XVIII rapporto sulle condizioni di detenzione

Diritti migranti. Stranieri e detenzione

Diritti migranti. Stranieri e detenzione

Diritti migranti. Stranieri e detenzione

1024 576 XVIII rapporto sulle condizioni di detenzione

Serena Greco

Detenuti stranieri e (ir)regolarità del soggiorno in Italia

Sebbene durante il periodo di detenzione lo stato di irregolarità del detenuto non condizioni in modo rilevante il diritto ad usufruire di cure mediche e svolgere attività lavorativa, il godimento di tali diritti potrebbe invece essere compromesso a fine pena

Il tema “Immigrazione e carcere” investe una serie di riflessioni inerenti alla specificità dei bisogni dei detenuti stranieri, spesso non adeguatamente considerate, quali le difficoltà linguistiche e quindi comunicative, l’assenza di mediatori culturali, l’inadeguata difesa e informazione relativamente al diritto dell’immigrazione, finanche gli ostacoli burocratici del rinnovo del permesso di soggiorno e accesso alla domanda di protezione internazionale, determinanti anche per l’esito dello stesso percorso rieducativo.

Lo straniero che giunge in Italia dovrà, infatti, regolarizzare la sua presenza mediante il rilascio di un permesso di soggiorno, concesso sulla base dei motivi dell’ingresso e della permanenza, quali ad esempio studio, lavoro, cure mediche, giustizia, ricongiungimenti familiari o legati alla presenza dei figli minori sul territorio italiano e apolidia. Inoltre, lo stesso potrà formulare apposita domanda di protezione internazionale1)  con il coinvolgimento delle Commissioni Territoriali – ottenendo il relativo permesso di richiedente asilo – o, secondo la novellata disciplina, anche di protezione speciale2). Ciascun permesso di soggiorno dovrà essere poi tempestivamente rinnovato presso la competente Questura ed entro i termini di legge, previa verifica della permanenza delle condizioni che ne avevano giustificato il rilascio.

Le conseguenze del mancato rinnovo del permesso di soggiorno, e quindi della condizione di irregolarità dello straniero in Italia, sono disciplinate dagli artt. 13 e segg. del Testo Unico Immigrazione.

In particolare, l’art. 13, comma 2, L. n. 286 del 1998, espressamente richiamato dall’art. 16, comma 5, della stessa legge, prevede l’espulsione amministrativa quale conseguenza dell’irregolarità del soggiorno Italia, disposta qualora lo straniero si sia trattenuto nel territorio dello Stato senza aver chiesto il permesso di soggiorno nei termini di legge, ovvero quando il permesso di soggiorno è stato revocato, annullato o rifiutato, o è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo.

L’art. 16, comma 5 stabilisce invece che nei confronti dello straniero, identificato e detenuto, che si trova in taluna delle situazioni indicate nell’articolo 13, comma 2, che deve scontare una pena detentiva, anche residua, non superiore a due anni, è disposta l’espulsione in quanto misura alternativa alla detenzione, introdotta dall’ordinamento a fini deflazionistici.

La legge persegue l’obiettivo facendo in modo che fuoriescano dal circuito penitenziario, e siano subito rimpatriati, i condannati comunque non reintegrabili nella comunità nazionale, perché sprovvisti di titolo per rimanervi, già non avviati a percorsi proficui di risocializzazione e per i quali non sussistano prevalenti esigenze di tutela della loro incolumità e salute o delle loro relazioni familiari3).

Alla luce di tali previsioni, mantenere la regolarità del soggiorno in Italia, anche e soprattutto per i detenuti stranieri, è indispensabile per non incorrere nelle gravi conseguenze previste dalla legge, quali, appunto, l’espulsione dal territorio italiano e lo sradicamento – fisico, sociale e culturale – che tale provvedimento comporta.

Ed infatti, sebbene durante il periodo di detenzione lo stato di irregolarità del detenuto non condizioni in modo rilevante il diritto ad usufruire di cure mediche e svolgere attività lavorativa, il godimento di tali diritti potrebbe invece essere compromesso a fine pena, dunque proprio nel delicato periodo di reinserimento socio-lavorativo dell’ex-detenuto4).

