I casi di tortura in Campania

Di Luigi Romano

Nuovi spunti dalla ‘camera iperbarica’ sulla Mattanza di Santa Maria Capua Vetere

Filare i ricordi

Il processo sulle violenze commesse a partire dal 6 aprile 2020 nella casa circondariale “Francesco Uccella” di Santa Maria Capua Vetere è cominciato nel 2021. Nel corso di questi anni – in cui i meccanismi processuali stanno vivisezionando fatti, immagini della videosorveglianza, questioni giuridiche, ricordi dei protagonisti, delle vittime e dei testimoni di quel momento sanguinario della storia del mondo penitenziario italiano – stiamo tentando di inseguire il filo intricato delle nostre osservazioni sul processo. 1
La mole di informazioni che si può ricavare da un procedimento così complesso è notevole.
Le condotte contestate da accertare vanno dalla tortura (nella forma aggravata del comma 5 dell’art. 613-bis c.p., «Se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte quale conseguenza non voluta, la pena è della reclusione di anni trenta. Se il colpevole cagiona volontariamente la morte, la pena è dell’ergastolo»), ai maltrattamenti, al falso, depistaggio, e coinvolgono diversi profili dell’amministrazione penitenziaria e del personale in divisa. Questa diversità fattuale è l’elemento più interessante, perché permette di inquadrare molteplici manifestazioni del ‘potere penitenziario’ quando entra in relazione con i corpi dei prigionieri.

Tuttavia, quando ci addentriamo nelle membra del processo lo facciamo sempre con la consapevolezza che le verità costruite nelle aule dei tribunali, il lavoro di verifica delle contestazioni della responsabilità dei singoli non sono necessarie alla ricostruzione del contesto. Il ‘dispositivo ottico’ che prende vita nell’aula bunker del carcere di Santa Maria Capua Vetere è rivolto ad intercettare l’organizzazione del potere, l’esercizio della forza e della violenza istituzionale, ad individuare i movimenti dell’intera foresta e non dei singoli alberi.

Tuttavia, quando ci addentriamo nelle membra del processo lo facciamo sempre con la consapevolezza che le verità costruite nelle aule dei tribunali, il lavoro di verifica delle contestazioni della responsabilità dei singoli non sono necessarie alla ricostruzione del contesto. Il ‘dispositivo ottico’ che prende vita nell’aula bunker del carcere di Santa Maria Capua Vetere è rivolto ad intercettare l’organizzazione del potere, l’esercizio della forza e della violenza istituzionale, ad individuare i movimenti dell’intera foresta e non dei singoli alberi.
Infatti, pensare di delegare al giudice altro se non il compito di tentare di ricostruire un fatto storicamente accaduto costituisce una un errore grossolano, perché la macchina processuale ha funzioni limitate e si muove entro un perimetro predeterminato dalle norme che regolano il movimento dei pezzi della scacchiera. In tal senso, scrive Portelli quando ricostruisce l’operazione partigiana di via Rasella depurandola dalle narrazioni tossiche: «… la coscienza storica esige una sempre aperta contestualizzazione: Uno storico ha il diritto di scorgere un problema là dove un giudice deciderebbe un ‘non luogo a procedere» (Portelli A., 2019, p. 340).
Ebbene, questa ‘camera iperbarica’ ferma nel tempo, che costringe tutti gli attori del rituale processuale a rivere i giorni della Mattanza da circa 4 anni, rappresenta un laboratorio di osservazione privilegiato per guardare ex post le tecniche di repressione e contenimento di un tipico scenario di guerra.

