XVIII rapporto sulle condizioni di detenzione

Un anno di contenzioso strategico. Il caso Rotundo

Un anno di contenzioso strategico. Il caso Rotundo

Un anno di contenzioso strategico. Il caso Rotundo

1024 576 XVIII rapporto sulle condizioni di detenzione

Simona Filippi

Un anno di contenzioso strategico. Il caso Rotundo

Con sentenza del 4 novembre 2021, la Corte di Appello di Bari, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Foggia che aveva condannato Giuseppe Rotundo alla pena della reclusione per un anno e nove mesi, ha pronunciato l’assoluzione perché il fatto non costituisce reato.
I Giudici hanno accolto la tesi difensiva secondo cui Rotundo è stato vittima di un’azione di violenza da parte di tre agenti di polizia penitenziaria cui lo stesso ha reagito “in quanto costretto dalla necessità di difendersi dall’aggressione e dalle violenze fisiche”.
Sono trascorsi più di undici anni dai fatti.
Era il 12 gennaio 2011 quando, così come ricostruito nei capi di imputazione, tre agenti di polizia penitenziaria abusavano dei mezzi di correzione in danno di Giuseppe Rotundo portandolo in una cella di isolamento del carcere di Lucera dove lo costringevano a spogliarsi e lo colpivano con calci e pugni in varie parti del corpo cagionandogli lesioni giudicate guaribili entro 40 giorni, colpendolo prima con un pugno alla nuca, poi in faccia e con calci e pugni su tutto il corpo infine facendolo cadere a terra in uno stato di incoscienza.
Anche gli agenti di polizia penitenziaria denunciavano di essere stati loro vittime di un’azione di violenza da parte di Rotundo il quale avrebbe utilizzato violenza e minaccia per opporsi, inveendo contro un agente con parole offensive e minacciose quindi scagliandosi contro altri assistenti intervenuti per la definizione del procedimento disciplinare in particolare intimando parole ingiuriose e infine colpendo al volto con un pugno un agente e cercando di colpire con calci e pugni gli altri due.
Sono così nati due diversi procedimenti poi riuniti davanti allo stesso Giudice.

In contrasto con quanto ricostruito dal Tribunale, ho sempre sostenuto la totale inconciliabilità tra le due versioni offerte da una parte dal detenuto e dall’altra dai poliziotti.

In contrasto con quanto ricostruito dal Tribunale, ho sempre sostenuto la totale inconciliabilità tra le due versioni offerte da una parte dal detenuto e dall’altra dai poliziotti.
Il punto di partenza era condiviso dai protagonisti: la vicenda ha avuto inizio da un diverbio provocato da Rotundo mentre era in fila in attesa di effettuare la telefonata ai familiari.
Da questo momento in poi i racconti prendono strade differenti: il detenuto sostiene di essere stato chiamato da uno degli agenti e di essere stato condotto in una cella della sezione di isolamento dove, dopo essere stato invitato a spogliarsi per la perquisizione necessaria per l’incontro con il Comandante, veniva invece brutalmente picchiato dagli agenti: “Quattro stavano dentro, e gli altri due tre, però erano tutto con i guanti, lo notai subito questo particolare, e capii che cosa stava succedendo. Se non che, insomma alla fine ero completamente nudo, e ricevetti il primo pugno alla nuca da Leone Vincenzo, mi girai per difendermi non escludo di aver colpito molto probabilmente, anzi sono quasi sicuro di aver colpito perché ho reagito e quindi per difesa, ho reagito per difesa e ho cercato di difendermi ma non ci fu verso perché dopo due secondi ero subito in stato di incoscienza, per terra, nudo. E, quindi, fui completamente massacrato, e non ricordo più niente di quel attimo, ricordo solo che poi fui preso da alcuni agenti e spostato nella cella a fianco, sempre in quel reparto là. Mi chiusero con il blindato, nudo l’11 gennaio, c’era un materasso brutto, buttato là, era evidentemente una cella che non usavano mai e misero me in quella cella.”
Gli agenti sostengono invece che, dopo il diverbio avvenuto con Rotundo, gli stessi lo avevano condotto in una cella adibita ad ufficio per la contestazione disciplinare e, lì, una volta entrato, il detenuto si sarebbe scagliato contro gli agenti per poi scivolare a terra: “Insieme agli altri colleghi siamo intervenuti per portarlo alla calma ed è scivolato a terra, così l’abbiamo preso di peso tirandolo chi con le braccia…. perché lui continuava a dimenarsi”.
I fatti ricostruiti nel corso del processo si sono sviluppati secondo un copione oramai noto: l’utilizzo della sezione di isolamento quale luogo di commissione del delitto e il medico che non predispone il referto.
A volte il ripetersi di dinamiche consolidate si scontra con accadimenti imprevedibili: il detenuto che riesce a denunciare e l’operatore che conferma il racconto denunciato.
In questa vicenda, la notizia di reato è giunta grazie alla volontà e alle capacità del detenuto.
Rotundo conosce bene il carcere e sa come muoversi.
Per questo, decide di scrivere una lettera che inserisce in una busta senza indicare il nome e che consegna ad un altro detenuto cui chiede di spedirla all’avvocato: “siccome ero consapevole che non sarebbe partita e nome mio […] Avevo questa paura, e decisi di passare la lettera ad un compagno, che si trovava nella sezione sopra, che avevo modo di vedere quando loro si recavano ai passeggi.”
L’avvocato, letta la missiva, decide di depositarla in Procura e così, a pochi giorni dai fatti, personale della Polizia giudiziaria si reca in carcere ad effettuare rilievi fotografici sul corpo del detenuto: “E’ necessario verificare e documentare con urgenza – e prima che il decorso del tempo le cancelli – eventuali lesioni e tracce delle riferite percosse sul corpo di Rotundo.”
Le fotografie attestano: tracce di ematoma ad entrambe le regioni periorbitali, di emorragia oculare destra, di emorragia oculare sinistra, di tumefazione regione frontale destra, ematoma avambraccio destro regione interna ed esterna e gomito, tumefazione dorso mano destra, graffi emitorace sinistro, ematomi sul ginocchio e gamba destra, ematoma caviglia, collo del piede e regione plantare dorsale piede destro.
Il giorno dopo i fatti, Rotundo incontra l’assistente sociale e la psicologa del carcere che sono poi venute a raccontare in Tribunale quanto avevano visto.
La psicologa aveva incontrato il detenuto il giorno precedente e quando lo rivede il giorno seguente stenta a riconoscerlo: “era la prima volta che vedevo una persona ridotta così” mentre l’assistente sociale ha ricordato in maniera più precisa le condizioni fisiche in cui si trovava: “dopo qualche minuto arrivarono due agenti con il detenuto, i quali entrarono e la persona era claudicante, quindi si reggeva da un lato la mano con la gamba….”, e ancora: “claudicava, aveva il viso tumefatto, aveva delle tumefazioni al viso e lamentava anche, sì lamentava di dolori alla testa.” “sì, si lamentava, si lamentava e aveva ripeto, il volto tumefatto e claudicava da una gamba”.