Il rinnovo del permesso di soggiorno dal carcere

Ciò premesso, la condizione detentiva non è giuridicamente di ostacolo alla presentazione della domanda amministrativa di rinnovo del permesso di soggiorno, alla luce delle generali facoltà accordate dall’art. 123 c.p.p., comma 1. Tuttavia, si tratta di una procedura che non avviene in modo automatico nel contesto intramurario e che prevede l’attivazione in prima persona dello straniero detenuto.

A tal fine, egli potrà rivolgersi all’ufficio Matricola o all’ufficio educatori, che forniranno l’apposito modulo da compilare e firmare per la Questura. È consigliabile sempre conservare una copia della richiesta, così da poterla esibire in Questura una volta scarcerati, al fine di dimostrare di essersi attivati per il rinnovo del permesso mentre questo era ancora valido5).

Anche i Giudici, chiamati a pronunciarsi sulle opposizioni ai decreti di espulsione per i casi di mancato rinnovo del permesso di soggiorno di detenuti stranieri o sulla legittimità delle sentenze del Giudice di pace, competenti per tale materia, hanno ribadito che in tema di richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno da parte dello straniero in stato di detenzione, deve specificamente ritenersi che il direttore dell’istituto carcerario, tra l’altro obbligato all’inoltro di ogni comunicazione afferente alla corrispondenza personale del detenuto, sia tenuto all’inoltro, al ritiro e alla consegna della documentazione diretta alla e proveniente dalla Questura in base alla previsione dell’art. 10 quarto comma regolamento di attuazione del T.U. sull’immigrazione reso con D.P.R N. 394 del 19996).

Nonostante la previsione di tale procedura, tuttavia, emerge la difficoltà, o meglio l’impossibilità, per molti detenuti stranieri di rinnovare il permesso di soggiorno dal carcere.

Nel 2019, nel corso delle 98 visite in carcere fatte dell’Osservatorio di Antigone sulle condizioni di detenzione, abbiamo chiesto se in quegli istituti era possibile per i detenuti stranieri fare richiesta di protezione internazionale, e nel 58% ci è stato detto che era possibile. Alla domanda, invece, sull’effettiva possibilità di chiedere il rinnovo del permesso di soggiorno dal carcere, la risposta affermativa riguardava il 64.3% degli istituti.

A causa anche delle difficoltà comunicativa e della mancata comprensione della prassi legislativa, i detenuti stranieri potrebbero, dunque, sfuggire alla possibilità di godere dei propri diritti, ma anche all’esatto adempimento dei loro doveri. La conseguenza è un’irregolarità amministrativa che condizionerà la permanenza del detenuto in Italia e il comminarsi di eventuali espulsioni, spesso difficili da sanare.

Le criticità legate allo stato di detenzione dello straniero sono specificamente correlate alla nozione di “forza maggiore” di cui all’art. 13 lett b) del Testo Unico Immigrazione, che potrebbe giustificare il mancato rinnovo del permesso di soggiorno, e quindi evitare allo straniero di incorrere nelle gravi conseguenze supra esposte.
I Giudici, su tale specifico punto, hanno più volte statuito che lo stato di detenzione non possa costituire una causa di forza maggiore idonea a giustificare il mancato rinnovo del permesso di soggiorno, con la conseguenza che la mancata presentazione di istanza di rinnovo durante il periodo di restringimento in carcere debba ascriversi a mera negligenza dell’extracomunitario detenuto7).

Allo stesso modo, è stata ritenuta illegittima l’espulsione come misura alternativa alla detenzione del detenuto straniero che abbia tempestivamente presentato domanda di permesso di soggiorno in ordine alla quale ancora non sia stata assunta la decisione da parte della competente autorità amministrativa.

Gli stranieri detenuti accedono in misura inferiore, in termini percentuali, anche alle misure alternative, probabilmente a causa di un sistema normativo di espulsioni che scoraggia dall’investire su progetti sociali di reinserimento.

La domanda di protezione internazionale e le misure alternative

Per ciò che concerne la domanda di protezione internazionale formulata dallo straniero durante lo stato di detenzione, si richiama un’interessante pronuncia del Tribunale di Torino, adito mediante ricorso d’urgenza ex art 700 cpc, al fine di ordinare alla Questura di Torino l’immediata registrazione della domanda di protezione internazionale formulata ai sensi dell’art. 26 D.Lgs. 25/2008. Il richiedente, detenuto straniero, aveva manifestato mediante missiva indirizzata all’Ufficio Immigrazione della Questura di Torino la volontà di presentare domanda di protezione internazionale, dichiarazione di volontà trasmessa al medesimo Ufficio per il tramite del legale di fiducia anche a mezzo PEC, senza tuttavia avere ricevuto riscontro alcuno, nonostante i solleciti effettuati.

