XVII rapporto sulle condizioni di detenzione

L’isolamento penitenziario: norme, effetti sui detenuti, strumenti di monitoraggio

L’isolamento penitenziario: norme, effetti sui detenuti, strumenti di monitoraggio

L’isolamento penitenziario: norme, effetti sui detenuti, strumenti di monitoraggio

1024 538 XVII rapporto sulle condizioni di detenzione

Claudio Paterniti Martello, Federica Brioschi

L’isolamento penitenziario: norme, effetti sui detenuti, strumenti di monitoraggio

Negli ultimi anni il ricorso all’isolamento penitenziario è cresciuto in tutta Europa. È un fenomeno preoccupante. Stare in isolamento può comportare danni fisici e psichici enormi. La letteratura scientifica ha individuato effetti ricorrenti quali sociofobia, attacchi di panico, difficoltà nello stabilire interazione umane, ansia, disturbi del sonno, disfunzioni cognitive, letargia, depressione e molti altri effetti.
Per queste ragioni gli organismi nazionali e internazionali impegnati nella tutela dei diritti umani nei luoghi di privazione della libertà (tra cui il Comitato per la prevenzione della tortura, noto come CPT) pongono il tema in cima alle loro priorità.

Cos’è l’isolamento penitenziario

Per isolamento penitenziario si intende la separazione fisica di una persona detenuta dal resto dei detenuti. Standard internazionali come le Mandela Rules (le regole penitenziarie definite dall’ONU) individuano in 22 ore quotidiane la soglia superata la quale, in assenza di interazioni umane significative, si può parlare di isolamento.
I motivi per cui si ricorre all’isolamento sono tanti. In tutti i casi però i rischi per la salute sono altissimi.

L’isolamento disciplinare dovrebbe essere previsto solo per casi eccezionali, ma non è così: molte amministrazioni vi ricorrono in maniera automatica

L’isolamento disciplinare

Il tipo di isolamento più diffuso nell’immaginario collettivo è quello disciplinare. È la più severa tra le misure disciplinari previste dai regolamenti penitenziari. La sua durata massima varia da un paese all’altro. Le Mandela Rules stabiliscono la soglia dei 15 giorni come termine da non oltrepassare in nessun caso, che corrisponde al termine massimo previsto in Italia, ma non ad esempio in Francia o Danimarca, dove è di 30 giorni. Un fenomeno rilevato dalle autorità garanti è l’aggiramento del termine tramite l’emissione di più provvedimenti di isolamento consecutivi. Pratica che, come raccomandano gli organismi internazionali, dovrebbe essere vietata. In altri casi, come rilevato per l’Italia dal Garante Nazionale delle persone private della libertà, è troppo breve il lasso di tempo che intercorre tra un provvedimento e l’altro.
L’isolamento disciplinare dovrebbe essere previsto solo per casi eccezionali, ma non è così: molte amministrazioni vi ricorrono in maniera automatica, senza alcuna ricerca previa di alternative meno gravose in termini di salute delle persone detenute e di salvaguardia dei diritti umani. È uno strumento che per quanto pericoloso è banalizzato.
Un’altra pratica censurabile è quella per la quale le persone vengono isolate subito dopo aver commesso l’infrazione, prima che si riunisca la commissione disciplinare. La quale, dopo essersi riunita, spesso commina un isolamento della durata che corrisponde esattamente al cosiddetto “pre-sofferto”.

Fonte: nostra elaborazione su dati del Garante Nazionale, Relazione al Parlamento 2020, Relazione al Parlamento 2019 e Relazione al Parlamento 2018

L’isolamento giudiziario e l’isolamento in sentenza

Un altro tipo di isolamento è quello giudiziario. Questo provvedimento è disposto dal giudice per tutelare le indagini in corso e vieta a chi è in custodia cautelare di incontrare altre persone detenute. In alcuni Paesi questo isolamento è automatico per chi è in attesa di giudizio e non c’è a monte una valutazione concreta del rischio. In Italia la recente riforma dell’ordinamento penitenziario ha modificato la normativa, prevedendo che l’autorità giudiziaria specifichi la durata e le ragioni dell’isolamento disposto.
Un’ulteriore forma di isolamento stabilita dal giudice (o dalla legge, in alcuni casi) è l’isolamento in sentenza, previsto come vera e propria sanzione penale e non semplice modalità di esecuzione della pena, per un periodo definito. In Italia questo tipo di isolamento è conosciuto come isolamento diurno, e può arrivare fino a tre anni: di recente il CPT ha raccomandato al nostro paese l’abolizione di questo strumento, giudicato anacronistico. Antigone propone da anni la sua abolizione. Nel nostro ordinamento il carcere è la punizione, non un luogo in cui si va per subire altre punizioni.