Prassi e procedure

Le contestazioni descritte dal capo 18 al 21 dell’imputazione sono state raggruppate dai pubblici ministeri nella rubrica ‘Le condotte concorrenti omissive e commissive’. In particolare, i reati contestati al dirigente del provveditorato regionale e al direttore reggente del carcere riguardano non solo la tortura, hanno diversa natura e le dinamiche fattuali che si devono accertare nel processo sono molto complesse:

«… perché, in concorso con ________ in qualità e nelle funzioni di provveditore regionale della Campania illegalmente disponente la strumentale perquisizione straordinaria generale del 6 Aprile 2020 di cui al capo uno pur avendo appreso – almeno a partire dal 7 Aprile 2020 – le generalizzate violenze praticate ai danni dei detenuti del reparto Nilo ed avendo cognizione precisa della collocazione di 15 detenuti nel reparto Danubio, in isolamento preventivo, in attesa di trasferimento, concorrendo, – in data 7 Aprile – alla decisione della_____ direttore reggente della casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere, di esercitare ingiustificatamente l’azione disciplinare nei confronti dei detenuti trasferiti nel reparto Danubio, azione poi conseguentemente proposta dal vicedirettore in data 08.04.20 nei confronti di 14 detenuti, con applicazione della sanzione massima prevista dell’esclusione dall’attività comune per 15 giorni e per questo trattenuti indebitamente nel reparto Danubio – provvedimento ingiustificato ed illegittimo sia nelle forme che nella sostanza atteso che la sanzione si fondava sulla falsa prova di una condotta di resistenza e lesioni da parte dei detenuti e i danni degli agenti della polizia penitenziaria, che si traduceva in un regime punitivo necessariamente percepito come ancora più vessatorio e degradante, espressione di una iniquità insostenibile, tale da incidere gravemente sull’equilibrio della psiche umana –, pur nella consapevole illegalità del procedimento stesso e delle restrizioni indebite e del trattamento penitenziario, omettendo di denunciare i fatti alla Procura della Repubblica, ai sensi dell’articolo 361 c.p., ed invece procedendo a richiedere la redazione di atti postumi e falsi depistanti, diretti ad occultare le proprie ed altrui responsabilità, nonché abdicando alle funzioni di vigilanza ispettive e disciplinari, in ordine all’accertamento delle violazioni, alla punizione degli autori delle condotte delittuose e all’eliminazione delle conseguenze delle infrazioni…».

Ancora, i capi da 22 a 24, ‘Falsi ideologici del GOT’, evidenziano l’ulteriore attività istruttoria successiva che sarebbe stata necessaria per giustificare le misure di rigore adottare nei confronti dei presunti agitatori della protesta del 5 aprile 2020:

«… nella qualità e funzioni di pubblico ufficiale, vicedirettore del carcere di Santa Maria Capua Vetere è presidente del gruppo di osservazione e trattamento (GOT), __________ quale componente del GOT: – Convocando pretestuosamente il gruppo di osservazione e trattamento virgola in data 22 Aprile 2020 (alla scadenza dei 15 gg. della sanzione massima dell’EAC.), per le posizioni di 7 detenuti (Cocozza Gennaro, Davino Bruno, Fesiy Andriy, Flosco Antonio, Flosco Massimo, Tasseri Alessandro, Zampella Alessandro), convocazione motivata dalla necessità di occultare le responsabilità connesse alla persistente applicazione dell’indebito provvedimento disciplinare oltre i termini dei 15 giorni termini scaduti in data 21 Aprile; – redigendo 7 distinti verbali di riunione del got relative ai 7 detenuti sopra citati facendo redigere al segretario e componente del gruppo ______ i verbali stessi, recanti le false circostanze virgola di fatto accresciute per le connotazioni rispetto agli stessi fatti oggetto di provvedimento disciplinare (con l’aggiunta dell’aggettivo “forte”) , nella specie la “resistenza nel corso di una perquisizione straordinaria nel reparto di appartenenza”, falsamente indicando “l’intralcio alle operazioni del personale di polizia penitenziaria”, rappresentando una pregressa diversa allocazione dei detenuti come fosse legittimata da un provvedimento inesistente, trasformando una “relazione del comandante di reparto con cui propone in data 17.4.2020, l’allocazione urgente presso la sezione ex articolo 32 R.E.”, in un provvedimento dispositivo urgente e riportando – quale nuova considerazione insussistente rispetto al provvedimento disciplinare comminato in data 8 Aprile 2020 – “il carattere aggressivo e poco consono al rispetto delle regole penitenziarie”, esprimeva “parere favorevole all’allocazione dello stesso in data 17 Aprile 2020, con verifica trimestrale della sussistenza dei presupposti per la permanenza indetta sezione, salvo che non si ritenga virgola in periodo antecedente di poter richiedere lo spostamento del detenuto in sezione ordinaria”…».
Inoltre, al capo 24 si legge «… Prima convocando pretestuosamente il gruppo di osservazione e trattamento virgola in data 4.5.2020 16:00, convocazione provocata dal decesso di Hakimi Lamine dalla necessità di occultare le responsabilità connesse alla persistente applicazione del provvedimento disciplinare del EAC. oltre i termini dei 15 gg., termini scaduti in data 21 aprile e la responsabilità legate alla sua morte; – redigendo poi entrambi un verbale comunicativo, relativo a tre detenuti (D’Alessio Luigi, Irollo Emanule e Hakimi Lamine) – verbale di riunione del GOT. dettato, da entrambi, al segretario e componente del GOT. _______ , recante le false circostanze virgola di fatto e di diritto secondo cui il provvedimento disciplinare combinato in data 8 Aprile era rimasto ineseguito, perché “non si è ancora potuto dare seguito i combinati 15 gg. di EAC. per mancanza di poste in stanza singola”, attestazione falsa atteso che la ________ era a piena conoscenza dell’esecuzione del provvedimento disciplinare e della sua decorrenza (esplicitamente ammesso dalla ______ tre giorni prima del decesso della Hakimi: vedi intercettazione telefonica del zero 1.0 5.20 20 alle 15:00. 32 in cui la ________ dice alla _______ : “debbono partire proprio tutti, anche perché sennò va a finire che stiamo sempre come se fossimo… non lo so… Come… abbiamo sbagliato qualcosa … che li trattiamo male … io non so perché _____ li ha messi lì, … non so nulla … comunque … ad un certo punto non andavano proprio messi”…».

Come spesso accade in queste circostanze, dopo le violenze degli agenti, quei corpi, poi finalmente disciplinati, dovevano essere trasferiti quanto prima in altri istituti. Certo, durante l’emergenza epidemica questo passaggio era impossibile, per cui la permanenza in reparto divenne una variabile non prevista e difficilmente gestibile.

I capi di imputazione richiamati perimetrano parte dell’attività compiuta dai colletti bianchi successivamente alla perquisizione del 6 aprile. Infatti, nel corso dell’operazione straordinaria sono stati individuati i presunti leader della protesta: molte persone offese hanno confermato in dibattimento che alcuni agenti che presero parte alla spedizione punitiva avevano in mano le schede identificative dei detenuti. I 15 detenuti, dopo essere stati violentemente colpiti – tra questi Hakimi Lamine, morto poi il 4 maggio dello stesso anno, che in un lasso di tempo (25 secondi) catturato dal circuito della video sorveglianza è stato colpito con calci, pugni, testate 35 volte – sono stati portati, prima, al piano terra del reparto Danubio (nelle camere destinate all’isolamento) e, dopo circa 15 giorni tradotti al primo piano del reparto, dove nella sezione ex art. 32 Regolamento di esecuzione penitenziaria. La sorte di Hakimi sarà quella di salire solo giorno prima della morte.
La ricostruzione fotografata nei capi di imputazione, che per la procura sammaritana costituisce parte integrante dell’intera operazione straordinaria e sorregge funzionalmente le torture contestate, si era reso necessario a causa di un intoppo, uno ‘stallo messicano’ non previsto e che ha richiesto un’azione di recupero. Come spesso accade in queste circostanze, dopo le violenze degli agenti, quei corpi, poi finalmente disciplinati, dovevano essere trasferiti quanto prima in altri istituti. Certo, durante l’emergenza epidemica questo passaggio era impossibile, per cui la permanenza in reparto divenne una variabile non prevista e difficilmente gestibile.
Il Dott. Palmiero, dirigente medico, testimone della procura, restituisce in modo evidente questa difficoltà in cui si trovarono a vario titolo i dirigenti e il personale di polizia:

