XVIII rapporto sulle condizioni di detenzione

Roma. Gli “avvocati” di Rebibbia

Roma. Gli “avvocati” di Rebibbia

Roma. Gli “avvocati” di Rebibbia

1024 576 XVIII rapporto sulle condizioni di detenzione

Alessandro Monacelli

Roma. Gli ``avvocati`` di Rebibbia. L’università di Rebibbia: il volontariato contro la desertificazione dei diritti

Abbiamo scelto di analizzare l’attualità e la concretezza del diritto all’istruzione universitaria osservando il lavoro svolto da alcuni volontari nella Casa Circondariale di Roma-Rebibbia. In particolare, l’esperienza che verrà raccontata può essere utile per analizzare come si realizza nella quotidianità detentiva l’esercizio del diritto allo studio universitario previsto “sulla carta”.

Molte disposizioni della legge penitenziaria rappresentano manifesti dei valori e degli obiettivi che la pena deve perseguire.
Il senso delle norme spesso però stride con la cruda realtà carceraria, che si ha l’impressione scorra su binari paralleli rispetto a quelli legislativi.
Il volontariato può essere un’efficace lente attraverso cui osservare questo fenomeno di scollamento tra norme astratte e realtà concreta. In carcere molte attività sono portate avanti dai volontari che godono quindi di uno sguardo privilegiato sulla quotidianità detentiva.
Abbiamo scelto di analizzare l’attualità e la concretezza del diritto all’istruzione universitaria osservando il lavoro svolto da alcuni volontari nella Casa Circondariale di Roma-Rebibbia. In particolare, l’esperienza che verrà raccontata può essere utile per analizzare come si realizza nella quotidianità detentiva l’esercizio del diritto allo studio universitario previsto “sulla carta”1).

Sintesi normativa

Già dall’art. 1 dell’Ordinamento Penitenziario si ricava il peso che dovrebbe avere l’esercizio del diritto allo studio durante l’esecuzione della pena.

La Legge Penitenziaria si apre infatti con un catalogo di obiettivi cui deve mirare la detenzione. Tra gli altri, viene ricordato che il tempo trascorso in carcere “si conforma a modelli che favoriscono l’autonomia, la responsabilità, la socializzazione e l’integrazione”2).

Quale miglior strumento per attuare questi quattro obiettivi se non l’istruzione? È all’istruzione che – ad ogni livello, dentro e fuori il carcere – si affida il compito di integrare gli individui nella società. Ed è all’istruzione che il legislatore guarda, insieme con le attività culturali e sportive, come strumenti da favorire il più possibile in carcere, poiché rappresentano degli efficaci mezzi per conseguire la crescita della personalità e lo sviluppo della persona, obiettivi indicati dagli artt. 27, co. III e 3, co II Cost.3).

In questa prospettiva, lo studio è indicato tra gli strumenti fondamentali del trattamento penitenziario, attraverso i quali riavvicinare alla società chi ne ha violato le regole (art. 15 O.P.).

Ciò comporta evidenti ripercussioni in punto di edilizia penitenziaria: l’art. 5 ricorda che gli edifici penitenziari devono essere dotati di locali idonei per svolgere attività formative e di studio.

Lo studio infatti richiede, a tutti i livelli, concentrazione e silenzio, che difficilmente sono presenti all’interno dei reparti penitenziari.

Serve quindi un locale dove studiare e consultare materiale. Non solo. Lo studio non può essere esclusivamente individuale, ma necessita di un percorso di accompagnamento da parte del docente e di un confronto costante tra gli studenti.

Per questi motivi, gli istituti penitenziari devono essere dotati di aule scolastiche per lo svolgimento delle lezioni di ogni grado.

Per quanto riguarda lo studio universitario, in alcuni istituti sono presenti aule studio che permettono sia di svolgere lezioni frontali sia di studiare individualmente, lontano dal naturale frastuono delle sezioni detentive.

I detenuti studenti possono poi essere autorizzati a detenere materiale scolastico: libri, dispense, ed anche personal computer, strumenti imprescindibili per uno studente universitario (art. 40 reg. esec.). Peraltro, ogni istituto deve dotarsi di una biblioteca, che, oltre al servizio di prestito, deve offrire una sala lettura (art. 21 reg. esec.).

Anche gli studi universitari sono oggetto di una specifica attenzione del legislatore. L’art. 19 O.P. è stato di recente modificato per recepire la prassi dei poli universitari penitenziari, strutture organizzative che consentono di agevolare i rapporti tra detenuti e università. Si prevede, infatti, come ulteriore incentivo allo studio universitario, che l’amministrazione possa siglare protocolli d’intesa con istituzioni universitarie e con istituti di formazione tecnica superiore.

Nell’ottica di favorire l’adesione ai percorsi universitari, è opportuno anche valorizzare l’art. 42 O.P. secondo cui il detenuto può chiedere il trasferimento per motivi di studio. Con l’aiuto di familiari, educatori e volontari, il detenuto può individuare un istituto ove è presente una facoltà che corrisponde alle proprie aspirazioni e chiedere di esservi trasferito.

Al regolamento di esecuzione poi è affidato il compito di incentivare la presenza nelle aule scolastiche di ogni livello. L’art. 42 comma 4 reg. esec. prescrive infatti all’Amministrazione di rendere compatibile il lavoro con lo studio. Per vero, occorre dare atto che la contemporaneità di attività lavorative da un lato e di istruzione dall’altro quasi sempre si risolve a discapito di queste ultime. Del resto, è evidente che, tra le due, il detenuto possa prediligere (quando è disponibile) lo svolgimento di attività lavorativa per contribuire all’economia familiare.

Per i condannati che non siano in condizione di seguire i corsi scolastici regolari, la normativa secondaria prevede che l’amministrazione penitenziaria possa concordare con quella scolastica modalità di organizzazione di percorsi individuali di preparazione agli esami (art. 43 comma 4 reg. esec.). La norma può essere valorizzata per consentire la prosecuzione degli studi di secondo grado non organizzabili all’interno dell’istituto, per carenza di iscritti o per altri motivi4).

Il regolamento poi prevede anche incentivi di carattere economico. Per i detenuti che versano in “disagiate condizioni economiche” si prevede il rimborso delle spese sostenute per tasse, contributi scolastici e libri di testo. Deve inoltre essere corrisposto un premio di rendimento nella misura stabilita dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria per coloro che abbiano superato con profitto l’anno scolastico.

Infine, non può sottacersi il ruolo svolto da benefici e misure alternative, che fungono sia da incentivo alla frequenza scolastica, sia da strumento per esercitare il diritto allo studio. L’istruzione è indicata tra i requisiti per l’ammissione alla semilibertà (art. 48 O.P.) e per la liberazione anticipata (art. 103 comma 2 reg. esec.). L’impegno dimostrato e il profitto ottenuto durante le attività di istruzione sono poi annoverati tra i fattori meritevoli di essere ricompensati con un encomio o con la proposta di una misura alternativa (art. 76 reg. esec.).

Fondamentale in questa prospettiva è la concessione di permessi premio “per coltivare interessi culturali” (art. 30 ter O.P.). Il beneficio consente di esercitare il diritto allo studio, soprattutto universitario, perché può essere impiegato per consentire agli studenti detenuti di recarsi a svolgere gli esami direttamente nelle facoltà. Queste esperienze si rivelano spesso preziose occasioni per cominciare il percorso di graduale confronto con l’esterno.

Dalle norme ai fatti: gli studenti di Giurisprudenza di Rebibbia.

Per verificare la portata concreta della normativa delineata, è utile concentrare l’attenzione sull’istruzione universitaria. Nell’anno accademico 2021/2022, sono 1.246 gli studenti detenuti iscritti a corsi universitari5). Il numero non è alto, ma è in costante e progressivo aumento.

Un’analisi complessiva dello studio universitario in carcere è stata affrontata nelle precedenti edizioni di questo rapporto6).

Ciò che preme analizzare in questa sede è quali sono gli strumenti concreti che l’Amministrazione penitenziaria ha adottato o può mettere in campo per favorire il diritto allo studio universitario.

Per analizzare tale tematica, è utile partire da un caso concreto: gli studenti di Rebibbia iscritti a Giurisprudenza presso l’università La Sapienza di Roma.

Questa esperienza è, infatti, insieme un ottimo esempio e un banco di prova dell’attuazione della normativa relativa al diritto allo studio universitario.

Nella Casa Circondariale di Rebibbia, a Roma, chi è detenuto ha la possibilità di iscriversi a numerosi corsi universitari. Sono varie le Università, pubbliche e private, che con il tempo hanno attivato i corsi che possono essere seguiti anche in carcere.