L’isolamento amministrativo

Un’ulteriore forma di isolamento da prendere in considerazione è l’isolamento amministrativo, a cui si ricorre per gestire detenuti ritenuti “pericolosi” per la sicurezza dell’istituto. Si applica solitamente a detenuti in circuiti penitenziari in cui si configurano situazioni di isolamento de facto, non formalmente definite come tali, e pertanto prive di alcune garanzie procedurali previste per l’isolamento propriamente detto. Ad esempio potrebbe non essere previsto in questi casi un limite temporale massimo, col risultato che l’isolamento può protrarsi per mesi o anni.
In Italia, all’interno di regimi come il 41-bis (che già di per sé presenta numerosissime problematiche relative all’isolamento), sono previste delle sezioni speciali a sicurezza rinforzata (conosciute come aree riservate), in cui i detenuti vivono in un contesto ancora più isolato e rigoroso rispetto al 41-bis “semplice”. Si tratta di una vera e propria specialità nella specialità (come anche rilevato dal Garante Nazionale), in cui una delle ulteriori restrizioni riguarda il numero di detenuti che fanno parte dello stesso “gruppo di socialità”, che non sono quattro persone ma due: una figura apicale delle organizzazioni mafiose e un detenuto “di compagnia”, che si ritrova a subire lo stesso rigoroso trattamento del primo. Tra l’altro, se uno dei due detenuti viene isolato per via di una sanzione disciplinare, anche l’altro si ritrova automaticamente in isolamento, senza alcuna colpa. Posta la doverosa e ovvia esigenza di proteggere la comunità esterna dagli esponenti della criminalità organizzata, ci si chiede se non siano possibili forme di sorveglianza che pur controllando tutte le comunicazioni con l’esterno non comportino necessariamente la morte sociale.
Un altro regime problematico dal punto di vista dell’isolamento è il regime denominato “sorveglianza particolare”, basato sull’articolo 14-bis dell’Ordinamento Penitenziario. Questo regime ha una ratio diversa dai precedenti, in quanto può essere applicato nei confronti di persone “che con i loro comportamenti compromettono la sicurezza o turbano l’ordine negli istituti, che con la violenza o la minaccia impediscono le attività degli altri detenuti e che nella vita penitenziaria si avvalgono dello stato di soggezione degli altri detenuti nei loro confronti”. Si tratta insomma di un regime di natura preventiva. Il regime stesso infatti non presuppone per legge l’isolamento di un detenuto, ma piuttosto una sottrazione di oggetti e un impedimento alla partecipazione ad attività ed ad altri momenti di aggregazione che dovrebbe essere pensata ad hoc. Tuttavia, in molti casi questo si traduce quasi automaticamente in un vero e proprio isolamento che può durare anche mesi o anni, come rilevato dal CPT.
A volte questi regimi si sommano addirittura ad altre forme di isolamento, come il disciplinare o il diurno, aggravando ulteriormente la condizione dei detenuti isolati.

L’isolamento come misura protettiva

In alcuni casi l’isolamento è una misura protettiva per detenuti considerati vulnerabili a causa del reato che hanno commesso o di cui sono accusati (come quelli a sfondo sessuale), perché ex appartenenti alle forze dell’ordine, perché hanno collaborato o stanno collaborando con le autorità giudiziarie, per il loro orientamento sessuale, per la loro identità di genere o per via di disturbi comportamentali che rendono difficile la loro convivenza con gli altri. In questi casi generalmente si tratta di un isolamento di fatto, non previsto dalla legge ma determinato dalle circostanze, che per varie ragioni impediscono di collocare questi detenuti insieme agli altri. A questi si aggiunge l’isolamento delle persone che hanno tentato il suicidio o hanno commesso atti di autolesionismo, che avviene su indicazione delle autorità sanitarie e ha luogo per brevi periodi. In tutti questi casi si ha a che fare con persone vulnerabili, che hanno bisogno di qualcosa in più, ossia un maggiore sostegno psicologico, una forma di protezione dagli altri. Spesso invece le amministrazioni rispondono dando qualcosa in meno, e in alcuni casi togliendo tutto, perché è la soluzione più facile per far venir meno il pericolo.

Isolamento volontario

In alcuni casi, pur senza rientrare nelle categorie appena descritte, i detenuti chiedono di essere isolati per proteggere sé stessi dagli altri. O, in altri casi, perché è l’unico modo per ottenere una cella singola e non dover passare la giornata in celle sovraffollate.

La letteratura scientifica è concorde nel sostenere che l’assenza di interazioni con altri esseri umani tipica dell’isolamento penitenziario provoca danni gravissimi.

