Isolamento, eventi critici e chiusure

di Rachele Stroppa1

Isolamento, eventi critici e chiusure: una ricostruzione sulla base dell’osservazione di Antigone

Dario2 è un ragazzo di poco più di trent’anni, con due figli piccoli, arrestato ad inizio del 2024 per furto e rapina, con un problema di dipendenza dal crack da molto tempo. Arrivato in carcere, si è ritrovato a dormire su un materasso pieno di cimici e a sperimentare le pessime condizioni di detenzione dell’istituto sovraffollato in cui è stato condotto, sebbene tali condizioni, purtroppo, siano piuttosto comuni negli istituti penitenziari italiani. Dario ha cominciato a reclamare i propri diritti, inimicandosi alcuni detenuti, ma anche alcuni agenti di polizia penitenziaria, soprattutto in seguito ad una protesta messa in atto quando si trovava in evidente stato di alterazione e disperazione. Dopo la protesta, è stato immediatamente trasferito in una grande casa circondariale del nord Italia e collocato in una cella di isolamento in cui è rimasto alcuni giorni; senza lenzuola, senza vestiti, senza acqua in cella, non potendo quindi lavarsi, senza poter usare lo scarico del bagno. Secondo il racconto della madre, che ha contattato il Difensore civico di Antigone, il ragazzo avrebbe commesso in più occasioni gesti autolesivi e avrebbe ricevuto dosi massicce di sedativi.

La storia di Dario è paradigmatica; racchiude in sé, in modo drammatico, i conflitti, le criticità, i limiti, le contraddizioni, le difficoltà e la sofferenza che caratterizzano il carcere contemporaneo. Un’analisi superficiale della storia di Dario ci porterebbe a dire che, essendosi reso protagonista di alcuni eventi critici sin dall’inizio del suo percorso di detenzione ed avendo dimostrato un’attitudine poco incline ad adattarsi alle regole del mondo penitenziario, il suo caso meriterebbe di essere gestito con un approccio intransigente, fatto di isolamento e di chiusura, al fine di tutelare comunque la sicurezza all’interno dell’istituto e di mantenere una comunità penitenziaria ordinata. Ma questa è solo una delle interpretazioni possibili di questa storia; un’interpretazione che non è in grado di restituire la complessità di quanto accaduto a Dario e ai tanti come lui, nonché delle stratificate difficoltà che molti operatori penitenziari si trovano a gestire quotidianamente.

Proveremo a delineare che rapporto sussiste tra la produzione di eventi critici e la progressiva chiusura del sistema penitenziario italiano.

Attraverso l’analisi dei dati qualitativi e quantitativi delle schede dell’Osservatorio sulle condizioni di detenzione di Antigone relative alle visite realizzate tra il 2019 e il 2024, proveremo a delineare che rapporto sussiste tra la produzione di eventi critici e la progressiva chiusura del sistema penitenziario italiano, oltre a comprendere il ruolo del “paradigma dell’esclusione” nel governo del carcere contemporaneo. In questo quadro, l’isolamento è il dispositivo cardine (cfr. Deleuze, 2007) attorno cui si struttura questo processo di esclusione e di separazione che attraversa il sistema penitenziario italiano.
Nell’ottica di avere un bagaglio di informazioni il più ampio possibile, che permetta di comprendere i cambiamenti, le tendenze o le cristallizzazioni che hanno interessato il sistema carcerario italiano, ci soffermeremo soprattutto sulle schede degli istituti che gli osservatori di Antigone hanno visitato almeno 4 volte tra il 2019 e il 2024. Il nostro campione è risultato essere composto da 242 schede relative a 51 istituti penitenziari differenti. Le variabili osservate – senza alcuna pretesa di esaustività nè di precisione statistica – sono l’isolamento, i principali eventi critici (ovvero i suicidi, i tentati suicidi e l’autolesionismo) e la quotidianità detentiva nei termini di accesso all’aria e di apertura o meno delle celle.

