XVII rapporto sulle condizioni di detenzione

Salute mentale e Rems/2 : l’eterno scontro tra giustizia e salute

Salute mentale e Rems/2 : l’eterno scontro tra giustizia e salute

Salute mentale e Rems/2 : l’eterno scontro tra giustizia e salute

1024 538 XVII rapporto sulle condizioni di detenzione

Francesco Santin

Salute mentale e Rems/2: l’eterno scontro tra giustizia e salute

Con l’ordinanza nr. 110 dell’11 maggio 2020 il GIP del tribunale di Tivoli solleva la questione di legittimità costituzionale degli artt. 206 e 222 c.p. e dell’art. 3 ter del D.L. n. 211/2011, per le parti in cui escludono la competenza del Ministro della Giustizia dall’esecuzione delle misure di sicurezza detentive del ricovero in REMS.

L’ordinanza entra in una materia, quella della salute mentale e più nello specifico della salute mentale per gli autori di reato, sulla quale l’Italia è stata protagonista di un’importante riforma che ha visto chiudere definitivamente gli ospedali psichiatrici giudiziari (opg) nel 2015, assegnando al Ministero della Salute la competenza esclusiva sulla materia.

Va precisato che questa “rivoluzione gentile1)Così è definita da Franco Corleone la L 81/2014 arriva ad esito di un processo riformistico molto più ampio che a partire dal secolo scorso, con la legge Basaglia e la chiusura dei manicomi civili, ha rivoluzionato l’intero modo di concepire la malattia mentale. Ciò che si è profondamente modificato, a partire da psichiatri e pensatori come Basaglia, è stato prima di tutto il pensiero riguardo alla follia. Tra i suoi effetti più concreti ciò ha concesso la possibilità, per le persone con sofferenza mentale, di sperimentare una vita al di fuori delle Istituzioni “se, com’è vero, la legge 180 segna, normativamente e simbolicamente, il passaggio dal paradigma manicomiale-custodiale al paradigma terapeutico”. 2)Trattamento Sanitario Obbligatorio, contenzione, salute mentale Il ruolo dei garanti delle persone private o limitate nella libertà per la trasparenza delle pratiche sanitarie. Intervento alla Conferenza Salute mentale, Roma, 14 e 15 giugno 2019
Di Grazia Zuffa

Il cambiamento di cui parliamo non è però solo sanitario o normativo ma anche culturale e ci sposta concettualmente dall’idea di malattia a quella di salute mentale, mostrando prospettive altrimenti nascoste e aprendo a nuove possibilità di integrazione e di vita per la persona con problemi di salute mentale.
L’enfasi su salute mentale piuttosto che su psichiatria, malattia, anormalità ha aperto la possibilità per tutte le persone di poter vivere una condizione di sofferenza, di disagio, di disturbo, senza mai perdere la continuità con la propria vita, le proprie relazioni, le proprie aspettative”. 3)http://www.sossanita.org/archives/8776, Cos’è la salute mentale? di Peppe Dell’Acqua, Silvia D’Autilia Da ciò deriva dunque la possibilità di pensare a un diritto per tutti a provare a stare bene quindi ad essere curati e vivere anzitutto in quanto soggetti, donne e uomini.

L’ordinanza di Tivoli pone una questione di altissima rilevanza poiché suggerisce un cambio di rotta rispetto alla direzione sopra descritta e propone, in nome di una presunta illegittimità costituzionale del D.L. n. 211/2011, il ritorno a una gestione da parte della Giustizia dei cosiddetti “folli-rei”.

Ma quali sono i temi portati a rinforzo di questa tesi all’interno dell’Ordinanza e come sono conciliabili con la visione terapeutica e umanizzante che contraddistingue gli sforzi della psichiatria italiana?
E quali sono invece delle possibili alternative?

Ciò che lascia perplessi è che sia proprio un caso come questo ad essere utilizzato come volano per proporre il ritorno a una gestione unicamente custodialistica dei pazienti autori di reato.

Il caso
Guardando più da vicino il caso singolo citato nell’ordinanza si scopre che le vicende su cui viene costruita la questione di legittimità riguardano un individuo al quale viene contestata la violazione degli art. 336 c.p. (violenza o minaccia a pubblico ufficiale), art. 81 c.p. (reato continuato) e art. 658 c.p. (procurato allarme). Viene evidenziato inoltre lo stato psicopatologico dell’individuo, egli è infatti definito come scompensato dal punto di vista comportamentale e affetto da psicosi schizo-affettiva con personalità con tratti antisociali.

Ciò che lascia perplessi è che sia proprio un caso come questo ad essere utilizzato come volano per proporre il ritorno a una gestione unicamente custodialistica dei pazienti autori di reato. Traspaiono infatti lungo tutta la vicenda elementi e spunti che rinforzano il sistema in uso, ossia quello che vede il “pazzo criminale” in primo luogo come soggetto bisognoso di cura.

