Susanna Marietti

Partire dalle donne per una nuova idea di carcere

Il Rapporto che avete davanti agli occhi è il risultato di uno straordinario viaggio collettivo in luoghi anomali. Sono anomali, in quanto difformi dalla regola, in quanto non sovrapponibili al modello di riferimento. Se la regola e il modello sono i luoghi del carcere maschile, allora le sezioni e gli istituti che ospitano le donne detenute costituiscono un’anomalia. Non è su di loro che il carcere si è plasmato nel modello di detenzione, non è qui che ha sviluppato le sue norme e le sue prassi più affermate.

Non è qui per un motivo banale: perché le donne in carcere sono percentualmente poche, perché lo sono da sempre, perché lo sono ovunque. Semplicemente, il carcere qui non ha potuto esercitare a sufficienza i propri schemi di comportamento.

E allora il nostro viaggio è stato straordinario, perché è uscito in ogni tappa dall’ordinarietà per guardare oltre le mura che racchiudono quella piccola quota di donne che si trova ad abitare le carceri italiane. Nei mesi scorsi abbiamo visitato con il nostro Osservatorio i quattro istituti penitenziari femminili che si trovano in Italia, le 44 sezioni femminili collocate in carceri a prevalenza maschile, le tre carceri minorili dove si trovano ragazze, le sei sezioni che ospitano detenute trans pur all’interno di carceri considerate maschili, i cinque Istituti a custodia attenuata per madri. Vi raccontiamo quel che abbiamo visto lungo questi percorsi. Vi raccontiamo uno per uno i luoghi visitati, dedicando uno spazio del nostro Rapporto a ciascuno di essi. E poi vi raccontiamo i numeri, la vita interna, le riflessioni, in una lettura che speriamo possa contribuire a far uscire la detenzione delle donne dalla zona d’ombra nella quale troppo spesso si trova.

Di carcere si parla poco e male. La sua quotidianità autentica non interessa granché. Se ne parla quando accade il fatto di cronaca eclatante: l’evasione, la rivolta, il reato efferato. Ma l’evasione, la rivolta, il reato efferato quasi mai riguardano la detenzione delle donne. E allora si finisce per parlare solo di uomini anche quelle poche volte che il carcere fa notizia.

Il primo motivo per cui abbiamo scelto di intraprendere il nostro viaggio è stato dunque questo: parlare e far parlare di donne detenute. Ma non è stato il solo. Si è aggiunta la spinta alla conoscenza che caratterizza Antigone dalla sua nascita. Il carcere femminile è poco noto e visitarlo per intero da nord a sud e da destra a sinistra ha significato per noi accrescere la nostra consapevolezza del sistema.

Ed è questa consapevolezza che oggi ci fa dire che la detenzione femminile può e deve divenire un modello capace di allargarsi anche al di là dei propri confini. Le donne detenute radicalizzano una serie di caratteristiche della popolazione carceraria nel suo complesso che sempre più sono rappresentate nella massa delle persone che la nostra società rinchiude in galera. Parliamo della massa, quella che produce i grandi numeri, che non è il nucleo di detenuti con un elevato spessore criminale. La massa della popolazione detenuta è costituita da persone che provengono dagli strati più marginali della società, che sperimentano povertà economica ed educativa, che vivono un’emarginazione che il periodo di detenzione non fa altro che approfondire, che presentano uno scarso spessore criminale e anche una scarsa pericolosità penitenziaria.

La grande maggioranza delle donne è tutto questo, ancora di più. Dallo scarso spessore criminale e dalla scarsa pericolosità penitenziaria si può e si deve ripartire per immaginare un modello di detenzione nuovo e più aperto, dove il tempo della pena acquisti direzione e significato, dove il raccordo con il territorio circostante sia capillare e continuo. Si può partire dalla detenzione delle donne per rovesciare l’ottica: rendiamola il modello cui parametrare il carcere, la regola dalla quale ripartire per vedere altrove l’anomalia, per vederla in un carcere inutilmente segregante e in una vita interna priva di contenuto.