Come Antigone, abbiamo avuto modo di conoscere una realtà interessante. Si tratta di un gruppo di studenti – detenuti che sono iscritti alla facoltà di Giurisprudenza dell’università di Roma La Sapienza.

Da più di quindici anni, grazie agli sforzi del Prof. Federico Sorrentino e di numerosi volontari, a Rebibbia è attivo questo virtuoso progetto, che vede studenti e dottorandi della Sapienza entrare nell’istituto di pena per offrire lezioni di diritto ai detenuti iscritti presso la stessa facoltà.

Il cuore pulsante delle attività è rappresentato da un’apposita aula studio, accessibile dalla mattina al tardo pomeriggio. Chi si iscrive alla facoltà ha a disposizione uno spazio interamente dedicato all’istruzione. Quando non vi si svolgono le lezioni, l’aula è adibita allo studio, personale o in gruppi.

Il cuore pulsante delle attività è rappresentato da un’apposita aula studio, accessibile dalla mattina al tardo pomeriggio. Chi si iscrive alla facoltà ha a disposizione uno spazio interamente dedicato all’istruzione. Quando non vi si svolgono le lezioni, l’aula è adibita allo studio, personale o in gruppi.

La prima impressione che si avverte varcando la soglia di questa sala studio è la sacralità con cui viene manutenuta dai suoi fruitori. Più dell’ordine e della cura, un fattore specifico appare emblematico: nell’aula studio non si fuma. Può sembrare una banalità, ma una delle prime cose che colpisce chi entra in carcere per la prima volta è il fatto che si fumi dovunque. Tra le altre cose, il fumo è un modo per scaricare la fatica fisica e mentale che la detenzione inevitabilmente comporta e non stupisce quindi che il tabagismo sia fortemente radicato7).

Gli studenti che gestiscono l’aula studio, invece, si sono auto imposti di non fumare al suo interno. Ciò rappresenta la misura sia dell’affezione per lo spazio dedicato allo studio sia del rispetto verso chi, soprattutto i volontari, viene a trascorrere del tempo nell’aula studio.

Insomma, l’aula menzionata sembra una realizzazione plastica dei principi indicati dalla Legge penitenziaria. Non solo dell’art. 5 suindicato ma anche dell’art. 6 O.P. laddove prevede che gli istituti di pena siano dotati di “spazi comuni al fine di consentire ai detenuti e agli internati una gestione cooperativa della vita quotidiana nella sfera domestica.”.

L’aula studio è infatti uno spazio gestito dagli studenti, nella consapevolezza della sua eccezionale importanza.

Purtroppo, per motivi legati all’emergenza pandemica, recentemente l’aula studio è stata destinata anche all’effettuazione delle video chiamate tra familiari e detenuti, che vi si recano due volte alla settimana. È indubbia la difficoltà di reperire spazi di grandi dimensioni all’interno dell’istituto per soddisfare tutte le esigenze della vita penitenziaria. Tuttavia, sarebbe auspicabile che, terminata l’emergenza, l’aula studio tornasse a pieno regime alla sua originaria funzione.

L’ulteriore cardine delle attività è rappresentato dai volontari, dottorandi e non, che si recano in carcere per offrire le lezioni e rispondere alle domande degli studenti.

Recentemente, l’organizzazione delle attività di tutoraggio degli studenti di Giurisprudenza è stata incrementata grazie all’istituzione del Polo Universitario dell’Università la Sapienza, fortemente voluto e organizzato dal prof. Pasquale Bronzo, delegato della rettrice per il Polo Penitenziario.

Il Polo Penitenziario ha il compito di coordinare le attività dei vari attori sul campo, pubblici e privati, che possono incentivare l’adesione allo studio universitario.

Sotto questo punto di vista, è davvero rilevante l’incentivo economico offerto dalla Sapienza: chi decide di iscriversi a un corso universitario ha diritto all’esenzione totale dal pagamento delle tasse universitarie8). Tale beneficio economico spetta anche a chi è in misura alternativa e a chi ha espiato la pena, entro il termine di cinque anni decorrenti dal termine legale di durata del corso.

Per quanto riguarda l’insegnamento delle discipline, il coordinatore del gruppo, Luca Mariantoni, si occupa di calendarizzare le lezioni da svolgere e contatta i docenti per programmare le date degli esami. L’organizzazione delle lezioni frontali è fondamentale poiché rappresenta il momento di incontro tra “dentro e fuori”.

