XVIII rapporto sulle condizioni di detenzione

La rinuncia al processo. La nuova tendenza della giustizia penale

La rinuncia al processo. La nuova tendenza della giustizia penale

La rinuncia al processo. La nuova tendenza della giustizia penale

1024 576 XVIII rapporto sulle condizioni di detenzione

di Federica Brioschi e Dario di Cecca

La rinuncia al processo. La nuova tendenza della giustizia penale. I risultati di una ricerca di Antigone

L’equo processo è uno dei principi fondamentali su cui si basano i sistemi giuridici di tutto il mondo e in ambito penale, dove in gioco c’è la libertà personale, il rispetto di questo principio è ancora più importante. Tuttavia alcune recenti ricerche stanno evidenziando la crescita di una tendenza inversa che potrebbe andare a ledere questo principio a discapito di chi si trova invischiato nelle maglie dei sistemi penali.

La scomparsa del processo, sintetizza eloquentemente la direzione presa da numerosi paesi, che tendono a sostituire il processo in piena regola con un qualche sistema di “trial waiver”, letteralmente “rinuncia al processo”.

Un rapporto pubblicato nel 2017 da Fair Trials intitolato “The disappearing trial”, la scomparsa del processo, sintetizza eloquentemente la direzione presa da numerosi paesi, che tendono a sostituire il processo in piena regola con un qualche sistema di “trial waiver”, letteralmente “rinuncia al processo”.

L’esempio più famoso di trial waiver è probabilmente rappresentato dal plea bargaining statunitense, che si stima venga utilizzato nella stragrande maggioranza dei casi che arrivano di fronte alle corti federali. Si tratta di una tipologia di patteggiamento che presenta delle peculiarità che lo rendono unico nel suo genere. Ad esempio può essere utilizzato per qualsiasi reato e oggetto del patteggiamento possono essere sia i capi d’accusa così come l’entità della pena. Inoltre i diritti e le garanzie che circondano questo rito non tutelano appieno la persona imputata che, se priva di assistenza legale, può anche ritrovarsi sola a patteggiare con il prosecutor, il pubblico ministero americano, senza comprendere pienamente i propri diritti o senza conoscere l’esistenza di altre strategie difensive.

Ma il plea bargaining non è l’unico tipo di rito preso in esame. Infatti i sistemi di trial waiver includono tutti quei riti in cui l’imputato, in cambio di benefici o incentivi di natura giudiziaria (come una riduzione della pena o capi di imputazione meno gravi), decide di cooperare con le autorità giudiziarie o eventualmente confessare di aver compiuto un reato. Fra i riti che ricadono in questa definizione si trovano le varie forme di patteggiamento (guilty plea, plea bargaining), riti abbreviati o procedimenti sommari (summary procedures). Una caratteristica comune non è solo il fatto di non essere dei processi completi, ma anche che l’imputato, accettando di procedere con uno di questi riti, deve rinunciare ad alcuni dei diritti che un processo completo gli garantirebbe appieno.

I benefici e gli incentivi per l’imputato possono essere diversi e dipendono anche dal tipo di sistema giuridico in cui il rito è inserito.

Sulla base degli incentivi/benefici, Fair Trials individua quattro tipologie di riti e trial waiver:

  • I riti che applicano benefici sulla pena, in cui ricadono non solo gli sconti di pena, ma anche la possibilità di applicare una tipologia di pena meno afflittiva.
  • I riti in cui è possibile agire sulle prove, ovvero in cui in cambio di concessioni da parte dell’imputato, il pubblico ministero non presenta al giudice alcune delle prove che aggraverebbero la situazione dell’imputato oppure le presenta in una maniera più favorevole.
  • I riti in cui il capo di imputazione viene modificato in uno meno grave o addirittura cancellato in cambio di informazioni o di una confessione da parte dell’imputato.
  • I riti in cui l’imputato decide di cooperare con l’autorità giudiziaria, per esempio testimoniando contro altri o fornendo informazioni in cambio di uno sconto di pena o un capo di imputazione meno grave.

