Dalle nostre visite nei diversi istituti penitenziari italiani, il quadro che emerge in materia di lavoro e formazione professionale è assai variegato. Da un lato, troviamo situazioni virtuose in cui i detenuti svolgono tutti un’attività lavorativa (che sia alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria o per datori di lavoro diversi dal carcere), e all’estremo opposto istituti in cui le poche attività lavorative presenti sono quelle cosiddette domestiche alle dipendenze dell’amministrazione, come le pulizie, la cucina e la spesa. Discorso più complesso è quello che riguarda la formazione professionale che appare essere davvero carente in linea generale.
Andiamo a vedere cosa abbiamo trovato nel corso delle nostre visite. Dai dati da noi raccolti nel 2021 è risultato anzitutto che il budget medio annuale previsto per le mercedi sia di 645.049,6 euro ad istituto, per un totale medio annuo a dipendente, ovviamente lordo, di 7.414,2 euro.
In media nei 96 istituti visitati il 33% dei detenuti presenti era impiegato alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria; di questi buona parte è impiegato sempre in mansioni di tipo domestico. Solo il 2,2% dei presenti era invece in media impiegato alle dipendenze di altri soggetti. Il dato è peraltro molto disomogeneo. In Emilia-Romagna questa percentuale era del 4%, in Campania dello 0,3%. In 37 istituti visitati, più di un terzo del totale, non abbiamo trovato alcun detenuto impiegato per un datore di lavoro diverso dal carcere stesso.
Gli istituti a forte vocazione lavorativa sono le ex colonie agricole e gli ICATT.
Nella casa di reclusione di Onanì “Lodè Mamone” tutti i detenuti presenti al momento della visita lavoravano. Si tratta appunto di una delle 5 colonie ex penali rimaste sul territorio nazionale, istituto in cui si accede su richiesta e i detenuti ammessi devono soddisfare alcuni criteri specifici: residuo pena inferiore a 6 anni, una certificazione di idoneità allo svolgimento di lavori agricoli e l’appartenenza al circuito di media sicurezza. Le attività lavorative che si svolgono all’interno della casa di reclusione sono l’allevamento di ovini (circa 1.200 capi di bestiame) e bovini (circa 400), gli orti, la raccolta delle olive, le attività di manutenzione di trattori e altri mezzi, la produzione di formaggi in un apposito caseificio, oltre alle attività ricorrenti in tutti gli altri istituti. Al momento della nostra visita (nel luglio 2021) i detenuti lavoranti erano 94 – come i presenti – tutti alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria. Oltre ai detenuti impiegati nelle diverse attività agricole di elezione dell’istituto, ve ne erano altri impegnati, oltre che nella manutenzione degli edifici, anche in quella delle strade, che sono lunghe diversi chilometri; vi erano poi detenuti impegnati nelle officine meccaniche (manutenzione, lavaggio mezzi, etc.) e nelle officine agricole. Al momento della visita non era però presente alcuna attività di formazione professionale.
Al contrario in istituti importanti come Poggioreale lavorano solo 280 detenuti sui 2.190 presenti, meno del 13%, ad Agrigento 46 su 311, il 15%.
Spesso il lavoro non c’è nemmeno dove sembrerebbe scontato che ci fosse, e dove c’è qualche opportunità di lavoro non sempre ci sono i lavoratori
Spesso il lavoro non c’è nemmeno dove sembrerebbe scontato che ci fosse, e dove c’è qualche opportunità di lavoro non sempre ci sono i lavoratori. Nella casa di lavoro con sezione circondariale di Vasto, dove al momento della visita erano presenti 100 tra detenuti e internati, molti tra coloro che eseguono la misura di sicurezza della Casa di lavoro (art. 216 del Codice Penale) sono dichiarati inabili al lavoro. Le serre presenti nell’istituto sono state chiuse per mancanza di manodopera. C’è un’azienda interna che produce olio e lo commercializza nello spaccio interno e anche in altri istituti penitenziari. É presente poi una sartoria dove potrebbero essere impiegate fino a 18 persone, ma dove invece trovano lavoro in cinque.