Partiamo dall’isolamento3. Sebbene la stessa pena privativa della libertà sia nata in isolamento, proprio perché si credeva che la solitudine dell’isolamento permettesse di avviare la reformation del detenuto, ottenendo quindi un cambiamento nella sua moralità e nella sua condotta (Pavarini e Melossi, 1977; Foucault, 2016; Stroppa, 2024), sul piano legale l’isolamento è previsto principalmente come una sanzione, quindi con finalità punitivo-disciplinari. Si tratta della sanzione di esclusione dalle attività in comune, che prevede la reclusione in cella in solitudine per 22 ore al giorno per una durata massima di 15 giorni. Infatti, secondo l’ordinamento penitenziario italiano, l’isolamento è giustificato solamente per ragioni disciplinari, oltre che sanitarie e giudiziarie (art. 33 o.p.).
A proposito dell’isolamento sanitario, non si può non tenere conto del fatto che questo sia stato lo strumento principale mediante cui è stata gestita la pandemia dentro il carcere. Tuttavia – e non a caso – l’isolamento è stato anche una delle principali risposte repressive che l’istituzione penitenziaria ha messo in atto dopo le proteste avvenute in carcere all’inizio dell’emergenza sanitaria (sul punto si veda Sbraccia et al., 2020).

Aumenta il numero dei provvedimenti di isolamento disciplinare comminati, ma al contempo chi si trova nelle sezioni di isolamento non è lì per scontare la sanzione di esclusione delle attività in comune.

Oltre al fatto che l’isolamento ha completamente perso ormai da molto tempo quella funzione di riforma della personalità dell’individuo ristretto (cfr. Shalev, 2009), in questi anni abbiamo potuto osservare come siano due i processi principali che hanno caratterizzato questo dispositivo penitenziario. In primo luogo, si può constatare come gli spazi di isolamento non vengano più strettamente utilizzati per adempiere alle funzioni per cui sono previsti sul piano normativo. Siamo davanti, infatti, ad una situazione complessa quanto paradossale; aumenta il numero dei provvedimenti di isolamento disciplinare comminati, ma al contempo chi si trova nelle sezioni di isolamento non è lì per scontare la sanzione di esclusione delle attività in comune4, bensì per i motivi più diversi. In isolamento oggi troviamo anche soggetti che dovrebbero stare nelle sezioni comuni, ma che per mancanza di spazi vengono collocati in isolamento. Da notare che, sebbene si tratti di soggetti formalmente assegnati a regime ordinario, comunque spesso si trovano a trascorrere 21 o 22 ore chiusi in cella. Presso questi reparti, vi troviamo sempre più di frequente anche persone che chiedono di stare in isolamento per problemi con altri detenuti o per sfuggire al sovraffollamento delle sezioni di media sicurezza. Ma, soprattutto, vi troviamo quegli individui che – solitamente a causa di fragilità psichica – non riescono ad inserirsi nei processi di convivenza con le altre persone detenute, causando frequenti alterazioni dell’ordine interno.

La sezione di isolamento si è andata configurando come lo spazio di deposito del conflitto.

Questo processo si è andato strutturando negli ultimi anni in maniera lenta, ma costante. I nostri Osservatori avevano constatato questo trend già nel 2023 a Santa Maria Capua Vetere, Biella, Viterbo, Cosenza e nel 2024 a Secondigliano (al momento della visita, erano 13 le persone ospitate nella sezione dedicata all’isolamento; di queste, tuttavia, soltanto 2 stavano scontando una sanzione disciplinare), a Foggia, a Salerno (dove all’interno delle celle di isolamento vi erano solo soggetti definiti “incompatibili” dall’amministrazione) e in molti altri istituti. Progressivamente, quindi, la sezione di isolamento si è andata configurando come lo spazio di deposito (cfr. Irwin, 2005) del conflitto – non sempre esplicito – all’interno del penitenziario; il luogo in cui collocare quelle soggettività subalterne non altrimenti collocabili in quanto fonte di alterazione dell’ordine. La priorità istituzionale sembra oggi quindi essere quella di neutralizzare (cfr. Shichor, 2006; De Giorgi 2005; Pavarini, 2013), a volte anche in chiave preventiva, l’individuo disturbatore, la cui condotta alterata potrebbe andare a creare conflitto all’interno di un contesto già altamente sotto stress.

Il secondo processo che abbiamo rilevato dall’osservazione nell’arco temporale 2019-2024 è la progressiva moltiplicazione degli spazi di isolamento.