«P.M.: Ricorda se ci fu la questione del trasferimento dei detenuti, di alcuni detenuti del Danubio?
Teste: Ah, ci fu che dopo il 6 aprile ci pervenne la richiesta di… ah sì, ci pervenne la richiesta di nulla osta sanitario per il trasferimento dei detenuti. In realtà che cos’era successo? Era successo questo: quando ci fu il primo caso positivo con il dottore Nese avevamo continue riunioni anche a livello regionale, per cui decidemmo di concerto, quindi a livello regionale, decidemmo di cristallizzare la situazione, cioè di dire: nel momento in cui c’è stato un caso positivo noi non abbiamo gli strumenti scientifici che possono acclarare in maniera inequivocabile che poi gli altri siano negativi tra virgolette, per cui si decise fondamentalmente di evitare qualsivoglia trasferimento. Tanto è vero che il 7, cioè dopo i casi, mò non mi ricordo la data precisamente, io produssi una nota alla direzione del carcere di Santa Maria Capua Vetere e anche al dottor Nese e non mi ricordo a chi altro, forse alla Sorveglianza, non ricordo, dove fondamentalmente si diceva: guardate che i trasferimenti in questo momento sono bloccati dal punto di vista sanitario, cioè se voi volete trasferire i detenuti, ma prescindendo da questa situazione, se volete trasferire i detenuti non è possibile ottenere nulla osta sanitario al trasferimento. Poi che cosa è successo? Lo dico perché tanto è agli atti: a posteriori, dopo circa 15 giorni, quindi un bel po’ dopo, io ricevetti una telefonata da parte del dottore Nese, ma quindi dopo molti giorni, che mi diceva che lui stava al Prap., stava al provveditorato e mi diceva: “Ma che avete fatto? Avete prodotto i certificati per il trasferimento dei detenuti?”, e io dall’altro lato -sembra una barzelletta, ma è la realtà dicevo: “Peppe, ma quali certificati che qua non abbiamo prodotto niente?”, “no, voi avete prodotti i certificati”, io dicevo: “guarda, ti dico che non abbiamo prodotto niente, dovrei saperlo, scusate”. In questa storia lui telefonicamente mi dice: “Guarda, smettila e controlla, perché io ce li ho in mano”, io dissi: “vabbè, controllo”. Andai a vedere in tutte le cartelle cliniche e non c’era niente, andai a vedere nel cosiddetto modello 99, che è un registro che non rientra nell’ortodossia sanitaria, ma è il retaggio e la reminiscenza ancora della sanità quando stava sotto alla giustizia, quindi è un modello dove vengono approntati tutti i… come se fosse un altro protocollo, ecco. Non c’era niente, per cui chiamai un’altra volta a Peppe e dissi… al dottore Nese, mi dovete perdonare…
Sì, dissi: “guarda, Pe’, io qua non trovo niente”, e lui diceva: “ce l’ho in mano”, io dicevo: “allora qua c’è qualcosa che non quadra”. Io ricordo che dissi: “come devo fare mò a recuperare questa roba? Non si trova da nessuna parte”. Ricordo che c’era una collega psichiatra, Stefania Pirone, la voglio nominare, lei lavorava da molti anni, dissi: “Stefa’, ma com’è possibile questo?”, disse: “guarda, se qualcuno ha prodotto qualche certificato e stanno a Napoli, significa che sono passati dall’ufficio comando, per cui l’unica strategia è che tu devi trovare una strategia per farteli dare dall’ufficio comando”».