Sono previste otto lezioni per materia, da svolgere circa due volte a settimana. Nulla toglie poi che il volontario che ha impartito la lezione si organizzi per recarsi in istituto e rispondere alle domande degli studenti o per discutere della materia. Alle lezioni dei dottorandi si aggiungono poi quelle impartite da altri volontari, come gli avvocati del Foro di Roma che operano nell’ambito del progetto “Conoscenza è libertà”.

Ad oggi sono circa 25 i dottorandi che si recano a Rebibbia per svolgere le lezioni a fronte dei dodici detenuti iscritti alla facoltà. I docenti svolgono la loro attività a titolo volontario (ex art. 17 O.P.) ma sarebbe utile che la loro attività venisse formalizzata all’interno dell’università. Specie per i ricercatori, tale adempimento può essere necessario per rendicontare le ore trascorse in istituto.

Ad oggi sono circa 25 i dottorandi che si recano a Rebibbia per svolgere le lezioni a fronte dei dodici detenuti iscritti alla facoltà. I docenti svolgono la loro attività a titolo volontario (ex art. 17 O.P.) ma sarebbe utile che la loro attività venisse formalizzata all’interno dell’università. Specie per i ricercatori, tale adempimento può essere necessario per rendicontare le ore trascorse in istituto.

Le potenzialità del progetto sono evidenti. Come ogni esperienza di volontariato in carcere, l’incontro tra “dentro e fuori” presenta notevoli aspetti di interesse e per questo deve essere incrementato. Da un lato, per gli studenti “di fuori” (dottorandi e non) l’ingresso in carcere rappresenta un ineguagliabile opportunità di toccare con mano una parte della nostra società, che arricchisce la loro formazione personale e professionale.

Dall’altra, l’ingresso dei volontari permette agli studenti “di dentro” di mantenere il contatto con la realtà esterna, spesso messo a rischio dal processo di alienazione dovuto alla detenzione. Del resto l’obiettivo del volontariato in carcere è proprio quello di avvicinare al carcere la società nel cui tessuto deve avvenire il reinserimento dei detenuti9).

Sotto questo punto di vista, preme sottolineare l’importanza rivestita dall’accesso alle nuove tecnologie. In particolare, al fine di rendere effettivo il reinserimento nella società, è di fondamentale importanza garantire all’interno degli istituti di pena l’accesso a Internet.

Da tempo, la normativa di riferimento apre a questa possibilità: l’art. 12 O.P. prescrive che gli istituti penitenziari devono essere dotati di attrezzature per lo svolgimento di attività lavorative, di istruzione scolastica e professionale10).

Nello specifico, l’accesso a Internet è stato indicato quale “indispensabile elemento di crescita personale” dalla circolare n. 366755 del 2015, che ha cercato di incentivarne la predisposizione da parte degli istituti di pena11). Nel documento si sottolinea sia che molte attività trattamentali richiedono l’accesso a Internet sia che l’esclusione dall’utilizzo delle tecnologie informatiche può costituire un ulteriore elemento di marginalizzazione per i detenuti.

Per questi motivi, sembra essenziale che (almeno) nell’aula studio degli studenti di Giurisprudenza sia consentito l’accesso ad Internet, con le dovute cautele richieste da esigenze di sicurezza.

Infatti, l’utilizzo di Internet permetterebbe di frequentare (in video chiamata) le lezioni che si svolgono dal vivo in Università.

Inoltre, l’accesso immediato ai siti istituzionali potrebbe garantire agli studenti una celere consultazione delle ultime novità giurisprudenziali, utile a fini didattici ma anche pratici. Infatti, gli studenti di Giurisprudenza di Rebibbia sono giocoforza un punto di riferimento per gli altri ristretti, che chiedono consigli relativi all’interpretazione degli atti giuridici che li interessano. Sarebbe quindi importante garantire un accesso alle novità legislative o giurisprudenziali riguardanti l’esecuzione della pena, così che la popolazione detenuta possa conoscerne il contenuto in tempi rapidi (ossia i tempi della realtà esterna).

In tal senso, pare che la direzione della Casa Circondariale di Rebibbia stia facendo tutto il possibile per garantire un accesso ad Internet all’interno dell’Istituto.

Sempre nell’ottica di preservare il contatto con la realtà esterna, risulta di fondamentale importanza l’utilizzo di personal computer. Soprattutto per chi studia all’università, il PC infatti rappresenta un utile strumento di studio perché – tra le altre cose – permette di consultare dispense e redigere riassunti. Tale possibilità è però fortemente ridotta per i detenuti di Rebibbia, studenti universitari e non. Da quanto riferitoci infatti sembrerebbe che siano ammessi in carcere solo PC nuovi, per evidenti ragioni di sicurezza. Tale disposizione però rischia di rendere impossibile l’accesso a questa tecnologia per tutte quelle persone che non riescono a coprire i costi di un nuovo computer, ma che ben potrebbero trovarne uno usato.

Il servizio di controllo tecnico del materiale che deve entrare in istituto dovrebbe quindi essere rafforzato, al fine di consentire l’ingresso in carcere anche di personal computer usati, debitamente controllati.

In definitiva, l’esperienza degli studenti di Giurisprudenza di Rebibbia, pur con le sue criticità, rappresenta un importante modello di attuazione della normativa dedicata al diritto allo studio universitario.

Tuttavia, non può non sottolinearsi come la disponibilità di un’aula studio interamente dedicata alla formazione universitaria rappresenti, se non un unicum, una delle rare ipotesi sul territorio nazionale. Non solo, anche all’interno dello stesso istituto di Rebibbia, l’aula studio degli studenti di Giurisprudenza rappresenta quella che viene definita una “cattedrale nel deserto”. La Casa circondariale di Rebibbia infatti non riesce ad offrire un sufficiente numero di attività trattamentali. La carenza di lavoro è, come nel resto d’Italia, endemica, e le attività formative e di studio hanno subito un brusco arresto a causa della pandemia.

Sarebbe perciò auspicabile che le esperienze di volontariato come quella brevemente riassunta venissero incentivate e moltiplicate, traendo spunto dai progetti concreti come quello succintamente descritto. In questo senso, il volontariato rappresenta un’ottima via per decostruire “il deserto” di attività che circonda “la cattedrale”, ossia per incentivare lo sviluppo delle (poche) attività che a Rebibbia, e non solo, sono offerte per il reinserimento dei detenuti.

References

References
1 L’espressione è di F. Prina. Si rimanda al suo contributo per un’analisi approfondita del tema di Poli universitari penitenziari: F. Prina, “Il diritto dei detenuti agli studi universitari: l’esperienza dei Poli universitari penitenziari in Italia” in XV rapporto sulle condizioni di detenzione. https://www.antigone.it/quindicesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/i-poli-universitari-in-carcere/
2 Periodo inserito con la recente riforma attuata con D.lgs. del 2 ottobre 2018, n. 123.
3 M. Ruotolo, “Diritti dei detenuti e Costituzione”, Torino 2002.
4 F. Fiorentin – C. Fiorio, Manuale di diritto penitenziario, Milano 2020.
5 Il numero degli iscritti in regime di media sicurezza è pari 626, in alta sicurezza 449 e 33 sottoposti al regime di 41 bis. Fonte: CNUPP. https://www.gnewsonline.it/ministero-giustizia-e-cnupp-siglano-protocollo-per-diritto-a-studi-universitari/
6 F. Prina, “Il diritto dei detenuti agli studi universitari: l’esperienza dei Poli universitari penitenziari in Italia” in XV rapporto sulle condizioni di detenzione. https://www.antigone.it/quindicesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/i-poli-universitari-in-carcere/
C. Antonucci, “Studia che ti passa. I numeri (desolanti) delle proposte scolastiche del sistema penitenziario del nostro paese” in XIV rapporto sulle condizioni di detenzione. https://www.antigone.it/quattordicesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/istruzione-e-formazione/
7 Le cause del tabagismo in carcere sono più complesse e sono state analizzate da E. Gentilini, F. Franz “Fumo e carcere: due problemi e una soluzione” https://antigoneonlus.medium.com/fumo-e-carcere-due-problemi-e-una-soluzione-7765ecd4a8ba
8 È previsto il pagamento di trenta euro annui.
9 F. Fiorentin – C. Fiorio, Manuale di diritto penitenziario, Milano 2020
10 Le Regole Penitenziarie Europee del Consiglio d’Europa sottolineano poi come la vita in carcere dovrebbe avvicinarsi “il più possibile agli aspetti positivi della vita nella società libera” (Regola 5) e che tutta la detenzione dovrebbe “essere gestita in modo da facilitare il reinserimento nella società libera delle persone che sono state private della libertà” (Regola 6).
11 http://www.ristretti.it/commenti/2015/novembre/pdf/circolare_dap.pdf