Il secondo processo che abbiamo rilevato dall’osservazione nell’arco temporale 2019-2024 è la progressiva moltiplicazione degli spazi di isolamento. A Pesaro già nel 2019 era stato notato come l’infermeria fosse stata convertita in un luogo di isolamento, dove tra l’altro, venivano collocati anche i nuovi giunti. A Reggio Emilia nel 2022 lo spazio di isolamento era anche il medesimo luogo in cui veniva realizzata la prima accoglienza. Molto spesso, la sezione di isolamento, oltre ad ospitare i nuovi giunti, prevede anche le celle destinate a chi ha visto applicarsi l’art. 32 del reg. esec.. Tale norma prevede che “i detenuti e gli internati, che abbiano un comportamento che richiede particolari cautele, anche per la tutela dei compagni da possibili aggressioni o sopraffazioni, sono assegnati ad appositi istituti o sezioni dove sia piu’ agevole adottare le suddette cautele”. Come segnala Scandurra (2024), spesso gli Osservatori di Antigone incontrano in questi reparti dalle cautele incrementate sia aggressori (potenziali) che aggrediti (potenziali), e sovente i secondi chiedono di non fare l’ora d’aria con i primi, o diventa estremamente problematico per chi gestisce la sicurezza metterli assieme, e questi finiscono per avere un accesso all’aria estremamente limitato. Durante la visita realizzata a Poggioreale nel 2024, nella sezione ex art. 32 reg. esec. vigeva il regime a celle chiuse e ciascun detenuto era alloggiato in una cella singola, dotata di wc in ambiente separato, ma priva di tv. Nonostante non sempre le celle in cui vengono allocate le persone detenute in virtù dell’art. 32 reg. esec. siano singole, la custodia è comunque praticamente sempre chiusa, determinando così per i ristretti una condizione di totale separazione rispetto al resto della popolazione penitenziaria. Si tratta di una separazione legittimata dalla necessità di applicare misure di sicurezza maggiorate (le cosiddette “cautele”), la quale si inserisce anch’essa a pieno titolo in quello che abbiamo denominato “il paradigma dell’esclusione”. A Parma la sezione ex art. 32 reg. esec. da circa due anni e mezzo si presenta in condizioni fortemente critiche, non solo dal punto di vista ambientale (muri e pavimenti sporchi, spazi angusti e bui), ma anche per la tipologia di popolazione ivi ristretta che appare particolarmente sofferente e in uno stato di abbandono, sprovvista di risorse personali e di possibilità di accedere ad una adeguata offerta trattamentale. Un’ampia sezione ex art. 32 reg. esec. è presente anche a San Vittore; qui la custodia era chiusa già dal 2022; l’amministrazione sottolineava già all’epoca come lì venissero collocati “coloro che non si sono dimostrati in grado di gestire le aperture”.

Un’altro spazio di isolamento di fatto è costituito dalle così dette ATSM, ovvero le Articolazioni per la salute mentale; sezioni a prevalente gestione sanitaria, concentrate in pochi istituti, almeno uno per regione, con un compito quasi impossibile: curare il disagio psichico, soprattutto nelle forme più acute, in un luogo di espiazione di pena (Miravalle, 2024). A Belluno e ad Ascoli Piceno, già nel 2019, in ATSM vigeva la custodia chiusa. Presso l’ATSM di Reggio Emilia, durante una visita nel 2021 il personale segnalava come gli eventi critici fossero particolarmente diffusi all’interno di questa sezione. In una visita condotta a Salerno nel 2021 dagli Osservatori di Antigone, all’interno dell’articolazione psichiatrica è stata riscontrata la presenza di una cella liscia, con un solo materasso di spugna, con lenzuola, coperta, e cuscini, che al momento della visita ospitava una persona.

Il modello a custodia chiusa è stato definitivamente imposto con la circolare che ha riorganizzato il circuito della Media sicurezza nel luglio del 2022 e quella recentissima (del 27 febbraio 2025) che ha ribadito con fermezza la custodia chiusa sempre e comunque nei circuiti di Alta sicurezza.

Se da un lato, il rischio che le chiusure sperimentate durante la pandemia per gestire quella situazione emergenziale si insinuassero in maniera talmente profonda nel sistema, tanto da non abbandonarlo, in parte sicuramente si è verificato (Sbraccia et al. 2020) – come si evince in modo chiaro dalle schede analizzate relative a San Vittore e Poggioreale – dall’altro, il modello a custodia chiusa è stato definitivamente imposto con la circolare che ha riorganizzato il circuito della Media sicurezza nel luglio del 20225 e quella recentissima (del 27 febbraio 2025) che ha ribadito con fermezza la custodia chiusa sempre e comunque nei circuiti di Alta sicurezza6.