L’Amministrazione convenuta aveva, inoltre, erroneamente ritenuto che dovesse essere necessaria la presenza fisica del richiedente, requisito che non è prescritto dalla legge e che nel caso di specie sarebbe di difficile attuazione, alla luce dello stato di detenzione del richiedente.

Per i giudici, la situazione giuridica a tutela della quale il richiedente chiedeva un provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c. aveva natura di diritto soggettivo e, con riferimento al “periculum in mora”, non era in dubbio che l’omessa registrazione della domanda di protezione internazionale recasse pregiudizio al richiedente in quanto non solo, più in generale, lo priva di una condizione di certezza circa la regolarità della sua permanenza nel territorio nazionale ma – nel caso di specie – lo espone al rischio specifico di un rimpatrio, laddove sia data esecuzione al provvedimento espulsivo di cui il predetto è già stato destinatario. La richiesta del ricorrente veniva dunque accolta, e la Questura intimata a registrare la domanda di protezione internazionale.

Lo stato di regolarità del detenuto straniero risulta di particolare rilevanza anche in relazione ad altri aspetti, quali la concessione di misure alternative alla detenzione.

È stato riscontrato, infatti, come gli stranieri detenuti accedono in misura inferiore, in termini percentuali, anche alle misure alternative, probabilmente a causa di un sistema normativo di espulsioni che scoraggia dall’investire su progetti sociali di reinserimento. Essi costituiscono il 17,5% delle persone prese in carico dal sistema dell’esecuzione penale esterna mentre sono più del 31% tra i presenti in carcere8).

Si tratta di riflessioni ed interpretazioni che già hanno coinvolto la giurisprudenza italiana; in particolare, la Corte di cassazione aveva inizialmente aderito all’orientamento secondo cui la condizione di irregolarità dello straniero precludesse senz’altro l’accesso alle misure alternative. Secondo tale prospettiva, in quanto contra legem la permanenza dello straniero nello Stato, l’esecuzione della pena in regime di misura alternativa non potrebbe che avvenire in violazione o comunque elusione delle norme che regolano il fenomeno dell’immigrazione.

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 78 del 2007, ha ritenuto costituzionalmente illegittimi gli artt. 47, 48 e 50 della legge 26 luglio 1975, n. 354 per violazione dell’art. 27, comma 3 della Costituzione, ove interpretati nel senso che allo straniero extracomunitario, privo del permesso di soggiorno sia in ogni caso precluso l’accesso alle misure alternative alla detenzione.

La lettura restrittiva delle norme, infatti, precludeva l’accesso ai benefici ed escludeva dal processo riabilitativo un’intera categoria di soggetti individuata sulla base di un indice – il mancato possesso di titolo abilitativo alla permanenza nello Stato – che di per sé non è univocamente sintomatico né di una particolare pericolosità sociale, incompatibile con il perseguimento di un percorso rieducativo, né della sicura assenza di un collegamento col territorio, che impedisca la proficua applicazione della misura. Rilevava ulteriormente che l’assoluta preclusione all’accesso alle misure alternative alla detenzione, nei casi in esame, prescindeva dalla valutazione prognostica attinente alla rieducazione, al reinserimento sociale del condannato e alla prevenzione del pericolo di reiterazione di reati, con prevalenza della finalità repressiva su quella rieducativa.

Almeno fino al 2019 – circa l’80% dei trattenuti- proveniva direttamente dal carcere o aveva da poco finito di scontare la detenzione.

I centri di permanenza per il rimpatrio

Preme aggiungere, inoltre, come anche lo straniero detenuto, al termine dell’esecuzione della pena o destinatario di un provvedimento di espulsione ai sensi dell’articolo 16, comma 5 del Testo Unico Immigrazione, rischierebbe di essere trattenuto presso un CPR (Centri di permanenza per il rimpatrio).

