Sono 2.703 le donne detenute nelle carceri italiane al 31 marzo 2025, il 4,3% della popolazione detenuta complessiva, una percentuale che è rimasta sostanzialmente stabile nel corso dei decenni.
Il numero delle donne detenute, dal 2000 è aumentato del 57%, sta crescendo molto più rapidamente di quello degli uomini.
A livello mondiale – secondo i dati pubblicati lo scorso febbraio dall’Institute for Crime and Justice Policy Research di Birkbeck, Università a Londra, nella sesta edizione del suo World Female Imprisonment – le donne in carcere sono oltre 733.000, costituendo il 6,8% della popolazione detenuta globale. Il numero delle donne detenute, che dal 2000 è aumentato del 57%, sta crescendo molto più rapidamente di quello degli uomini, che nello stesso arco di tempo ha visto un incremento del 22%. Molte donne scontano pene detentive brevi o sono sottoposte a custodia cautelare e per loro il carcere è spesso usato per punire comportamenti legati alla condizione di povertà e al bisogno di mantenere la famiglia. In alcuni paesi la crescita è stata particolarmente marcata: in Cambogia il numero delle donne detenute è oltre nove volte maggiore di quello che era nel 2000, in Indonesia e Salvador oltre sette volte, in Guatemala oltre sei volte, in Brasile cinque volte. I paesi con la più alta percentuale di donne sul totale della popolazione reclusa sono Hong Kong (21%), Macau (17,8%), Laos (13,7%), Myanmar (12,3%), Tailandia, Vietnam e Guatemala (12,1%). I paesi con il più alto numero di donne incarcerate ogni 100.000 abitanti sono invece gli Stati Uniti (52) la Thailandia (47), El Salvador (42), Ruanda (41), Turkmenistan (38).
Con la chiusura del carcere di Pozzuoli nel giugno 2024 a causa del terremoto, sono oggi solo tre le carceri interamente femminili sul territorio nazionale.
Con la chiusura del carcere di Pozzuoli nel giugno 2024 a causa del terremoto, sono oggi solo tre le carceri interamente femminili sul territorio nazionale: Rebibbia a Roma (375 presenze per 272 posti, il carcere femminile più grande d’Europa), la Giudecca a Venezia (102 presenze per 112 posti) e la piccola Casa di Reclusione femminile di Trani (34 presenze per 32 posti). Oltre l’80% delle donne detenute è ospitato in sezioni femminili all’interno di carceri a prevalenza maschile, che attualmente sono 46. Sezioni a volte piccole o piccolissime, come quelle di Piacenza (19 donne), Reggio Emilia (18), Pesaro, Forlì e Sassari (17), L’Aquila (12), di Potenza (6), Mantova (6), Barcellona Pozzo di Gotto (2). Chiudere tali sezioni significherebbe spostare le donne lontano dai propri affetti e riferimenti sociali. Spesso tuttavia numeri così piccoli comportano l’assenza di ogni attività organizzata e l’ozio forzato in una detenzione del tutto infruttuosa in termini di reintegrazione in società. A seguito del Primo Rapporto di Antigone sulle donne detenute, dal titolo “Dalla parte di Antigone” e pubblicato l’8 marzo 2023, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria avviò con un tavolo di lavoro – del quale tuttavia non si è saputo più nulla – un percorso di riflessione che avrebbe potuto valutare tra le altre cose la possibilità di organizzare attività diurne congiunte tra uomini e donne in carcere, quali ad esempio classi scolastiche miste. Una soluzione di facile realizzazione e non costosa, che avvicinerebbe il carcere alla vita nel mondo libero e risolverebbe uno dei principali problemi tradizionalmente legati alla detenzione femminile. Non solo le attività comuni sono quasi inesistenti, ma nel 46,4% degli istituti con sezione femminile visitati da Antigone nel 2024 non è prevista mai alcuna occasione di incontro.
Per quanto riguarda le misure alternative alla detenzione, al 31 dicembre 2024 le donne che vi erano sottoposte erano 4.405, pari al 9,5% del totale delle persone in misura alternativa. Una percentuale di più del doppio rispetto a quella della detenzione in carcere.
Per quanto riguarda le misure alternative alla detenzione, al 31 dicembre 2024 le donne che vi erano sottoposte erano 4.405, pari al 9,5% del totale delle persone in misura alternativa. Una percentuale di più del doppio rispetto a quella della detenzione in carcere. Tale discrepanza si può spiegare con tre fattori: il primo è la minore gravità dei reati tendenzialmente commessi dalle donne rispetto a quelli commessi dagli uomini, che consente un più facile accesso alle alternative esterne; il secondo sono le norme specifiche a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori, che favoriscono percorsi non carcerari per le donne con figli piccoli; il terzo è il maggiore tasso di fiducia che magistratura di sorveglianza è disposta ad accordare alle donne, anche a parità di reato, in considerazione della loro minore pericolosità sociale. All’interno dell’area di esecuzione penale esterna, le donne sono tuttavia maggiormente rappresentate in termini percentuali nella detenzione domiciliare (che pesa per il 32,2% sul totale delle misure alternative concesse a donne, mentre pesa per il 28,4% sul totale delle misure alternative complessive) mentre lo sono meno nell’affidamento in prova al servizio sociale (che pesa per il 66,8% sul totale delle misure alternative concesse a donne e per il 68,9% sul totale delle misure alternative complessive). Nelle pene sostitutive introdotte dalla riforma Cartabia le donne pesano per il 9% del totale (al 31 dicembre erano in 467 a scontare una pena sostitutiva) mentre nella messa alla prova addirittura per il 15,5% (vi erano sottoposte 4.064 donne a quella data).