L’articolazione del circuito di Media sicurezza previsto dalla Circolare 3693/6143 del 18 luglio 2022, legittimato dalla necessità di garantire ai ristretti l’accesso ad una offerta trattamentale più individualizzata, si sostanzia in sezioni a trattamento intensificato e in sezioni ordinarie di preparazione al trattamento (oltre alla sezione di isolamento ex art. 33 o.p. e alla sezione ex art. 32 reg. esec.7). Il criterio di assegnazione presso le sezioni ordinarie viene realizzato sulla scorta di una valutazione del comportamento pregresso della persona detenuta e del livello di responsabilizzazione acquisito. In base a tale criterio vengono normalmente assegnati alle sezioni ordinarie i detenuti che nei sei mesi precedenti sono risultati destinatari di sanzioni disciplinari. La circolare, inoltre, prevede novità anche per i nuovi giunti; prima della riforma, la persona che faceva ingresso in carcere veniva collocata in una sezione di Media sicurezza ordinaria a custodia aperta. La circolare del luglio 2022 prevede, invece, che il nuovo giunto debba trascorrere ben 6 mesi nelle sezioni ordinarie, indicando l’allocazione nelle sezioni ordinarie a trattamento intensificato quale vero e proprio elemento del trattamento che, al pari ad esempio di permessi premio e lavoro all’esterno, deve essere inserito nel programma di trattamento dopo il periodo di osservazione (art. 27 reg. esec.).

Così facendo, la riforma del 2022 ha in realtà equiparato la quotidianità detentiva prevista per i detenuti in Alta sicurezza con quella vigente nelle sezioni ordinarie di preparazione al trattamento avanzato di Media sicurezza.

Con la circolare del 2022 cambia radicalmente la quotidianità detentiva all’interno delle sezioni ordinarie di Media sicurezza; per le persone detenute in tali reparti è preclusa la deambulazione sul corridoio di sezione, imponendo loro di trascorrere il tempo chiuso in cella, a meno che, oltre alle ore d’aria (quattro secondo l’art. 10 o.p.) non possano accedere ad attività di tipo trattamentale. Lo spirito della circolare sembra scontrarsi però con la realtà della scarsità di risorse investite nel trattamento sia quanto ad operatori (del tutto deficitario allo stato attuale il numero degli educatori, corrispondente ad 1 educatore ogni 68 detenuti) sia quanto all’opportunità di partecipare ad attività trattamentali. Nelle sezioni ordinarie le persone detenute ivi allocate vedono pertanto fortemente limitata la libertà di movimento al di fuori delle celle, essendo sottoposte ad un modello di governo della sezione basato sulla custodia chiusa. Così facendo, la riforma del 2022, appellandosi a supposte esigenze trattamentali, ha in realtà equiparato la quotidianità detentiva prevista per i detenuti in Alta sicurezza – pensate per coloro che hanno commesso crimini più gravi, legati alla criminalità organizzata – con quella vigente nelle sezioni ordinarie di preparazione al trattamento avanzato di Media sicurezza.

L’applicazione della circolare sulla Media sicurezza è stata inizialmente applicata in modo disomogeneo (cfr. Pascali et al., 2024) nei vari istituti che compongono “l’arcipelago penitenziario” (Vianello, 2018). Diamo uno sguardo ai dati complessivi estratti da tutte le schede relative a tutte le visite svolte dagli Osservatori di Antigone dal 2019 al 2024.

Come si evince dal grafico, nonostante la circolare sia stata promulgata nel 2022, sembra essere il 2024 l’anno in cui il carcere si è realmente chiuso. Le celle non sono aperte per almeno 8 ore al giorno nel 47,2% delle sezioni; il dato più alto registrato negli ultimi sei anni. Questa tendenza sembra trovare conferma nelle visite realizzate in questi primi 5 mesi del 2025, dalle quali emerge come la custodia sia aperta solamente nelle sezioni di Media sicurezza a trattamento intensificato.

Tale constatazione trova conferma anche nell’analisi del Garante nazionale aggiornata al 30 aprile 2025: su un totale di 62.456 persone detenute presenti, ben 27.733 si trovavano in sezioni ordinarie a custodia chiusa, pari al 44,4%. Considerando che la custodia chiusa vige anche nelle sezioni di Alta sicurezza e 41-bis, che coinvolgono rispettivamente il 14,96% e l’1,19% dei detenuti, il 60,55% delle persone attualmente detenute all’interno delle carceri italiane è sottoposto a custodia chiusa, il che implica, in sintesi, la reclusione in cella per tutta la giornata eccetto le 4 ore d’aria previste dall’o.p..