Gli effetti sulla salute mentale

Qualunque sia la ragione alla base dell’isolamento, gli effetti che questo comporta sono gravi, a volte gravissimi. Per questo è necessario che le amministrazioni penitenziarie percorrano prima delle strade alternative. E che per chi è in isolamento, sia esso de jure o de facto, prevedano alcune ore al giorno trascorse col resto della popolazione detenuta.
La letteratura scientifica è concorde nel sostenere che l’assenza di interazioni con altri esseri umani tipica dell’isolamento penitenziario provoca danni gravissimi. Non tutte le persone reagiscono allo stesso modo. Alcune sperimentano forme di panico poche ore dopo essere state isolate, altre sono insensibili alla mancanza di contatti umani per periodi più lunghi. Il limite di 15 giorni stabilito dalle Mandela Rules e molte norme nazionali è un limite arbitrario: alcuni crollano prima, altri dopo. Quel che è certo però è che a lungo termine l’isolamento porta alla morte sociale. Una volta usciti dall’isolamento, spesso i detenuti si comportano come se fossero ancora isolati. Soffrono di sociofobia, perdono la capacità di interagire con altri esseri umani. Questo risultato è l’esatto opposto di ciò che i sistemi penitenziari ufficialmente perseguono, ovvero la risocializzazione del reo. Alcuni studi sono arrivati a identificare una vera e propria sindrome da isolamento. Tra i sintomi con cui si manifesta ci sono i disturbi del sonno, disturbi dell’appetito, ansia, panico, rabbia, perdita di controllo, allucinazione, automutilazione. A questi si aggiungono vari sintomi psichiatrici: ipersensibilità, pensieri ossessivi, disfunzioni cognitive, irritabilità, aggressività, paranoia, mancanza di speranza, letargia, depressione, senso di imminente crollo emotivo, comportamento suicida.

Alcuni nodi critici
I motivi per cui l’isolamento è in cima alle priorità degli organismi internazionali sono vari:

  • gli effetti deleteri sulla salute fisica e mentale;
  • il maggior rischio che si corre, quando si è isolati, di subire violenze e torture, dovuto al fatto che in genere le sezioni di isolamento sono nettamente separate dal resto del carcere e vengono visitate più di rado da direttori e dal resto del personale penitenziario;
  • il trattamento inumano o degradante, o la tortura, che l’isolamento prolungato può costituire in sé;
  • le condizioni materiali degradate delle celle e degli altri spazi in cui si svolge;
    il rischio di isolamento de facto che corrono i detenuti sottoposti a regimi speciali, come i regimi di alta sicurezza;
  • la fragilità delle garanzie procedurali per chi è isolato.

Spesso le celle predisposte per l’isolamento non sono arredate. A volte mancano persino materassi, coperte, lenzuola. In molti casi il bagno è visibile dallo spioncino o con telecamere a circuito chiuso.

Le condizioni materiali

Spesso le celle predisposte per l’isolamento non sono arredate. A volte mancano persino materassi, coperte, lenzuola. In molti casi il bagno è visibile dallo spioncino o con telecamere a circuito chiuso. Capita che non ci siano vetri alle finestre né alcuna forma di riscaldamento. In genere anche le aree esterne, dove si passano le ore d’aria, sono le peggiori dell’istituto perché piccole e spesso coperte da reti. In alcuni Paesi (per fortuna non in Italia) non è permesso avere libri se non di carattere religioso.

Interazioni umane significative

Le Regole penitenziarie europee, riscritte nel 2020 dal Consiglio d’Europa, raccomandano di garantire ai detenuti isolati o in qualche modo separati dal resto della popolazione detenuta almeno due ore al giorno di “contatti umani significativi” (“meaningful social contacts”). Senza interazioni umane non è possibile definire la propria personalità, valutare le proprie risposte, sia comportamentali che emotive, agli stimoli esterni, o sottoporre a una verifica esterna l’immagine che si ha della realtà. La deprivazione sensoriale e l’isolamento sociale sono molto dannosi, e per questo è necessario controbilanciarli, mitigare gli effetti dell’isolamento con delle interazioni umane quotidiane. Per essere significativa una relazione non deve essere accidentale o avere luogo solo come conseguenza della normale routine detentiva. Si deve trattare di una conversazione vera, faccia a faccia, portata avanti da due persone che si guardano negli occhi.

Le sezioni in cui si svolge l’isolamento sono spesso delle sezioni a parte, poco frequentate dai direttori e dal resto del personale penitenziario, in cui di conseguenza è più facile che accadano episodi di violenza o abusi di varia natura.