Prima di fare ciò, bisogna però garantire pieni diritti e adeguata attenzione alle donne in carcere. In un sistema troppo spesso declinato al maschile, manca una considerazione specifica dei bisogni femminili e delle potenzialità che la detenzione femminile può avere nel plasmare una nuova idea di carcere.

Le dieci proposte che qui presentiamo sono anch’esse frutto del nostro viaggio straordinario. Ci auguriamo che vengano raccolte e che possano continuare a fare tanta strada.

La tragedia di Antigone racconta del rapporto tra la legge e la giustizia e del conflitto tra il potere maschile e il corpo della donna. E ad Antigone abbiamo voluto titolare questo primo Rapporto sulle donne detenute in Italia, nel nome di tutte le Antigoni che si trovano nelle carceri italiane.

LE DIECI PROPOSTE DI ANTIGONE PER I DIRITTI DELLE DONNE DETENUTE

Nella legislazione italiana mancano norme che guardino ai bisogni specifici delle donne detenute. Allo stesso modo, le norme in materia di organizzazione degli uffici e del personale non adottano una prospettiva di genere e non guardano ai rischi di discriminazione. Andrebbero introdotte – nell’Ordinamento penitenziario (Legge n.354 del 1975), nella Legge 395 del 1990, nel Regolamento di esecuzione (D.P.R. n.230 del 2000), ma anche attraverso circolari dell’Amministrazione Penitenziaria – norme che abbiano un approccio rispettoso della prospettiva di genere. Le Regole di Bangkok (Regole delle Nazioni Unite relative al trattamento delle donne detenute e alle misure non detentive per le donne autrici di reato) ribadiscono che le misure adottate per soddisfare tali necessità nella prospettiva della parità di genere non sono da considerarsi discriminatorie.

Quelle che riportiamo qui di seguito sono solo alcune delle proposte possibili di innovazione:

  1. Va istituito nel Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria un ufficio che si occupi di detenzione femminile, che deve essere diretto da esperti in politiche di genere.
  2. Vanno previste azioni positive dirette a rimuovere gli ostacoli che le donne incontrano nell’accesso al lavoro, all’istruzione, alla formazione professionale.
  3. Le camere di pernottamento delle detenute devono disporre di tutto ciò che è necessario per soddisfare le esigenze igieniche e sanitarie specifiche delle donne, compresi gli assorbenti igienici forniti gratuitamente.
  4. Alle donne detenute deve essere assicurato un servizio di prevenzione e di screening dei tumori femminili equivalente a quello delle donne in libertà. In particolare il PaP test e il test di screening per il cancro al seno o all’apparato riproduttivo devono essere offerti alle detenute parimenti a quanto avviene nella comunità libera per le altre donne della medesima età.
  5. In fase di accoglienza della donna in carcere deve essere assicurato dagli operatori del carcere e da quelli del Servizio Sanitario Nazionale un approfondito esame diretto a verificare se la donna ha subito violenza sessuale o altri abusi o forme di violenza prima dell’ammissione in carcere. Se durante la detenzione vengono accertati o denunciati episodi di violenza sessuale o altri abusi o maltrattamenti, la donna deve essere prontamente informata del diritto di rivolgersi all’autorità giudiziaria.
  6. Alla donna vittima di violenza presa in carico dal punto di vista sanitario, psicologico e sociale durante la detenzione deve essere assicurata continuità di cura una volta fuori.
  7. Nelle carceri dove sono recluse donne vi deve essere staff adeguatamente formato e specializzato sulla violenza di genere. Tutto il personale incaricato di lavorare con le donne detenute deve ricevere una formazione relativa alle esigenze specifiche di genere e ai diritti delle donne detenute.
  8. Vanno previste azioni dirette a evitare ogni forma di discriminazione basate sul genere nei confronti delle donne che lavorano nello staff penitenziario a tutti i livelli.
  9. In accordo con il principio per cui la vita in carcere deve approssimarsi il più possibile a quella nella comunità libera, in tutte le carceri che ospitano sia uomini che donne vanno previste attività diurne congiunte, così da incrementare le opportunità in particolare per le donne detenute.
  10. Le carceri e le sezioni femminili devono essere improntate il massimo possibile al modello della custodia attenuata.