Tornando al carcere, le donne detenute straniere al 31 marzo sono 766, pari al 28,3% del totale della popolazione reclusa femminile, in netto calo rispetto a cinque anni fa.
Tornando al carcere, le donne detenute straniere al 31 marzo sono 766, pari al 28,3% del totale della popolazione reclusa femminile, una percentuale di poco superiore a quella dell’anno precedente (26,8%) ma in netto calo rispetto a cinque anni fa (era pari al 35,9% alla fine del 2019). Le nazioni più rappresentate sono la Romania (187 donne), la Nigeria (92) e il Marocco (51).
Tra i reati ascritti alle donne che si trovano in carcere, la categoria maggiormente rappresentata è quella dei reati contro il patrimonio, che alla fine del 2024 rappresentava il 29,1% di tutti i reati ascritti a donne detenute. La corrispondente percentuale per gli uomini era pari al 23,6%. Seguono i reati contro la persona, che rappresentavano per le donne il 18,6% del totale (in linea con gli uomini, per cui tale percentuale era pari al 18,5%) e i reati legati alla droga (14,1% del totale, percentuale quasi pari al 14,3% per gli uomini). Per quanto riguarda i reati legati alle armi, essi rappresentano il 2,4% di quelli ascritti a donne detenute e il 6,4% di quelli ascritti a uomini detenuti (per i quali dunque pesa probabilmente, nel paragone con le donne, più la rapina rispetto al furto all’interno dei reati contro il patrimonio). Quanto all’associazione di stampo mafioso, pesava per il 4,1% dei reati ascritti a donne detenute e per il 6,4% dei reati ascritti a uomini detenuti.
Al 31 marzo erano 15 i bambini che vivevano in carcere con le loro 15 madri detenute.
Al 31 marzo erano 15 i bambini che vivevano in carcere con le loro 15 madri detenute – di cui 10 straniere – un numero che in passato è stato di molto superiore. Di essi, 3 erano ospitati nell’Icam di Milano, 3 in quello di Venezia e 2 in quello di Torino; 6 si trovavano nel carcere di Rebibbia e 1 in quello di Perugia. L’Icam campano di Lauro, che tradizionalmente ospitava il numero maggiore di bambini, è al momento inattivo e si apprende da notizie di stampa che l’edificio verrà destinato a ospitare una Rems.
Il cosiddetto decreto legge sicurezza ha cancellato l’obbligo del rinvio dell’esecuzione della pena per donne incinte o con prole inferiore a un anno di età.
Il cosiddetto decreto legge sicurezza, emanato dal governo lo scorso aprile e contenente sostanzialmente le medesime norme che giacevano in Parlamento da oltre un anno nel disegno di legge governativo chiamato allo stesso modo, ha cancellato l’obbligo del rinvio dell’esecuzione della pena per donne incinte o con prole inferiore a un anno di età. La donna in gravidanza o appena divenuta madre, una volta condannata, potrà iniziare da subito a scontare la propria pena. Se il bambino ha meno di un anno di età la donna dovrà andare obbligatoriamente in un Icam, mentre se il bambino ha tra un anno e tre anni di età potrà andare in un Icam oppure, se le ragioni di sicurezza lo richiedono, in un carcere ordinario. Una cosa analoga accade in fase cautelare. Non è chiaro in che modo i pochi posti disponibili negli Icam potranno far fronte a tale esigenza.
Si introduce inoltre per la prima volta la possibilità che il bambino venga sottratto alla madre. Il decreto prevede infatti che la donna sottoposta alla custodia cautelare in un Icam possa venire trasferita in chiave punitiva in un carcere ordinario senza suo figlio quando la condotta non è adeguata. Sorprende che la rubrica dell’articolo parli di “condotte pericolose realizzate da detenuti in istituti a custodia attenuata per detenute madri”, declinando al maschile il sostantivo quando gli Icam ospitano solo donne.
Da ricordare la recente sentenza numero 52/2025 pubblicata in Gazzetta Ufficiale lo scorso 23 aprile 2025, con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo il comma 7 dell’art. 47-quinquies dell’Ordinamento Penitenziario nella parte in cui prevede che, in caso di decesso della madre, la detenzione domiciliare speciale possa venire concessa al padre detenuto solamente qualora “non vi è modo di affidare la prole ad altri” che a lui. Vale a dire che il padre detenuto, anche qualora vi siano altri parenti disponibili o differenti figure che potrebbero farsi carico del bambino, deve avere la possibilità di accedere alla detenzione domiciliare e ripristinare così la convivenza con il figlio qualora la madre venga meno.