In 35 degli istituti visitati, ben oltre un terzo, non era attivo alcun corso di formazione professionale.
All’interno del grande istituto di Torino sono invece attive diverse attività di formazione professionale che coinvolgevano al momento della nostra visita 158 detenuti – tra uomini e donne – ovvero l’11,6% dei presenti, una percentuale altissima rispetto alla media nazionale.
Al “Gozzini” di Firenze, l’ultimo corso di formazione professionale si è tenuto nel 2014 a causa della carenza di fondi regionali. Quasi ovunque la formazione professionale è ferma dall’inizio della pandemia.
Nella casa circondariale di Grosseto sono assenti gli spazi per le lavorazioni e, dunque i detenuti sono impiegati – peraltro a turnazione – nelle sole attività domestiche. Non ci sono corsi di formazione professionale né sono attivi lavori di pubblica utilità. La ragione, ci è stato spiegato, risiede sia nella carenza di risorse economiche che nella mancanza di sinergia con le cooperative e le associazioni esterne; il territorio appare molto reticente a intraprendere qualsiasi progetto con l’istituto. Anche ad Arezzo sono del tutto assenti spazi dedicati alla formazione professionale e alle lavorazioni.
Nell’istituto di Forlì, dove circa 30 detenuti lavorano e 4 di questi sono donne, ci è stato comunicato però che non esistono corsi professionali rivolti alle donne.
Lavori di pubblica utilità
Per quanto riguarda i lavori di Pubblica Utilità sembrerebbe che la pandemia abbia posto fine a gran parte delle convenzioni e attività. Nella casa circondariale di Larino ci è stato riferito che i LPU coinvolgono ancora 3 detenuti in articolo 21, selezionati attraverso una graduatoria che tiene conto delle capacità manuali e professionali necessarie. Anche nella casa circondariale di Viterbo 3 detenuti escono in art.21 in LPU: questi tre detenuti, affinché possano ricevere un introito economico sono coinvolte anche in attività lavorative retribuite. Nella casa circondariale di Cassino sono 2 le persone coinvolte in LPU tramite un protocollo con società autostrade per la manutenzione del verde. Ad Ivrea un detenuto svolge LPU presso la biblioteca cittadina ricevendo un buono pasto e un rimborso per le spese di trasporto.
Nella quasi totalità degli altri istituti, al momento della nostra visita, non erano attivi programmi di “lavoro di pubblica utilità”.
Uno sguardo ai dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e della Ragioneria dello Stato
La spesa per mercedi ai detenuti lavoranti nell’anno 2020 è stata di 119.704.569,77 euro, mentre gli sgravi fiscali e le agevolazioni alle imprese che hanno assunto detenuti o internati negli istituti penitenziari per lo stesso anno sono ammontati a 10.000.000,00 come si evince dal bilancio consuntivo di quell’anno. Il bilancio di previsione per il triennio 2022-2024 prevede un aumento dello stanziamento per mercedi, a fronte invece di uno stanziamento per sgravi fiscali stazionario.
Questi dati in astratto potrebbero significare poco. Cerchiamo di capire in concreto di cosa si parla e anche se queste cifre, sicuramente importanti, possono però essere considerate sufficienti per garantire un supporto importante a uno dei pilastri del trattamento penitenziario, il lavoro.
Al 30 giugno 2021 sappiamo che i detenuti alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria erano 15.827 e possiamo facilmente calcolare, usando come riferimento il budget per il 2021, che il loro costo lordo mensile si approssima a 621,4 euro. Questa copertura finanziaria rende palpabile la problematica che in diversi istituti ci è stata rappresentata sull’impossibilità di garantire un lavoro a tutti i detenuti che ne avrebbero diritto e bisogno. Da questa situazione discendono due conseguenze: sia la rotazione periodica dei detenuti su lavori – come quelli domestici – per i quali non è prevista un’alta professionalità; e dall’altra anche la prassi più volte denunciataci di retribuire i detenuti per meno ore rispetto a quelle realmente lavorate.