In quest’ottica un primo elemento da evidenziare è il quadro in cui i reati commessi si manifestano. Nello specifico la violenza o minaccia a pubblico ufficiale di cui all’art 336 c.p., viene così descritta: “…più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in più occasioni, presso gli uffici del Comune di […] e sulla pubblica via” in cui il paziente “minacciava di un male ingiusto […] Sindaco del predetto Comune nell’esercizio delle sue funzioni, per costringerlo a compiere un atto dell’ufficio ed in particolare per indurlo a garantirgli la consegna di buoni alimentari”. Pur riconoscendo la necessità di protezione per la società da qualsiasi reato, e non sminuendo l’entità di questo, nella prospettiva di cura e di riabilitazione intravediamo in questo episodio un ruolo determinante del contesto sociale. Ci viene restituita l’immagine di una persona con importanti esigenze di sostentamento primario che inevitabilmente incidono per la comprensione globale della sua storia e dei suoi agiti. Vanno considerate infatti anche le sue condizioni di vita interrogandosi sulla natura dei suoi bisogni e sul suo accesso ai beni di prima necessità, proprio richiamando il diritto all’uguaglianza sancito dall’art. 3 Cost.

Continuando la lettura con questa lente, in un altro passaggio risulta difficile non discostarsi dall’Ordinanza rilevando la consecutio con cui il Giudice afferma che “il soggetto non aveva coscienza di malattia, aveva sempre rifiutato le cure e non collaborato con i servizi preposti e, pertanto presentava un rischio psicopatologico rilevante in termini di pericolosità sociale e necessitava di cure ad elevata intensità terapeutica.” 4)pericolosità sociale psichiatrica, Ugo Fornari, ATTUALITÀ IN TEMA DI PERICOLOSITÀ SOCIALE PSICHIATRICA La difficoltà che troviamo sta nel riconoscere il collegamento tra la mancata compliance del paziente e il suo poor insight con la rilevanza della pericolosità sociale, qui presentata come conseguenza immediata.
Ma la mancanza di consapevolezza di malattia e la non adesione alle cure di un paziente non possono connotarne automaticamente la pericolosità sociale, tanto più se consideriamo che queste cure dovrebbero, secondo la definizione che propone Fornari sulla pericolosità sociale psichiatrica, essere realizzate “in regime di coazione”. Inoltre, sempre Fornari ricorda che per realizzare il diritto alla salute costituzionalmente garantito a tutti i cittadini sarebbe auspicabile e “necessario sostituire la nozione di pericolosità sociale psichiatrica con quella di necessità di cure e di assistenza specialistica”. 5)pericolosità sociale psichiatrica, Ugo Fornari, ATTUALITÀ IN TEMA DI PERICOLOSITÀ SOCIALE PSICHIATRICA
Se invece guardassimo alla scarsa capacità del paziente di vedere dentro sé stesso come legittimante di un’imposizione delle cure, inevitabilmente la sua possibilità di prendervi parte in modo consapevole ne sarebbe limitata. Come ribadisce il Comitato Nazionale di Bioetica, vi è un “orizzonte bioetico del superamento della contenzione, nell’ambito di un nuovo paradigma della cura fondato sul riconoscimento della persona come tale (prima ancora che come malato e malata), portatrice di diritti. Il rispetto dell’autonomia e della dignità della persona è anche il presupposto per un intervento terapeutico efficace”. 6)CNB La contenzione: problemi bioetici, 23 aprile 2015, http://bioetica.governo.it/it/documenti/pareri-e-risposte/la-contenzione-problemi-bioetici/

Analogamente notiamo la facilità con cui il soggetto viene inserito nella categoria delle persone “totalmente inferme di mente”. Ciò fa riflettere nella misura in cui, attraverso questa definizione, appare lesa la possibilità di una dignità per l’individuo. Un ulteriore quesito da porsi a questo proposito è se i suoi agiti siano totalmente correlabili al disturbo psichico o se non si possa individuare un ruolo anche nella sua situazione sociale e in che misura la presenza di una struttura sociale più solida influirebbe sul suo comportamento e sulla sua vita.

Infine accogliendo il fatto che ogni presa in carico, tanto più se complessa, porta con sé parti più e meno riuscite, crediamo che queste ultime non possano fare da trampolino per un ribaltamento di anni di evoluzione normativa, sociologica, filosofica, giuridica e culturale che ha portato in una direzione umanizzante della persona con sofferenza psichica.
L’ipotesi di una gestione coercitiva viene presentata come l’unica risposta possibile nel caso di non adesione ai percorsi di cura proposti. Focalizzandosi limitatamente alla visione di ciò che alla persona è stato offerto e alla sua scelta di non aderire ci si pone in una posizione paternalistica rispetto all’altro allontanandosi ulteriormente dalla possibilità reale di incontro, di costruzione di un percorso autentico di cura. Troncando in questo modo la possibilità di autodeterminazione del soggetto fragile si costringe la cura e la relazione al rapporto con un’idea di sicurezza che allontana, esclude, isola e in definitiva impedisce crescita e sviluppo.

