Diciannovesimo rapporto sulle condizioni di detenzione

Domandine. Comunicare con l’amministrazione penitenziaria

Domandine. Comunicare con l’amministrazione penitenziaria

Domandine. Comunicare con l’amministrazione penitenziaria

1024 538 Diciannovesimo rapporto sulle condizioni di detenzione

di Rosina Mollo

I numeri della detenzione femminile: poche e poco criminali

Quando un detenuto ha un bisogno o un problema, a volte anche banale e spesso inevitabile date le circostanze, contrariamente a quello che sarebbe auspicabile, la strada per affrontarlo è assai tortuosa. Da una parte vi è la persona privata della libertà che necessita di interagire con un altro soggetto al fine di risolvere i problemi che si presentano nel corso della detenzione. Dall’altra parte vi sono l’Amministrazione penitenziaria – a volte identificabile con il direttore del carcere, altre con il Dap, altre volte con chi opera in via amministrativa sulle questioni penitenziarie – il magistrato di sorveglianza e tutti quei soggetti con i quali il detenuto può interagire, direttamente o indirettamente, al fine di instaurare una comunicazione risolutiva. In altre parole, un carcerato ha la possibilità di rivolgersi a soggetti che ruotano all’interno del sistema carcerario per varie questioni che lo riguardano, ma in alcuni casi questi soggetti sono tenuti a rispondergli, in altri no. L’individuo privato della libertà, quindi, può rimanere nel limbo dell’irrisoluzione dei problemi che lo attanagliano o nella sospensione delle questioni più pratiche per un tempo indeterminato. Le richieste che i detenuti possono avanzare in forma scritta sono, per praticità e facilità, il primo modo di chiedere che qualcosa si realizzi, di dolersi di una determinata situazione, di realizzare un primo contatto. Sono il modo più veloce, ma a volte anche quello più inutile, di interazione tra carcerato e carceriere. E sono sistematicamente chiamate con il nome, immotivatamente infantilizzante, di domandine.

Quando il detenuto ha una richiesta legata alle esigenze della vita quotidiana compila la domandina all’ufficio matricola

Quando il detenuto ha una richiesta legata alle esigenze della vita quotidiana compila la domandina all’ufficio matricola. Le esigenze possono essere le più disparate e comuni, dalla richiesta di svolgere un colloquio con un familiare o un incontro con un operatore del carcere stesso a quella di acquistare del cibo in sopravvitto, dal partecipare alle attività lavorative e di istruzione a quelle ricreative, dall’inviare una lettera all’acquisto di beni da tenere in cella, come ad esempio i libri. Un’altra cosa che si può fare a mezzo della domandina è la richiesta di una copia della propria cartella clinica. Domandina è il nome che si dà a un modulo prestampato che i detenuti completano con i dati personali e la propria richiesta. In alcuni istituti le domandine hanno un colore diverso o un’etichetta a seconda del tipo di richiesta avanzata. Queste domandine vengono consegnate, in genere, all’ufficio matricola, a meno che non sia necessario rivolgersi ad un ufficio specifico come quello, ad esempio, del sopravvitto. Le domandine sono il primo strumento formale di cui il detenuto è provvisto per comunicare con l’istituzione e in molti casi anche l’unico. Non è detto che però ad esse l’istituzione risponderà mai. Mentre infatti, quando un cittadino si rivolge alla pubblica amministrazione per una richiesta, la regola generale è che l’amministrazione in questione debba fornire entro un tempo stabilito una risposta motivata, non vi è nessun obbligo da parte dell’amministrazione penitenziaria di soddisfare la richiesta del detenuto o di fornire un diniego formale, tanto che in molti casi le domandine finiscono per essere dimenticate o ignorate, soprattutto nel caso in cui il detenuto che l’ha fatta è stato annoverato tra quelli che sono considerati “soggetti seccanti”1).

È singolare che non si parli di domanda o istanza vera e propria, ma che si utilizzi un termine nella sua forma diminutiva, quasi infantile

Non vi è in merito alle domandine giurisprudenza o regolamentazione normativa. Un altro elemento distintivo della domandina, che la connota particolarmente, è proprio il nome. È singolare che non si parli di domanda o istanza vera e propria, ma che si utilizzi un termine nella sua forma diminutiva, quasi infantile, in un ambiente fortemente contrassegnato dalla presenza di persone adulte e con un vissuto particolarmente pesante. Si può ipotizzare che tale caratteristica sia legata alla valenza che è attribuita alla domandina. Si tratta di un foglio semplice, dove l’esposizione di ciò che si chiede è immediata e senza particolari giri di parole o fronzoli linguistici. Anzi, minore è il numero di parole che vengono scritte, maggiore sarà la probabilità che qualcuno, magari chi di competenza, si prenda la briga di leggerle. Si può dunque affermare che la domandina è la richiesta che il detenuto rivolge alla direzione penitenziaria affinché quest’ultima lo autorizzi a compiere una determinata attività o a ricevere e acquistare un bene materiale o a ottenere un’utilità o un vantaggio. Tale richiesta viene protocollata dall’Ufficio Matricola per poi essere indirizzata al direttore del carcere o a chi per lui competente, nella speranza che possa emettere una risposta. La domandina, dato che è rivolta ad un’amministrazione pubblica, è un atto che pertanto dovrebbe seguire l’iter del procedimento relativo ai sensi della l. n. 241/1990 e ai sensi dell’art. 97 Cost., che salvaguarda il principio del buon andamento della pubblica amministrazione. Nella prassi però le cose vanno in modo diverso, tant’è che spesso vengono esaudite solo le richieste principali e trascurate, ingiustamente, tutte le altre, a cui spesso non segue neppure un rigetto formale.

Alcune istanze avanzate dai detenuti non rientrano sotto la definizione di domandina, in parte per la complessità della richiesta stessa e in parte per i soggetti a cui sono rivolte. Si parla qui delle istanze rivolte alla magistratura di sorveglianza, nel caso dei benefici, delle misure alternative o della richiesta di differimento della pena; delle istanze di trasferimento ai sensi dell’art. 42 della l. n. 354/1975, rivolte al Provveditorato regionale o al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria; dei permessi, premio e umanitari, e delle licenze, a seconda della circostanza rivolte al magistrato di sorveglianza, all’autorità giudiziaria procedente o al direttore del carcere.

Tali istanze permettono un’interazione differente a seconda dell’istituzione, giudice o amministrazione, a cui si rivolgono. In tutti i diversi casi il detenuto dovrà obbligatoriamente ricevere una risposta. Questo fa sì che tra le istituzioni a cui si domanda qualcosa e il detenuto che chiede, deve esservi uno scambio di contenuti reale, un confronto vero che obbliga tutti i soggetti a porre l’attenzione su una questione importante, nella maggior parte dei casi fondamentale, riguardante la vita del carcerato.

La mancanza di un’assistenza legale fa sì che in molti casi la richiesta presentata alla magistratura sia manchevole di elementi importanti

La mancanza di un’assistenza legale fa sì che in molti casi la richiesta presentata alla magistratura sia manchevole di elementi importanti, come ad esempio la cartella clinica nel caso di richiesta di misura sostitutiva per incompatibilità con il carcere per motivi di salute. Se è vero che il magistrato dovrebbe ricevere la cartella clinica in correlazione alla richiesta unitamente alla cartella personale da parte dell’istituto, o avere la facoltà di richiederla in qualsiasi momento, è pur vero che spesso le cartelle cliniche sono incomplete delle ultime certificazioni o completamente assenti delle prescrizioni rilevanti. Da ciò si può facilmente comprendere come il detenuto non adeguatamente assistito nella fase di esecuzione della pena sia, nella maggior parte dei casi, più svantaggiato di chi lo è, anche in relazione alla non sempre adeguata preparazione in ambito penitenziario degli avvocati d’ufficio. Il mandato fiduciario conferito al difensore nel procedimento di cognizione non si estende infatti alla fase esecutiva. Le richieste presentate a nome del detenuto condannato richiedono un nuovo incarico ex art. 96 c.p.p. a pena di inammissibilità.

Come osservato, la competenza in merito a tali istanze è giuridica, appartenendo al tribunale o al magistrato di sorveglianza dove si trova il carcere, che ricevono e valutano le richieste di misure alternative e benefici e, verificato che sussistano i requisiti di legge, le accolgono o le rigettano. Le richieste al tribunale o al magistrato di sorveglianza, non specificando nulla in proposito l’art. 678 c.p.p. relativo al procedimento di sorveglianza, godono del principio della libertà della forma ai sensi dell’art. 125, comma 6, c.p.p.

Il detenuto che voglia avanzare la richiesta, dopo averla redatta e allegata dei documenti necessari2), la deposita all’Ufficio Matricola. Da qui l’istanza protocollata viene inoltrata immediatamente da parte del direttore del carcere a chi è competente a decidere. Una richiesta ictu oculi infondata o che è la riproposizione di un’altra (con presupposti di fatto e di diritto identici) o assente di uno dei presupposti processuali, viene dichiarata inammissibile de plano dal magistrato di sorveglianza o dal presidente del collegio del tribunale, con decreto motivato notificato all’interessato entro il termine ordinatorio di cinque giorni, ricorribile per Cassazione.

Tutto ciò, nella realtà penitenziaria odierna, non equivale sempre a una tutela concreta dei diritti e rende difficoltoso per i detenuti interfacciarsi con le istituzioni penitenziarie

I detenuti, al fine di tutelare i propri diritti o di avanzare delle richieste e in base alla questione che vogliono sollevare, potranno limitarsi a compilare una domandina all’Ufficio Matricola o proporre un’istanza vera e propria con una richiesta specifica o un reclamo relativo alla mancanza di tutela dei diritti. In base all’istituzione destinataria dello scritto, potranno ricevere o meno una risposta e a seconda dello scritto scelto si andrà a creare un’interlocuzione, seppur cartacea, tra carcerato e carceriere. Tutto ciò, nella realtà penitenziaria odierna, non equivale sempre a una tutela concreta dei diritti e rende difficoltoso per i detenuti interfacciarsi con le istituzioni penitenziarie, andando ad incidere negativamente sulla rieducazione che all’interno degli istituti dovrebbe essere quantomeno promossa.

References

References
1 Sul punto si consigliano le seguenti letture: Quotidianità detentiva: cella, sezione e soggettività recluse di Maculan A. e Santorso S. e La gestione delle richieste della popolazione detenuta di Maculan A., entrambe contenute in Farsi la galera, Spazi e culture del penitenziario, a cura di Kalica e Santorso.
2 In carcere sono presenti, o quantomeno dovrebbero esserci, specifici moduli che il detenuto può seguire o compilare per formulare una richiesta sufficientemente chiara e completa.