Si tratta di luoghi di trattenimento del cittadino straniero in attesa di esecuzione di provvedimenti di espulsione, quindi strutture simil carcerarie per ragioni meramente amministrative che privano i trattenuti dei diritti e delle garanzie previsti dal sistema della giustizia penale.

Alcuni osservatori privilegiati sostengono che – almeno fino al 2019 – circa l’80% dei trattenuti- proveniva direttamente dal carcere o aveva da poco finito di scontare la detenzione.

Il trattenimento nei CPR, alla luce dei dati raccolti9) e le prassi riscontrate, non soddisfa la sua finalità originaria – il superamento degli ostacoli che impediscono il rimpatrio – per acquisire invece una natura sanzionatoria e simbolica, per punire con la privazione della libertà personale degli individui che non hanno commesso un reato, ma che sono “colpevoli” di essere irregolari.

Il trattenimento presso un CPR costituisce, infatti, un unicum tra le ipotesi di privazione della libertà personale, non motivata da finalità punitive, altresì priva di scopi di prevenzione o esigenze di tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico.

La stessa assenza di reali prospettive di reintegrazione potrebbe, dunque, determinare la permanenza dello straniero nel circuito della delinquenza e della commissione di ulteriori reati.

Proposte di riforma
Alla luce delle considerazioni finora svolte, si può rilevare come la condizione di regolarità del soggiorno in Italia del detenuto straniero intersechi diversi ed eterogenei profili di vulnerabilità dello stesso.

A tal proposito, si richiama la relazione formulata dalla Commissione per l’Innovamento penitenziario, consegnata alla Ministra della Giustizia Cartabia nel mese di dicembre 202110), contenente alcune proposte di modifica dell’ordinamento penitenziario che, a legislazione invariata, potrebbero determinare un significativo miglioramento della qualità della vita nell’esecuzione penale. A tal fine, la Commissione ha esaminato la normativa vigente, rilevando così le esigenze di interventi in grado di rispondere alle carenze di effettività della tutela dei diritti fondamentali, con riferimento anche alle suddette specificità dei detenuti stranieri.

In particolare, è rilevante la modifica proposta dalla Commissione dell’attuale art. 35 del d.P.R. 30 giugno 2000 n. 230, che prevede un’integrazione del primo comma in tali termini: «Deve essere altresì garantita la possibilità di accedere alle procedure per il rinnovo del permesso di soggiorno e la facoltà di manifestare la volontà di chiedere protezione internazionale in presenza delle condizioni di legge».

Inoltre, viene proposta anche l’aggiunta del 4 comma del medesimo articolo, stabilendo che «Gli stranieri privi di permesso di soggiorno, per il tempo dell’esecuzione di misure privative della libertà personale, hanno titolo alla permanenza nel territorio nazionale e, quando sia disposta in loro favore una misura alternativa che preveda lo svolgimento di una attività lavorativa, possono stipulare contratti di lavoro per la durata della misura».

Le modifiche proposte mirano ad ampliare le garanzie in favore dei detenuti stranieri, in particolare esplicitando come la detenzione non possa interdire o ritardare l’accesso alle domande per il rinnovo del permesso di soggiorno o per l’ottenimento di protezione internazionale, nonché ad assicurare la conoscenza degli atti relativi alla vita interna nella lingua di appartenenza. Quanto proposto, rileva la Commissione, è in linea con le previsioni delle Regole penitenziarie europee, come aggiornate nel 2020, in particolare nella Regola n. 37.

La proposta di modifica dell’art. 4 ha invece l’obiettivo di chiarire che, in estrinsecazione del principio di parità di trattamento tra le persone detenute, anche allo straniero, a prescindere dalla legittimità del suo soggiorno nel territorio nazionale, deve essere garantito un trattamento volto alla risocializzazione, e dunque di piena presa in carico, nel contesto intramurario, al pari di chi è regolarmente soggiornante e di possibile apertura alla concessione di misure alternative, secondo l’insegnamento pacifico della già menzionata sentenza della Corte costituzionale (sent. 78/2007).