Quale alternativa, quali strumenti.

Nell’Ordinanza la competenza esclusivamente sanitaria delle Rems viene definita disfunzionale e incostituzionale in quanto non garantirebbe la presa in carico di tutti i soggetti bisognosi e aumenterebbe i “rischi per l’incolumità dei cittadini e degli stessi infermi di mente, esposti a lunghi periodi nei quali è di fatto impossibile applicare misure di sicurezza a tutela anche della loro salute”.

Tuttavia tenendo un fisso riferimento sulla necessità di cura anziché sulla coercizione, si possono trovare alternative sia dal punto di vista ideologico che pratico. Va sempre ricordato che per il paziente “la vita può divenire un’insopportabile sofferenza per fattori biologici, psicologici e sociali, relazionali e per il peso dei determinanti sociali di salute. Ciò non fa venire meno il senso dell’autodeterminazione e della responsabilità. […] Tuttavia, se è necessaria una cura questa non può che fondarsi su consenso e responsabilità.7)L’elaborazione del reato è un processo doloroso e lungo, ma inevitabile. Pietro Pellegrini https://www.societadellaragione.it/campagne/imputabilita/se-e-necessaria-una-cura-questa-non-puo-che-fondarsi-su-consenso-e-responsabilita/

In linea con questo modello che assegna al protagonismo del paziente un ruolo primario, in alcune realtà d’Italia si sta già da tempo sperimentando il sistema del budget di salute.
Esso consiste nell’individuazione di un vero e proprio budget che diventa “strumento di definizione quantitativa e qualitativa delle risorse economiche, professionali e umane necessarie per innescare un processo volto a restituire centralità alla persona, attraverso un progetto individuale globale“.8)Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità

A livello pratico tramite la destinazione interna alle aziende sanitarie di un importo economico viene definito un progetto personalizzato per il paziente che prevede un utilizzo su ambiti quali la formazione al lavoro, la socializzazione, la cultura, lo sport, il tempo libero.
Così vengono destinate risorse alla costruzione di azioni e interventi estremamente mirati per valorizzare la persona nel suo contesto di vita, riprendendo ambiti di funzionamento altrimenti fermi. Assegnando un ruolo al paziente ma anche alla sua stessa rete si avvia una reale presa in carico territoriale. Non viene dunque speso di più ma semplicemente in modo diverso, attraverso un sistema che non punta ad eliminare la residenzialità ma a rafforzare l’efficacia delle prese in carico.

Il mezzo budget di salute ha infatti il pregio di richiedere un minor investimento in termini quantitativi ma permette anche di impiegare le risorse in modo più preciso, ottimizzando.

Questo strumento operativo realizza appieno l’ideale che sottende alle importanti riforme italiane in tema di salute mentale e permette al contempo un notevole risparmio economico. Il mezzo budget di salute ha infatti il pregio di richiedere un minor investimento in termini quantitativi ma permette anche di impiegare le risorse in modo più preciso, ottimizzando. E’ superfluo dire che ciò consente anche un notevolissimo risparmio rispetto all’ipotesi di costruzione di nuovi posti letto e, se implementato ulteriormente, consentirebbe anche maggiori dimissioni dalle ReMS e quindi ricambi, aumentando la disponibilità di accoglienza per i casi più complessi.

References

References
1 Così è definita da Franco Corleone la L 81/2014
2 Trattamento Sanitario Obbligatorio, contenzione, salute mentale Il ruolo dei garanti delle persone private o limitate nella libertà per la trasparenza delle pratiche sanitarie. Intervento alla Conferenza Salute mentale, Roma, 14 e 15 giugno 2019
Di Grazia Zuffa
3 http://www.sossanita.org/archives/8776, Cos’è la salute mentale? di Peppe Dell’Acqua, Silvia D’Autilia
4, 5 pericolosità sociale psichiatrica, Ugo Fornari, ATTUALITÀ IN TEMA DI PERICOLOSITÀ SOCIALE PSICHIATRICA
6 CNB La contenzione: problemi bioetici, 23 aprile 2015, http://bioetica.governo.it/it/documenti/pareri-e-risposte/la-contenzione-problemi-bioetici/
7 L’elaborazione del reato è un processo doloroso e lungo, ma inevitabile. Pietro Pellegrini https://www.societadellaragione.it/campagne/imputabilita/se-e-necessaria-una-cura-questa-non-puo-che-fondarsi-su-consenso-e-responsabilita/
8 Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità