seguono il Lazio (368), vista la presenza a Roma del carcere femminile più grande d’Europa, e la Campania (322).
Al 31 gennaio 2021 le donne straniere detenute erano 755, vale a dire il 33,6% delle donne detenute (con una leggera sovrarappresentazione rispetto al totale, costituendo i detenuti stranieri il 32,4% della popolazione reclusa generale) e il 4,4% delle persone detenute straniere. Se nel complesso della popolazione detenuta straniera i cinque paesi di gran lunga più rappresentati sono Marocco (19,2%), Romania (11,8%), Albania (11,5%), Tunisia (10,1%) e Nigeria (8,4%), se guardiamo alle sole donne troviamo la Romania al primo posto (24,8%) e la Nigeria al secondo (17,9%), seguite a grande distanza da Bosnia ed Erzegovina (5,2%), Marocco (5,4%) e Brasile (4,1%). Le donne straniere con condanna definitiva sono il 65,4% del totale, più o meno in linea con il complesso dei detenuti stranieri (dove la custodia cautelare è sovrarappresentata rispetto agli italiani).
All’alba della pandemia, alla fine del febbraio 2020, le donne detenute erano il 4,4% del totale dei reclusi. Al 30 aprile la percentuale era scesa al 4,1%, segno che le misure e le prassi adottate per ridurre il numero di presenze ha agito, sebbene di poco, più sulle donne che sugli uomini, sicuramente anche per via delle pene inferiori a queste tendenzialmente comminate.
In generale, anche l’accesso alla detenzione domiciliare per l’ultimo periodo di pena previsto dalla legge 199 del 2010 è percentualmente maggiore per le donne. Dl momento della sua entrata in vigore, hanno usufruito di questa misura 2.084 detenute donne, pari al 7,1% del totale dei detenuti usciti dal carcere grazie a essa.
Il 28,9% dei 4.160 reati ascritti alle donne detenute (ciascuna delle quali può aver contestato più di un reato) riguarda reati contro il patrimonio. Seguono i reati contro la persona (18,5%) e le violazioni della legge sulle droghe (15,7%). In queste principali categorie di reati ascritti alla popolazione detenuta le donne sono sovrarappresentate, essendo le percentuali complessive pari rispettivamente a 24,3%, 18,2% e 14,8%. L’associazione di stampo mafioso pesa sulle donne detenute per il 3%, mentre la percentuale sale al 5,7% se guardiamo alla popolazione reclusa generale. A fine 2020, erano 13 le donne sottoposte al regime speciale di cui all’art. 41bis o.p. (l’1,7% dei 759 detenuti complessivi sottoposti a quel regime).
Erano 994 le donne detenute iscritte a corsi scolastici nell’anno 2019-2020. Di queste, 546 hanno ottenuto la promozione. Per quanto riguarda invece il lavoro, a metà anno 810 detenute erano impiegate alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria mentre 119 lavoravano per datori di lavoro esterni. Nel maggio 2020 si è siglato un accordo tra il Commissario governativo straordinario per l’emergenza sanitaria e l’Amministrazione penitenziaria per la produzione industriale di mascherine tramite l’impiego di 300 detenuti. L’ufficio del Commissario ha fornito otto macchine, che sono state dislocate a Milano Bollate, Salerno e Rebibbia – tutti istituti con presenza femminile, forse per via di una risalente visione stereotipata delle attività penitenziarie – e che oggi, secondo quanto riferisce l’Amministrazione, producono circa 500.000 mascherine al giorno.

Sul totale delle persone in carico al sistema dell’esecuzione penale esterna in quanto sottoposte a qualche misura penale, le donne sono l’11,2%, ovvero 6.782. Di queste, 2.592 stanno scontando una misura alternativa alla detenzione (l’8,9% del totale di coloro che scontano una misura alternativa).

Sul totale delle persone in carico al sistema dell’esecuzione penale esterna in quanto sottoposte a qualche misura penale, le donne sono l’11,2%, ovvero 6.782. Di queste, 2.592 stanno scontando una misura alternativa alla detenzione (l’8,9% del totale di coloro che scontano una misura alternativa).
La percentuale più alta rispetto a quella delle presenze in carcere si spiega ancora con le pene tendenzialmente brevi comminate alle donne, ma anche con la maggiore fiducia che il sistema è disposto ad accordare loro. Se scendiamo nel dettaglio, scopriamo che tra coloro che sono sottoposti alla misura alternativa di gran lunga più vuota di contenuto risocializzante, ovvero la detenzione domiciliare, il 10,4% è composto da donne. La percentuale scende all’8,2% se guardiamo all’affidamento in prova al servizio sociale e ancora addirittura al 2,6% se ci rivolgiamo alla semilibertà.
Al 31 gennaio 2021 erano 29 i bambini, 13 dei quali stranieri, in carcere con le proprie 26 madri. Erano alloggiati nell’Icam di Lauro (8), nell’Icam affiliato al carcere di Torino (6), nel carcere femminile di Rebibbia (5), nelle carceri di Salerno e Venezia (3), nel carcere di Milano Bollate (2), e nelle carceri di Foggia e Lecce (un unico bambino per ciascuna delle due strutture). Al 28 febbraio 2021 i bambini erano scesi ulteriormente a 27, con 25 detenute madri. Siamo a uno dei minimi storici, se pensiamo che un anno prima i bambini in carcere erano 57 e che le presenze negli ultimi 25 anni sono rappresentate nel grafico seguente.

La crisi sanitaria ha spinto la magistratura di sorveglianza ad adottare con solerzia le misure di legge disponibili per aprire ai bambini i cancelli degli istituti. Se alla fine di febbraio si contavano 59 bimbi nelle carceri italiane, al 30 giugno 2020 erano 33, essendo diminuiti di oltre il 44%. Ciò dimostra come la presa in carico caso per caso delle singole situazioni possa, quando vi è la volontà di farlo, far ravvisare soluzioni individualizzate capaci di far fronte al problema dei bambini dietro le sbarre probabilmente in misura maggiore di quanto non possano fare nuove previsioni normative, posto che le due leggi pensate a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori nel 2001 e nel 2011 non sembrano aver raggiunto analoghi risultati. Si segnala comunque che nell’ultima legge di bilancio sono stati stanziati 4,5 milioni di euro per le case-famiglia protette introdotte dalla legge del 2011, nella speranza che possano aiutare il funzionamento di tale previsione normativa.