I riti più comuni fra le giurisdizioni con sistemi di trial waiver appartengono alla prima categoria, ovvero quelli con uno sconto di pena (68%), seguono i riti in cui è prevista la cooperazione dell’imputato (circa il 50%) e i riti i cui benefici vanno ad agire sul capo di imputazione (44%); più rari invece i riti che concedono vantaggi sulla prova (12%). Chiaramente la differenza fra i trial waivers non è sempre netta per via della diversa regolamentazione dei riti in ogni sistema. Inoltre è chiaro che alcuni di questi riti sono più tipici nei sistemi di common law, in cui il pubblico ministero ha un margine di discrezionalità maggiore sulle prove e sui capi di imputazione.

Ma quanti paesi presentano una qualche tipologia di trial waiver? Sui 90 censiti dalla ricerca di Fair Trials, 66 presentavano nei propri ordinamenti una qualche forma di trial waiver. Erano infatti 19 le giurisdizioni che presentavano riti di questo tipo anche prima del 1990 (tra cui l’Italia e gli Stati Uniti), fra il 1990 e il 1999 se ne sono aggiunte 13 (tra cui il Brasile e l’Australia), seguite da altre 22 fra il 2000 e il 2009 (come l’Albania e il Sud Africa) e infine da altre 12 fra il 2010 e il 2015 (fra cui la Romania e la Finlandia). Al tempo della stesura della ricerca altri 5 paesi stavano considerando l’introduzione di uno di questi riti. Tuttavia non è soltanto l’aumento delle giurisdizioni che utilizzano questi riti a destare preoccupazione, ma anche l’incidenza del loro uso, che in molte giurisdizioni sembra essere aumentata fino addirittura a diventare la principale forma di risoluzione dei procedimenti penali. In altri casi invece questo non si è verificato, come nel nostro paese, dove, secondo i dati ISTAT, negli ultimi anni i patteggiamenti rappresentano circa l’1-2% dei rinvii a giudizio.

Una ricerca più recente a cui ha partecipato anche Antigone, “Efficiency over justice: Insights into trial waiver systems in Europe”, ha fatto luce su alcuni aspetti problematici presentati dai sistemi di trial waiver in alcuni paesi dell’Unione Europea: Albania, Cipro, Italia, Slovenia e Ungheria.
In particolare la ricerca evidenzia come i sistemi di trial waiver siano spesso indicati come la soluzione a tanti dei problemi che affliggono i sistemi penali in Europa.
Fra le problematiche più comuni rilevate si trova l’arretrato giudiziario e il conseguente aumento della durata dei procedimenti. Questi fenomeni sono spesso causati dall’esiguità delle risorse (umane e monetarie) che devono occuparsi di un numero di casi sempre maggiore, a volte dovuto alla tendenza di creare sempre più fattispecie di reato per gestire problematiche sociali complesse. Purtroppo non sono solo i reati ad aumentare, ma anche le pene a diventare sempre più severe. Questi due fenomeni vanno poi a gravare sui sistemi penitenziari, che molte volte sono sovraffollati e presentano condizioni di detenzione assai precarie.

Per far fronte a tutte queste complesse problematiche, in alcune giurisdizioni sono stati introdotti sistemi di trial waiver oppure il loro uso è stato ampliato. La ragione addotta è quella della necessità di migliorare l’efficienza dei sistemi penali, per esempio velocizzando la risoluzione di alcuni casi per ridurre l’arretrato giudiziario oppure riducendo il tempo speso da magistrati e giudici sui casi più semplici permettendo quindi un risparmio di tempo e risorse pubbliche che possono essere investiti in casi più importanti. Purtroppo però è molto difficile stabilire se nei fatti l’introduzione di trial waivers permetta di raggiungere questi obiettivi di efficienza o risparmio.