Procediamo con l’analisi quantitativa complessiva – relativa quindi alla totalità delle visite effettuate dagli Osservatori di Antigone tra il 2019 ed il 2024 – focalizzandoci sugli eventi critici, in particolare sul numero dei casi di autolesionismo e dei tentati suicidi avvenuti nell’anno precedente a quello della visita, e ai suicidi avvenuti nell’anno in cui si svolge la visita.

Non a caso, tralasciando il numero dei casi di autolesionismo registrati nel 2020 (peraltro basato su un numero inferiore alla media di schede a causa delle restrizioni pandemiche) se guardiamo ai dati registrati nel 2024, ma concernenti il 2023, relativi al fenomeno dell’ autolesionismo e ai tentati suicidi, notiamo un incremento non trascurabile. I casi di autolesionismo ogni 100 detenuti da 18 crescono a 20; i tentati suicidi ogni 100 detenuti da 2,4 diventano 2,9. I suicidi avvenuti nel 2024 sono stati 91; il numero più alto di sempre come abbiamo sottolineato più volte.

Soffermiamoci ora sul campione ristretto che abbiamo selezionato, ovvero gli istituti penitenziari visitati tra il 2019 ed il 2024 almeno 4 volte. Abbiamo considerato le seguenti variabili: il numero degli atti di autolesionismo registrati in ciascun istituto nell’anno precedente a quello della visita; il numero dei tentati suicidi anch’essi registrati nell’istituto penitenziario nell’anno precedente a quello della visita; il numero dei suicidi nel corso dell’anno in corso; il numero dei provvedimenti di isolamento comminati in ciascun istituto penitenziario nell’anno precedente a quello della visita e il numero delle ore d’aria concesse alle persone detenute in ciascun istituto. Rispetto a quest’ultima variabile, le opzioni considerate sono state: più di 4 ore; 4 ore; tra le 2 e le 4 ore ed infine 2 ore o meno.

L’elaborazione dei dati inerenti le variabili presentate ha avuto come obiettivo quello di individuare l’eventuale correlazione esistente, da un lato, tra il numero delle ore d’aria e gli eventi critici e, dall’altro, tra il numero dei provvedimenti di isolamento e gli eventi critici. Si noti che, da un punto di vista statistico, la correlazione può dirsi massima quando il valore è pari ad 1 e minima quando corrisponde a 0. Parimenti, il valore di correlazione è negativo quando, al diminuire di una delle due variabili considerate, l’altra aumenta; è invece positiva quando, al crescere di una variabile, aumenta anche l’altra.

Al diminuire delle ore d’aria, aumentano sia i casi di autolesionismo che i tentati suicidi ad un aumento dei provvedimenti di isolamento corrisponde un aumento degli atti autolesivi e dei tentati suicidi.

Come si evince dal grafico, la correlazione tra il numero delle ore d’aria e i casi di autolesionismo è risultata essere una correlazione negativa del valore pari a – 0,38; mentre quella tra ore d’aria ammesse e tentati suicidi pari a -0,31. Quindi, al diminuire delle ore d’aria, aumentano sia i casi di autolesionismo che i tentati suicidi (e viceversa). Al contrario, la correlazione esistente tra il numero dei provvedimenti di isolamento e i casi di autolesionismo e tentati suicidi è di segno positivo, rispettivamente pari a +0,56 e +0,45. Ciò significa che ad un aumento dei provvedimenti di isolamento corrisponde un aumento degli atti autolesivi e dei tentati suicidi (e viceversa). Una correlazione più debole, invece, è stata rinvenuta tra i suicidi e, rispettivamente, le ore d’aria concesse alle persone detenute e il numero dei provvedimenti di isolamento.

La correlazione tra misure di chiusura del sistema ed aumento degli eventi critici è corroborata anche dai dati qualitativi inerenti al campione ristretto su cui ci siamo concentrati.

La correlazione tra misure di chiusura del sistema ed aumento degli eventi critici è corroborata anche dai dati qualitativi inerenti al campione ristretto su cui ci siamo concentrati. Durante la visita presso la Casa circondariale di Modena realizzata dagli Osservatori emiliani ad inizio dicembre del 2024, sono stati alcuni agenti di polizia penitenziaria ad ipotizzare che siano state proprio le chiusure – a partire da quelle imposte nel 2020 post-rivolta – a determinare un aumento degli eventi critici in istituto. Presso questo istituto gli atti di autolesionismo registrati nel 2021 sono stati 57; nel 2022 diventano 126; nel 2023 186 e nel 2024 218. L’aumento riguarda anche i tentati suicidi; 5 quelli registrati nel 2021, 28 nel 2022, 15 nel 2023 e 32 nel 2024 (si tenga conto che sono sempre relativi all’anno precedente).

La stessa dinamica è osservabile anche a Regina Coeli (Roma) e a Lorusso e Cutugno (Torino), due degli istituti che hanno caratterizzato la cronaca negli ultimi anni per i numerosi eventi critici avvenuti al loro interno. Il caso della VII sezione di Regina Coeli è emblematico; non a caso si tratta della sezione mista a regime chiuso che tradizionalmente ospita nuovi giunti, persone detenute ex. art. 32 reg. esec., persone in regime di grande/grandissima sorveglianza e persone in isolamento disciplinare. La quotidianità detentiva presso questa sezione è andata progressivamente ad irrigidirsi fino alla permanenza in cella chiusa per 23 ore al giorno constata nel 2024. Nel 2023, 4 dei 5 suicidi avvenuti in istituto sono avvenuti proprio all’interno della VII sezione. Nel 2024 le persone che si sono tolte la vista in VII sezione sono state 3.
Il 5 marzo 2025 l’Osservatorio di Antigone entra a Regina Coeli; in tutte le sezioni al momento della visita è stata imposta la custodia chiusa. Secondo quanto riferisce la Direzione, in alcune sezioni si tratta di una scelta temporanea dovuta ad alterazioni dell’ordine verificatisi nei giorni precedenti. Episodi di protesta erano già avvenuti a Regina Coeli; è assai difficile, infatti, scordarsi le immagini dell’VIII sezione di Regina Coeli (destinata ad accogliere i precauzionali8) andare a fuoco il 25 settembre 2024; l’emblema di un istituto in perenne sofferenza con un sovraffollamento che attualmente è arrivato a superare il 187%.

Analizzando la situazione presso la Casa Circondariale di Torino “Lorusso e Cotugno” emerge che dal 2019 in ogni padiglione esiste almeno una sezione mista a custodia chiusa. Gli atti di autolesionismo sono praticamente raddoppiati dal 2019 al 2024, passando da 68 a 158. Durante la visita svolta nel 2024, la Direzione lamentava un aumento delle aggressioni e della conflittualità tra detenuti e tra detenuti e agenti. In particolare nell’estate del 2024 sono state infatti numerose le manifestazioni di protesta, le risse e le aggressioni avvenute in istituto. Anche in questo caso, al momento della visita almeno la metà delle sezioni è risultata essere a custodia chiusa. Allo stesso modo a Spoleto, durante la visita realizzata nel 2023, viene segnalato dagli stessi operatori penitenziari agli Osservatori di Antigone come siano proprio le sezioni ordinarie di media sicurezza quelle in cui avvengono più eventi critici, riflettendo quindi, la correlazione esistente tra intensificazione delle chiusure e incremento degli eventi critici.

Sono almeno 30 le persone che hanno compiuto il gesto suicidario in una sezione ordinaria di Media sicurezza a custodia chiusa. Le persone che si sono tolte la vita mentre erano in una sezione di isolamento sono state invece 19.

Secondo quanto emerge dal Dossier di Antigone sui suicidi e le morti in carcere nel 2024 e i primi cinque mesi del 2025, su 122 suicidi, almeno 90 sono avvenuti in sezioni a custodia chiusa. Sono almeno 30 le persone che hanno compiuto il gesto suicidario in una sezione ordinaria di Media sicurezza a custodia chiusa. Le persone che si sono tolte la vita mentre erano in una sezione di isolamento sono state invece 19; per quanto riguarda le situazioni di isolamento di fatto, sono almeno 16 i suicidi avvenuti in sezioni ex art. 32 reg. esec., 11 all’interno della sezione accoglienza, 2 in ATSM; 2 in infermeria.

L’isolamento, quindi, da pratica eccezionale con finalità tipificate, si è diffuso contagiando l’intero sistema penitenziario.

Dal quadro che abbiamo provato a delineare fino a qui si può dedurre qual è la strategia di governo del penitenziario che, progressivamente, si è scelto di adottare; a fronte di un aumento del sovraffollamento a livello nazionale dal dal 113,18% del 2020 al 133,52% del 2025, con annesse tutte le problematiche che comporta un carcere affollato e il conseguente aumento della tensione all’interno degli istituti9, si è optato sia per la diversificazione e moltiplicazione dell’isolamento che per la custodia chiusa. L’isolamento, quindi, da pratica eccezionale con finalità tipificate, si è diffuso contagiando l’intero sistema penitenziario. Da dispositivo utilizzato in ottica punitiva per sanzionare chi ha infranto l’ordine disciplinare si converte ora in regola, o meglio, in modello a cui ispirarsi per governare anche il resto della popolazione penitenziaria.

Gli studi di sociologia carceraria sottolineano come solitamente l’uso della forza e delle misure afflittive per generare ordine all’interno del carcere si rivela sempre inefficace e pericoloso.

A questo punto viene però da chiedersi: perché? Perché l’istituzione penitenziaria ha deciso di percorrere la strada della chiusura, dell’isolamento escludente e dell’approccio repressivo? Prima di rispondere, è necessario formulare una premessa di carattere teorico elaborata dai prison studies. L’ordine all’interno del carcere è in realtà continuamente negoziato dall’istituzione con i detenuti (Vianello, 2018). Gli agenti penitenziari, infatti, dipendono in parte dai detenuti per mantenere l’ordine all’interno del carcere (Sykes, 1958). La vita quotidiana in carcere è un indicatore eloquente di quanto sia difficile per i rappresentanti dell’autorità carceraria mantenere l’ordine, di come sia un’attività permanente e, in un certo senso, destinata a rimanere in parte incompiuta. Gli studi di sociologia carceraria sottolineano come solitamente l’uso della forza e delle misure afflittive per generare ordine all’interno del carcere – come l’isolamento, ma anche l’approccio muscolare e le chiusure diffuse – si rivela sempre inefficace e pericoloso (cfr. Gariglio, 2016). Mears e Reisig (2006) sottolineano che una gestione con queste caratteristiche favorisce un senso di ingiustizia tra i ristretti che finiscono per percepire le misure ascrivibili al paradigma dell’esclusione come arbitrarie ed eccessive. Altri studi identificano l’isolamento come un fattore centrale nella produzione di eventi violenti, come le rivolte dei detenuti (Haney, Lynch, 1997). Secondo alcuni autori, esisterebbe anche una relazione di causalità tra la sofferenza quotidiana imposta strutturalmente e la produzione di soggettività violente e distruttive (Toch, Kupers, 2007; Bourgois, Schonberg, 2011).

La situazione attuale in cui versa il carcere italiano può essere letta come un effetto della crisi della legittimazione dell’istituzione penitenziaria.

La situazione attuale in cui versa il carcere italiano, dove l’aumento dei provvedimenti di isolamento, della custodia chiusa, degli eventi critici e del sovraffollamento appare essere relazionato, può essere letta come un effetto della crisi della legittimazione dell’istituzione penitenziaria (cfr. Beetham, 1991; Boin, Rattray, 2004). Principale oggetto della crisi potrebbe essere la strategia punitivo premiale su cui si articola il nostro sistema penitenziario di matrice correzionalista, che si regge sul meccanismo premi e punizioni. A causa di molteplici concause che hanno portato alla riduzione drastica delle opportunità – in primis il sovraffollamento – si riducono drasticamente i premi; ciò che rimane sono solo le punizioni. Venendo meno le opportunità (sebbene in passato fossero comunque non accessibili alla totalità della popolazione penitenziaria e fossero comunque declinate in senso premiale), la strategia di governo del penitenziario che rimane non può che basarsi sulle misure disciplinanti, le quali per definizione fanno leva sui meccanismi di isolamento e chiusura.

A tale proposito, durante la visita realizzata a Bologna nel 2019, a Bari nel 2022 e a Terni nel 2023 sono stati gli stessi operatori a segnalare come la produzione di eventi critici fosse legata alla mancanza di opportunità lavorative per i detenuti o alla mancata risposta a richieste da loro formulate. Al contrario, a Secondigliano nel 2023 la Direzione già sottolineava come la vasta offerta trattamentale abbia garantito il mantenimento del controllo sulla popolazione detenuta e abbia scongiurato l’aumento degli eventi critici.

La crisi delle opportunità si fa particolarmente critica per le persone straniere e chi fa uso di psicofarmaci.

Secondo la nostra osservazione diretta, la crisi delle opportunità si fa particolarmente critica per due soggettività (che spesso peraltro trovano una sintesi nei medesimi individui) che faticano maggiormente a “fasi la galera”: le persone straniere e chi fa uso di psicofarmaci. A Vercelli nel 2019, a Spoleto nel 2023 e a Perugia nel 2024 ci è stato riferito che la maggior parte degli eventi critici veniva posta in essere da detenuti nelle sezioni di Media sicurezza, le quali storicamente vedono un’incidenza maggiore degli stranieri e sono le più sovraffollate. Anche la gestione del conflitto attraverso la somministrazione degli psicofarmaci appare configurarsi come un fattore di estrema rilevanza nella produzione degli eventi critici; nel 2022 durante una visita presso la Casa circondariale di Forlì un operatore ha affermato “il male del carcere sono le benzodiazepine al bisogno”. Sono spesso le medesime persone a commettere o comunque ad essere coinvolti in eventi critici (in particolari gli atti di violenza auto-diretti); è quanto emerso dalle visite realizzate a Piacenza nel 2019, a Rimini e a Ravenna nel 2020.

L’assenza di premi che facciano da contraltare alle punizioni sembra aver mandato in cortocircuito l’istituzione penitenziari.

L’assenza di premi che facciano da contraltare alle punizioni sembra aver mandato in cortocircuito l’istituzione penitenziaria, arrivando a determinare una vera e propria crisi di governo, che ha comportato un cambiamento anche rispetto alla retorica penitenziaria. Il confronto quotidiano con la crisi delle opportunità e la mancanza di alternative premiali in grado di mantenere gli equilibri penitenziari ha ovviamente una ricaduta anche sul lavoro degli operatori e sulla loro cultura professionale (cfr. Bordieau, 2003). Secondo uno studio coordinato da Corvelli (2022), quasi il 90% degli agenti di polizia penitenziaria che hanno partecipato alla ricerca percepisce complessivamente la mancanza di un supporto e di un riconoscimento da parte dell’Amministrazione penitenziaria, trovandosi a fare i conti quotidianamente con sensazioni di frustrazione e abbandono. Dallo studio è emerso anche come, se da un lato i dirigenti penitenziari continuino a fare affidamento sul valore rieducativo della pena, i cd. front-line operators, ovvero gli agenti che vivono quotidianamente le sezioni, appaiono molto più consapevoli della crisi di opportunità generalizzata e al contempo alquanto disillusi rispetto alla tradizionale retorica penitenziaria basata sul valore rieducativo della pena. Questi risultati possono essere interpretati come un’ulteriore manifestazione della crisi di legittimazione che investe il sistema carcerario odierno.

Per concludere, con questo contributo abbiamo provato a proporre un’analisi che tenesse conto degli elementi principali su cui si regge oggi il governo del sistema penitenziario. Abbiamo cercato di verificare che tipo di relazione sussiste tra le misure tipiche del “paradigma dell’esclusione” e la produzione degli eventi critici. Abbiamo tentato di fornire una lettura delle cause della crisi che attualmente attraversa il sistema penitenziario. Tuttavia, non è facile dare risposte univoche e assolute a questioni complesse, come complessa è la storia di Dario da cui siamo partiti. Ma continuare lo sforzo di decostruzione della narrazione che vede nel paradigma dell’esclusione la principale strategia di governo del penitenziario, lo dobbiamo in primis a Dario, ma in fondo, è qualcosa che riguarda tutti e tutte noi.

Bibliografia

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  1. Si ringrazia Alessio Scandurra per lo scambio continuo e Lorenza Nardella per il supporto nell’analisi quantitativa.
  2. Nome di fantasia.
  3. All’isolamento è stato dedicato un numero monografico della Rivista di Antigone dal titolo “Contro l’isolamento” (2/2024).
  4. Sul punto si rimanda al contributo “Isolamento ed eventi critici”
  5. Circolare DAP n. 3693/6143 del 18 luglio 2022.
  6. Sugli effetti di quest’ultima circolare citata si rinvia al contributo “41-bis e Alta sicurezza”
  7. La circolare prevede anche le sezioni a custodia attenuata all’interno il circuito della media sicurezza, tuttavia queste ultime non verranno analizzate poiché non risultano inerenti al tema qui affrontato.
  8. Principalmente sex offenders e ex appartenenti alle forze di polizia.
  9. Anche le aggressioni nei confronti del personale di polizia penitenziaria sono aumentate; tuttavia non si dispone di una serie storica dei dati completa.