In definitiva, anche alla stregua di quanto riportato, proprio la prospettiva dell’espulsione potrebbe limitare l’atteggiamento collaborativo del detenuto straniero irregolare; non è difficile immaginare, infatti, la ristrettezza degli spazi effettivamente praticabili ai fini di un reinserimento socio-lavorativo di uno straniero irregolare. Si tenga conto, inoltre, che a parità di condizioni oggettive (precedenti criminali, gravità del reato ed entità della pena ancora da scontare) i detenuti italiani siano ammessi a fruire di benefici penitenziari (lavoro all’esterno, permessi, misure alternative) con frequenza di gran lunga maggiore rispetto a quelli stranieri, a maggior ragione se questi risultano irregolari.

La stessa assenza di reali prospettive di reintegrazione potrebbe, dunque, determinare la permanenza dello straniero nel circuito della delinquenza e della commissione di ulteriori reati.

Per tali ragioni, l’importanza e la necessità di mantenere la condizione di regolarità del detenuto straniero – fornendo apposito supporto burocratico e adeguatamente informativo – è finalizzata ad evitare che il percorso rieducativo possa essere irrimediabilmente vanificato da un provvedimento di espulsione. Quest’ultima, infatti, non sembra avere un significativo performante in ordine al percorso risocializzante del condannato, ed anzi recide quello intrapreso prima del provvedimento, contrastando così con l’articolo 27, comma 3 della Costituzione.

Inoltre, l’applicazione di tale sanzione alternativa alla detenzione determina una disparità di trattamento rispetto ai percorsi di pena dei detenuti italiani e stranieri “regolari”, in violazione del principio costituzionale di uguaglianza.

References

References
1 Si tratta, in particolare, dello status di rifugiato nei casi previsti dall’Art. 1 punto 2, della Convenzione di Ginevra del 28.07.1951, riconosciuto a chi «temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese, di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese: oppure che, non avendo la cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra»; e della protezione sussidiaria, di cui all’art. 14 del D. lgs. 251/2007, che compete alle persone che non possiedono i requisiti per lo status di rifugiato ma che se ritornassero nel loro paese subirebbero un danno grave, quale a) la condanna a morte o all’esecuzione della pena di morte; b) la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante c) la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”.
2 Si tratta della protezione umanitaria prevista dall’art. 5 co. 6 d.lgs n. 286/1998, abrogata nel 2018 e superata dalla protezione speciale e complementare (che è stata successivamente rivisitata attraverso il dl n. 130/2020 convertito nella L. n. 173/2020), che prevede il divieto di espulsione, respingimento o estradizione di una persona verso uno Stato «qualora esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a tortura o a trattamenti inumani o degradanti», tenendo anche in considerazione se, nello Stato di origine, vi siano sistematiche e gravi violazioni dei diritti umani. Si prevede, inoltre, la necessità di valutare se l’allontanamento dal territorio nazionale possa comportare la violazione del diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, salvo ragioni di sicurezza nazionale ovvero di ordine e sicurezza pubblica: gli indici da considerare, a tale fine, sono la natura e l’effettività dei vincoli familiari dell’interessato, il suo inserimento sociale in Italia, la durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché l’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d’origine.
3 Cassazione penale, sent. n. 50487/2019.
4 L’espulsione dello straniero in carcere e la funzione rieducativa della pena, su Openmigration.it.
5 Si veda, a tal proposito, la Guida per la persona straniera privata della libertà personale, curata da ASGI, APS, Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione Clinica Legale Carcere e Diritti II (Dipartimento di Giurisprudenza, UniTo), dove viene riferito che l’esigenza di elaborare tale opuscolo è emersa dall’osservazione dell’elevato numero di detenuti stranieri che necessitano di informazioni in merito all’ottenimento o al mantenimento della regolarità di soggiorno in Italia.
6 Corte di Cassazione, n. 6780/2017.
7 Cassazione civile, ordinanza n. 19105/2015; Cassazione penale, sentenza n. 50457/2017; Cassazione penale, sentenza n. 41370/2009; Cassazione civile, ordinanza n. 28328/2017.
8 Report di CLID Buchi neri – La detenzione senza reato nei Centri di Permanenza per i Rimpatri (CPR).
9 Si considerino, inoltre, i Report di ASGI, quali: CPR di Torino: Libro Nero; Via Corelli, diritti negati al CPR di Milano.
10 Innovazione del sistema penitenziario: la Relazione finale della Commissione Ruotolo, su Sistemapenale.it.