L’utilizzo di sistemi di trial waiver porta con sé numerose problematiche che ricadono sulla persona imputata. Una di queste è il mito del consenso informato. Tutte le giurisdizioni che presentano sistemi di trial waiver implicano la volontarietà della scelta del tipo di rito, tuttavia nei fatti questa non si concretizza così come vorrebbe la legge.

Tuttavia l’utilizzo di sistemi di trial waiver porta con sé numerose problematiche che ricadono sulla persona imputata. Una di queste è il mito del consenso informato. Tutte le giurisdizioni che presentano sistemi di trial waiver implicano la volontarietà della scelta del tipo di rito, tuttavia nei fatti questa non si concretizza così come vorrebbe la legge. Infatti spesso si tratta di fattori sistemici a creare pressione sulla persona imputata affinché non scelga un rito completo.

Per esempio un pubblico ministero oberato dai casi aperti potrebbe mettere alle strette un imputato facendogli credere di avere molte più prove a suo carico di quante effettivamente ne abbia e offrirgli uno sconto di pena in cambio di una confessione o informazioni che potrebbero aiutarlo nella risoluzione di altri casi.

Un altro tema sensibile è rappresentato dalla tutela del diritto alla difesa. In molti paesi gli avvocati che rientrano in una qualche forma di patrocinio a spese dello stato (che può anche coincidere automaticamente con la nomina d’ufficio) a causa delle remunerazioni basse sono costretti a occuparsi di più e più clienti contemporaneamente. Ciò implica la necessità di spendere poco tempo su ogni caso e questo può portare l’avvocato a desiderare di concludere il procedimento nel più breve tempo possibile e quindi a scegliere una strategia difensiva più rapida che potrebbe non essere pienamente vantaggiosa per il proprio cliente (per esempio consigliando di patteggiare invece di richiedere delle indagini difensive più approfondite).

In molti sistemi sono le forze dell’ordine a giocare un ruolo fondamentale nelle indagini e anche in questi casi, come evidenziato da un rapporto di Fair Trials e l’OSCE, i rischi possono essere molteplici. Per esempio può capitare che gli obiettivi che devono essere raggiunti dalle forze dell’ordine (come ad esempio un determinato numero di condanne), i poteri di cui vengono investiti e la possibilità di offrire un accordo agli imputati influenzino le tecniche investigative utilizzate. Infatti una delle conseguenze più gravi dei sistemi di trial waiver basati sulla confessione da parte dell’imputato (come il guilty plea) è l’utilizzo da parte delle forze dell’ordine di tecniche di interrogatorio coercitive fino ad arrivare a maltrattamenti o addirittura alla tortura al fine di ottenere una confessione. In questo contesto appare evidente come anche una persona innocente possa essere portata ad ammettere la propria colpevolezza.

Anche un problema sistemico come l’eccessiva durata dei procedimenti può incutere paura nell’imputato, che magari ritiene di non avere i mezzi necessari per affrontare un lungo processo e crede che una “scorciatoia” utilizzando un trial waiver sia una soluzione più veloce e conveniente, ma in realtà l’utilizzo di questi riti può portare altre conseguenze meno note e potrebbe portare anche a ricevere alla fine una sentenza più dura di quanto non si otterrebbe utilizzando un altro rito.

Infine a volte il sistema giuridico permette all’imputato di rinunciare a un avvocato anche quando sceglie di avvalersi di un trial waiver e ciò significa decidere per proprio conto di utilizzare una tipologia di rito senza conoscere appieno le conseguenze di tale scelta. Questo può andare a penalizzare soprattutto le fasce più deboli della popolazione e gli stranieri, che magari non possono permettersi un avvocato di fiducia, hanno generalmente un livello di istruzione più basso o una scarsa conoscenza della lingua che non permette una piena comprensione dei propri diritti; di conseguenza possono essere facilmente Indotti a rinunciare al loro diritto alla difesa.

L’Italia e la “rinuncia al processo

Recentemente l’Associazione Antigone ha svolto una ricerca nell’ambito del progetto Trial Waiver Systems in Europe, coordinato da Fair Trials Europe, con l’obiettivo di raccogliere e comparare informazioni sull’uso dei riti alternativi nel processo penale in diversi paesi europei, sulla base delle quali sviluppare linee guida specifiche per ogni paese affinché tali procedimenti possano essere utilizzati senza compromettere il diritto di difesa.
Nel processo penale italiano, come noto, esistono diversi procedimenti considerati speciali o “alternativi”, poiché si distaccano dal modello base omettendo una delle fasi processuali (udienza preliminare, dibattimento) o entrambe.

Tra questi il procedimento per decreto (artt. 459-464 c.p.p.), il giudizio direttissimo (artt. 449-452 c.p.p.) e il giudizio immediato (artt. 453-458 c.p.p.). Il giudizio direttissimo e immediato si limitano ad eliminare, su richiesta del pubblico ministero, l’udienza preliminare per pervenire in modo più veloce al dibattimento, prescindendo dal consenso dell’imputato. Il procedimento per decreto, invece, può essere ricompreso tra i riti che omettono il dibattimento. È, inoltre, considerato uno dei procedimenti speciali fondati sul consenso dell’imputato in quanto il mancato esercizio dell’opposizione da parte di questo viene equiparato a un implicito consenso alla rinuncia del dibattimento.

I riti alternativi su cui si si è concentrata la ricerca italiana sono, tuttavia, il giudizio abbreviato (art 438-443 c.p.p.) e l’applicazione della pena su richiesta delle parti o c.d. “patteggiamento” (artt. 444 – 448 c.p.p.), analizzandone sia gli aspetti normativi e problematici, sia le questioni relative al diritto al giusto processo e all’applicazione delle Direttive europee.
Questi ultimi due procedimenti speciali, nei quali il giudice compie le sue valutazioni utilizzando gli atti raccolti in maniera unilaterale dalle parti, sono fondati sul consenso dell’imputato. La rinuncia, da parte dell’imputato, al diritto al dibattimento, aspetto centrale del diritto di difesa, è compensata da alcuni benefici in suo favore, tra cui una riduzione della pena.

In particolare, a grandi linee, il giudizio abbreviato consente al giudice, su richiesta dell’imputato, di pronunciare già al momento dell’udienza preliminare la decisione di merito, utilizzando, di norma, gli atti contenuti nel fascicolo delle indagini. La decisione può essere di condanna o anche di proscioglimento. In caso di condanna, tuttavia, la pena determinata dal giudice è ridotta di un terzo. La riduzione di pena costituisce, così, un incentivo per l’imputato, che compensa la scelta di rinunciare ai diritti che gli spettano nel dibattimento.
Nel patteggiamento, invece, il giudice applica la pena che è stata concordemente chiesta dalle parti (imputato e PM), previo il controllo sulla correttezza della qualificazione giuridica del fatto e la congruità della pena richiesta. Anche in questo caso la decisione avviene “allo stato degli atti” ed è previsto un incentivo per l’imputato: nel determinare la pena sulla quale si forma l’accordo, si applica una riduzione fino a un terzo. A differenza del giudizio abbreviato, la sentenza di regola non è appellabile ma può essere sottoposta a ricorso in cassazione.

Rispetto ad analoghi modelli processuali degli altri sistemi penali europei, sono emerse alcune caratteristiche del giudizio abbreviato e del patteggiamento che ne spiegano il relativo successo. In generale, dalla ricerca è emerso che i riti alternativi sembrano permettere di abbreviare la durata dei processi, ridurre i costi della giustizia penale e accorciare l’attesa di una sentenza da parte dell’imputato, rafforzando la certezza del diritto. Inoltre, in questi riti non è necessaria la confessione da parte dell’imputato; la sentenza (nel caso specifico dell’abbreviato) può essere anche di proscioglimento; sono possibili, anche se con alcuni limiti, le impugnazioni; è prevista comunque e sempre la difesa tecnica da parte dell’avvocato, così come è previsto il controllo del rispetto delle garanzie da parte di un giudice. Le garanzie processuali sembrano, almeno secondo il dettato normativo, essere tutelate in modo soddisfacente.

Tuttavia vi sono diverse criticità da segnalare riguardo ai riti alternativi. Innanzitutto, il loro relativo successo deve essere contestualizzato e può essere spiegato collocando tali istituti in un più ampio discorso che riguarda i problemi sistemici della giustizia penale italiana.
Da una parte, essa continua a patire la eccessiva lunghezza e lentezza dei procedimenti penali e il cronico problema dell’arretrato giudiziario.

Dall’altra parte, negli ultimi decenni si è assistito, sempre di più, al fenomeno che la dottrina ha definito “panpenalismo”, ovvero la tendenza alla continua introduzione di nuove figure di reato nella legislazione penale per fare fronte ad una percezione di insicurezza da parte dei cittadini, spesso alimentata dai media o da alcuni esponenti della politica. Questo ha condotta a un generale e costante inasprimento delle sanzioni penali e a un aumento del ricorso a pene di tipo detentivo. Il risultato è stato un’espansione della sfera penale con conseguente ulteriore aggravamento del carico di lavoro dei tribunali.

Questi fattori comportano, da un punto di vista generale e di sistema, due conseguenze.
La prima è che il largo ricorso ai riti alternativi può essere spiegato con la necessità di sopperire alle inefficienze del sistema, permettendo, in tal modo, di rinviarne la risoluzione in maniera incisiva e definitiva. Così, se da un lato questo può comportare la diminuzione della durata dei processi e l’aumento del numero di pratiche chiuse, bisogna verificare se la conseguenza possa essere una rinuncia alla completa applicazione dei principi costituzionali, soprattutto riguardo al diritto di difesa, come vedremo meglio più avanti.
La seconda conseguenza è che, ciononostante, l’efficacia deflattiva dei riti alternativi rischi comunque di essere attenuata e depotenziata dal costante aumento delle pene edittali e dall’inserimento di nuove preclusioni al loro accesso.

Dal punto di vista pratico dell’impatto dei riti alternativi sul numero della popolazione detenuta, possiamo fare una considerazione basandoci sulle rilevazioni statistiche disponibili relativamente agli ultimi trenta anni. Sulla base di queste, possiamo rilevare che il numero delle presenze in carcere ha subito un graduale e costante aumento nel corso degli anni. Nell’arco di questo periodo, ci sono stati solo alcuni momenti in cui la popolazione detenuta ha subito un significativo calo, peraltro sempre destinato ad essere momentaneo e subito seguito da una progressiva risalita. Il calo dei numeri è dovuto a due indulti nel 1991 e nel 2006, alle misure deflattive con carattere temporaneo adottate nel 2014 in seguito alla condanna da parte della Corte EDU nel celebre caso Torreggiani c. Italia e, da ultimo, nel 2020, alla adozione di misure alternative alla detenzione per contenere il rischio di contagio da Covid-19 nelle carceri. Pertanto, non sembra potersi dimostrare alcuna correlazione diretta tra la variazione, sia in aumento che in diminuzione, della popolazione carceraria e il ricorso ai riti alternativi nel processo penale.
Ci sono, inoltre, degli ulteriori profili problematici che possono emergere dal confronto tra la teoria del funzionamento dei riti alternativi e la loro attuazione nella pratica.

È stato evidenziato che potrebbe esserci un vulnus al principio costituzionale di pubblicità del processo, poiché i riti alternativi prevedono, spesso, lo svolgimento camerale delle udienze; così come c’è il rischio di comprimere il diritto, sempre costituzionalmente garantito, alla oralità, visto che i riti alternativi sono – con l’eccezione del giudizio abbreviato condizionato – sempre decisi allo stato degli atti, sulla base degli elementi raccolti prima dell’apertura del processo.

Tra coloro che sono stati intervistati nel corso della ricerca, infatti, soprattutto gli avvocati hanno evidenziato alcune potenziali criticità. Ad esempio, è stato evidenziato che potrebbe esserci un vulnus al principio costituzionale di pubblicità del processo, poiché i riti alternativi prevedono, spesso, lo svolgimento camerale delle udienze; così come c’è il rischio di comprimere il diritto, sempre costituzionalmente garantito, alla oralità, visto che i riti alternativi sono – con l’eccezione del giudizio abbreviato condizionato – sempre decisi allo stato degli atti, sulla base degli elementi raccolti prima dell’apertura del processo.

Con particolare riguardo al rito abbreviato, bisogna aggiungere che la sua scelta viene considerata di natura abdicativa. Il che implica che il materiale di prova assunto dal P.M. (e dalla polizia giudiziaria) nel corso delle indagini preliminari viene sottratto ad ogni eccezione o possibilità di deduzione di inutilizzabilità o nullità relativa, derivante da eventuali vizi riguardanti le modalità di assunzione della prova stessa.

Un altro aspetto problematico riguarda gli imputati appartenenti alle categorie più deboli, soprattutto dal punto di vista sociale ed economico, per cui, a volte, l’accordo sulla pena potrebbe non essere il risultato “consensuale” di una effettiva negoziazione ma una imposizione della Procura, poiché accettare un patteggiamento è, spesso, l’unico modo per evitare l’incarcerazione.

Come emerge anche da alcune delle interviste condotte, non sono rari i casi in cui l’imputato poco facoltoso, non potendosi permettere economicamente attività difensive complesse o perizie tecniche di alto livello, rischi di essere spinto a preferire il rito alternativo anche al prezzo della rinuncia ad alcune garanzie del dibattimento.

Si pone, inoltre, il problema della consapevolezza nella scelta dell’accesso al rito alternativo, soprattutto per gli alloglotti. Nel caso degli stranieri, la scelta del rito alternativo e l’anticipazione della (eventuale) sentenza di condanna possono avere rilevanti conseguenze sul titolo di soggiorno dell’interessato, essendo sufficiente la condanna in primo grado per la revoca del permesso di soggiorno. La garanzia del diritto alla traduzione e all’interpretariato, l’effettiva formazione giuridica degli interpreti e dei mediatori possono avere una grande rilevanza per una scelta consapevole.

Al perseguimento degli obiettivi della riforma contribuiscono anche i principi e criteri direttivi relativi all’estensione dell’ambito applicativo e degli effetti premiali di alcuni riti alternativi. Si segnalano, in particolare:
Con la legge 27 settembre 2021, n. 134 («Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari») è stata approvata in via definitiva la nuova riforma della giustizia penale. Gli obiettivi sono quelli di rendere più rapido ed efficiente il procedimento penale, innanzitutto riducendone i tempi. Tra i vari interventi adottati dal Legislatore, c’è anche il potenziamento di alcuni strumenti deflattivi già esistenti, sia di natura sostanziale che processuale, tra cui gli stessi riti alternativi.

In particolare, è stato esteso l’accordo alle pene accessorie nel caso del c.d. «patteggiamento allargato» e, in ogni caso, l’estensione dell’accordo alla confisca facoltativa e la riduzione degli effetti extra-penali della sentenza di applicazione della pena; è stata prevista un’ulteriore riduzione della pena, nella misura di un sesto, per l’imputato che decida di optare per il giudizio abbreviato (e non impugni la decisione); è stato ampliato l’ambito applicativo del procedimento per decreto e l’ulteriore riduzione della pena pecuniaria in caso di pagamento tempestivo e mancata opposizione; infine, è stato esteso l’ambito di applicazione della sospensione del procedimento con messa alla prova. Si tratta, senz’altro, di piccoli passi in avanti, e per questo apprezzabili. Tuttavia i principali nodi, soprattutto con riguardo alla effettività delle garanzie procedurali e al rispetto del pieno esercizio del diritto di difesa, restano ancora irrisolti.