anche nella vicenda di Rotundo si sono dovuti fare i conti con la mancata refertazione da parte del medico

Come anticipato, anche nella vicenda di Rotundo si sono dovuti fare i conti con la mancata refertazione da parte del medico che non ha adempito a quanto stabilito dall’art. 334 c.p.p. secondo cui chi ha l’obbligo di referto deve farlo pervenire entro quarantotto ore o, se vi è pericolo, immediatamente, al pubblico ministero o a qualsiasi pubblico ufficiale.
Soltanto per inciso, una sentenza di condanna per rifiuto di atti di ufficio a carico di un medico penitenziario è stata pronunciata di recente per i fatti che si sono svolti ad ottobre 2018 presso la Casa di reclusione di San Gimignano. Sentenza ad oggi non ancora definitiva.
In questo caso, il medico è stato condannato in primo grado per non aver prestato le cure alla vittima che era stata posta in una cella della sezione di isolamento. Secondo il Giudice che si è pronunciato: “Non pare seriamente dubitabile che il medico abbia l’obbligo di visitare immediatamente il detenuto che sappia trovarsi nella situazione descritta, anche prima o a prescindere dalla disposizione del direttore del carcere, trattandosi del soggetto al quale spetta istituzionalmente di tutelare il diritto alla salute delle persone recluse, che l’uso della forza fisica potrebbe avere messo a repentaglio.”
Tornando alla vicenda di Rotundo, un’ultima valutazione è imposta dalla scelta del luogo in cui si sono verificati i fatti: una cella della sezione di isolamento.

Dall’esperienza maturata in questi anni come Ufficio del contenzioso di Antigone, vediamo che, quasi sempre, è la sezione di isolamento il luogo prescelto per la commissione di fatti di violenza a danno di un detenuto.

Dall’esperienza maturata in questi anni come Ufficio del contenzioso di Antigone, vediamo che, quasi sempre, è la sezione di isolamento il luogo prescelto per la commissione di fatti di violenza a danno di un detenuto.
A partire dai fatti del carcere Asti (era il dicembre 2004) quando il Giudice così ricostruiva il luogo del delitto: “si trattava di inserire il detenuto in un determinato reparto dell’istituto, che per il suo posizionamento nell’edificio e per le particolari cautele legate al suo regime consentiva di agire in violazione delle regole imposte senza che potessero essere frappposti impedimenti da altri detenuti o da personale ligio al proprio dovere istituzionale. Tale reparto era, ovviamente, quello destinato all’ “isolamento”.
Sino ai fatti che si sarebbero verificati presso il carcere di San Gimignano ad ottobre 2018 dove, nel capo di imputazione, viene evidenziato che la vittima “si trovava in regime di isolamento” disposto, tra l’altro, “illegittimamente” o, ancora, alla vicenda che, il 31 luglio 2018, ha portato alla morte del giovane Sharaf Hassan dopo che era stato detenuto presso una cella del reparto di isolamento della Casa circondariale di Viterbo.
La scelta ricorrente di utilizzare questo luogo impone una riflessione sulla necessità di diffusione del sistema di video sorveglianza e sul rigoroso rispetto di quanto stabilito dall’art. 73 del Regolamento di esecuzione secondo cui la condizione di isolamento “deve essere oggetto di particolare attenzione” “con adeguati controlli giornalieri nel luogo di isolamento da parte sia di un medico sia di un componente del gruppo di osservazione e trattamento”.