Al 30 giugno 2021 il numero complessivo di lavorazioni presenti negli istituti di pena era di 254 delle quali 244 erano quelle attive. Di queste 115 erano quelle gestite dall’amministrazione penitenziaria. In totale i posti di lavoro garantiti da queste lavorazioni erano 1.742 a fronte di un numero di posti potenziale di 2.142.
Le tipologie di lavorazioni più diffuse sono: vivaio/serra/tenimenti agricolo/allevamento (34 su 35 in attività delle quali 26 gestite dall’amministrazione), sartoria/calzetteria/maglieria con 31 lavorazioni attive e 24 di queste gestite dall’amministrazione, la lavanderia con tutte le 24 postazioni attive la metà delle quali gestite dall’amministrazione penitenziaria, pasticceria/panificio/pizzeria con 22 lavorazioni attive su 23 di cui 20 gestite da un’azienda/cooperativa esterna, e ancora l’assemblaggio/riparazione di componenti vari con 21 attività attive su 21, la stragrande maggioranza delle quali di cooperative/aziende esterne.
I detenuti occupati in ambito agricolo erano 304 di cui 129 nelle 4 colonie.
Passando ai detenuti lavoranti non alle dipendenze dell’Amministrazione Penitenziaria, al 30 giugno 2021 questi erano 2.130, rappresentando il 3,9% sul totale dei detenuti. Tra questi i semiliberi erano 677, le persone in articolo 21 erano invece 506, mentre lavoravano in istituto per imprese 160 detenuti e 777 detenuti lavoravano per cooperative. Alle imprese e società cooperative che assumono detenuti e internati sono destinati dalla c.d. legge ex Smuraglia gli sgravi fiscali e le varie agevolazioni previste anche dal bilancio. Nel 2020 il consuntivo del Ministero della Giustizia riporta a 10 milioni gli euro destinati per questi sgravi e agevolazioni. Facendo dei rapidi calcoli per ciascuno dei 2.130 detenuti sono stati stanziati circa 4.695 euro di sgravi e agevolazioni fiscali.
Per quanto riguarda la formazione professionale, purtroppo non si dispone di dati sugli stanziamenti di spesa. Infatti molti di questi fondi hanno provenienza regionale. Il Ministero della Giustizia ha pubblicato invece i dati sui corsi relativi al I semestre del 2021 – dunque aggiornati al 30 giugno 2021 e questi sono i più recenti che si hanno a disposizione.
Come si può vedere sono stati 148 i corsi attivati, solo 100 quelli terminati. Quello che si evince è che si parla di meno di un corso professionale per istituto e se andiamo a vedere i corsi effettivamente conclusi arriviamo quasi a un corso professionale attivo ogni due istituti. I detenuti iscritti sono stati nel primo semestre 1.545 e di questi poco più di 1.000 hanno terminato il corso e in 868 hanno ottenuto una promozione. Gli stranieri sono meno della metà. In Molise, Puglia, Sardegna e Valle d’Aosta non è stato attivato alcun corso. Mentre in Umbria nessun corso è terminato, così come in Basilicata.
Lombardia (28), Sicilia (23), Friuli Venezia Giulia (23), Emilia Romagna (17) e Piemonte (15) sono quelle più virtuose dal punto di vista dei corsi attivati.
La maggior parte dei corsi attivati hanno riguardato la cucina e la ristorazione (29), il giardinaggio e l’agricoltura (26), l’edilizia (13), l’arte e la cultura (10). Tra i corsi conclusi al primo posto sempre la cucina e la ristorazione (26), poi l’agricoltura e il giardinaggio (17).
Da questa serie storica è visibile quanto l’offerta di formazione professionale nel corso degli ultimi 25 anni si sia ridotta in maniera significativa. Se nel 1996 riusciva a coinvolgere l’8,34% dei detenuti presenti, già dal 2016 non si riesce a raggiungere il 3% della popolazione reclusa.