Il rischio di subire violenze o torture

Per le ragioni sopra esposte un isolamento prolungato può costituire di per sé un trattamento inumano o degradante, quando non una forma di tortura. Ma vi sono ulteriori rischi legati al fatto che le sezioni in cui si svolge l’isolamento sono spesso delle sezioni a parte, poco frequentate dai direttori e dal resto del personale penitenziario, in cui di conseguenza è più facile che accadano episodi di violenza o abusi di varia natura. Uno dei modi con cui le autorità deputate al controllo dei luoghi di privazione della libertà verificano la presenza di tali episodi, assieme a molte altre, è il controllo dei registri di sezione, in cui sono registrati gli ingressi e le uscite, oltre a varie altre informazioni. Ad esempio, in un’intervista fatta da Antigone, l’autorità garante francese ha riportato di un caso in cui è stata consegnata una coperta tre giorni dopo l’ingresso in isolamento di una persona detenuta. Una spia che ha spinto il Garante a verificare se si trattasse di una coperta in più, consegnata su richiesta, o se fino a quel momento la persona ne fosse stata privata.

Il ruolo dei medici

Tutti gli standard internazionali prevedono una visita medica al giorno per chiunque si trovi in isolamento, indipendentemente dal motivo per cui vi si trovi. Un medico può individuare gli effetti dell’isolamento su chi lo subisce e segnalarli al direttore, che può interromperlo. Non sempre però i regolamenti penitenziari nazionali prevedono l’obbligo di visita quotidiana. Così come non sempre i medici sono consapevoli di questo loro obbligo e delle ragioni che lo motivano.
Gli organismi di controllo hanno rilevato come spesso le visite non avvengano come dovrebbero. Capita che i medici visitino i propri pazienti da dietro le sbarre, per via di una presunta pericolosità, o semplicemente per pigrizia. Spesso i detenuti rifiutano queste visite. In alcuni ordinamenti, poi, la relazione paziente-medico è viziata dalla presenza di quest’ultimo nelle commissioni disciplinari che decidono sull’isolamento, vietata dagli standard internazionali (in Italia fino al 2018 era così, adesso non più).
I medici dunque rivestono un ruolo molto importante. E però, come il resto del personale, su di loro pesa il rischio dell’assuefazione ai meccanismi interni al carcere, che comporta una diffidenza aprioristica nei confronti dei detenuti che segnalano problemi di salute o il sentimento di dover essere necessariamente d’accordo con l’amministrazione penitenziaria.

Efficacia delle garanzie procedurali

Tutte le persone detenute dovrebbero prendere parte alla procedura disciplinare che prevede l’isolamento come possibile risultato. Devono poter presentare la propria versione dei fatti. Nel caso in cui si riuniscano delle commissioni disciplinari, devono potersi difendere tramite il proprio avvocato. Nel caso in cui venga disposto un provvedimento di isolamento, devono riceverlo per iscritto e devono potersi opporre. Le procedure affinché ciò accada non devono avere valenza puramente formale. Devono essere efficaci. Spesso non è così: capita che ai detenuti venga semplicemente comunicata oralmente la misura disciplinare contro la quale non hanno la capacità o le conoscenze adeguate per opporsi. Nel caso di detenuti che non parlano la lingua del Paese in cui si trovano, la comunicazione è ancora più monca: può capitare infatti che non capiscano i motivi alla base della misura disciplinare.

È necessario sensibilizzare al tema dell’isolamento chiunque si occupi o si interessi di carcere.

Che fare

Per tutte queste ragioni è necessario sensibilizzare al tema dell’isolamento l’amministrazione penitenziaria, i medici, le autorità garanti, il legislatore e chiunque si occupi o si interessi di carcere. Sia per far sì che gli standard internazionali vengano maggiormente applicati, sia nella prassi che con un adeguamento della normativa nazionale. Sia perché il ricorso a questo strumento così problematico venga ridotto al minimo, e nel migliore dei casi venga abolito.

 

Questo articolo è il frutto di una ricerca sull’isolamento penitenziario svolta da Antigone. La ricerca, di prossima pubblicazione, è stata portata avanti nell’ambito del progetto “Working towards harmonized detention standards in the EU – the role of National Preventive Mechanisms”, a cui hanno partecipato il Ludwig Boltzmann Institute di Vienna (BIM), lo Hungarian Helsinki Committee (HHC) e il Bulgarian Helsinki Committee (BHC). Gli altri partner hanno prodotto dei report rispettivamente sul monitoraggio delle violenze nel sistema penitenziario, sulle garanzie procedurali e sul trattamento riservato alle persone detenute in situazione di vulnerabilità. Il progetto aveva come obiettivo il rafforzamento della capacità d’azione degli NPM europei, ovvero delle autorità deputate al controllo dei luoghi di privazione della libertà. Il progetto è stato portato avanti grazie al sostegno finanziario del Justice Programme della Commissione Europea.