Ancora il dott. Nese, Direttore dell’Unità Operativa Complessa ‘Tutela della Salute in Carcere’ dell’Asl di Caserta, testimone anche egli della Procura, precisa:

«P.M.: senta, rispetto alla sua obiezione che lei formulò il 7 aprile, sul fatto che non si potevano dare nulla osta ai trasferimenti, il [Provveditore] era d’accordo, non era d’accordo?
Teste: la mia percezione è che era assolutamente d’accordo, totalmente d’accordo. Quello che ricordo è, come dire, non ci fu nessuna obiezione, che mi sarebbe sembrata anche molto strana, è un fatto di minima logica in quel contesto. Ricordo che in un’altra giornata mi rappresentò delle sollecitazioni che venivano dall’istituto penitenziario, l’impressione mia è che mi stesse riferendo richieste altrui.
P.M.: quindi nei giorni successivi, dopo che ha manifestato la…
Teste: sì, ma credo addirittura la settimana seguente.
P.M.: che fece le richieste di nuovo… cioè che cosa le chiesero?
Teste: allora, richieste formali mai, stiamo parlando sempre di interlocuzioni per le vie brevi, parlavamo molto, ripeto, cosa che avevamo sempre fatto con il [Provveditore], ma in quel momento l’emergenza obbligava ad usare vie di quel tipo. Mi ripropose, tanto che potrei sbagliare, non era la settimana… ne parlammo sicuramente direi la settimana successiva e lì venne fuori, cosa che mi lasciò molto colpito, non solo il riferimento dell’esistenza delle certificazioni mediche con un parere favorevole, però lì è un discorso un po’ più complicato, nel senso che non vorrei ricordare male, ma mentre noi nella settimana successiva al 6 eravamo totalmente occupati con la questione Covid e quant’altro, delle vicende di questo processo non avevamo alcuna neanche vaga idea, io ricordo la settimana seguente era Pasqua, ci fu un altro episodio che ci colpì, credo fosse il 13, forse pasquetta, una segnalazione del garante regionale per i diritti dei detenuti, credo il 13, che arrivò al dottore Palmiero, in cui si evidenziava la presenza al Danubio di detenuti in una condizione di isolamento. Era Pasquetta, io il rapporto con il dottore Palmiero era strettissimo, gli rappresentai questo, ne parlammo e gli consigliai di fare in modo che le persone presenti al Danubio venissero visitate e lui lo fece immediatamente con il medico di turno. Lì fu relazionato specificamente e poi dopo soltanto, credo, il giorno dopo il martedì dopo Pasqua, venimmo a conoscenza di una nota dei Magistrati di Sorveglianza di Santa Maria, che riguardava una visita ispettiva urgentemente fatta il 9 sera, con una nota che, se non ricordo male, era del 10 e che noi avemmo il 14 pomeriggio, quando già eravamo intervenuti invece su un altro input, che era del garante, quindi credo di aver relazionato anche io, sulla base della documentazione prodotta dal dottore Palmiero e dalla dottoressa ______, non ricordo chi fosse il medico di guardia, che analiticamente descrisse… lì il problema è che io mi resi conto che mancava la documentazione sanitaria, per cui mentre con il [Provveditore] parlavamo inizialmente nella settimana post 6, per capirci, della questione Covid e del trasferimento, poi dopo la settimana seguente su questa piccola popolazione di detenuti, sto parlando di una decina di persone, intervenne anche una nota del garante e venimmo a conoscenza di quella dei Magistrati di Sorveglianza e qui venne fuori nel dialogo con il [Provveditore], come dire, quasi una negazione di quello che io avevo affermato come impossibile che qualcuno certificasse un parere positivo che era all’isolamento. Ricordo che io non ebbi… non c’era documentazione sanitaria in cartella clinica, certificazioni, per cui il [Provveditore] al provveditorato a Napoli mi fece vedere e mi consegnò le certificazioni che io rimasi un po’ colpito, informi il dottore Palmiero, che era il dirigente di Santa Maria, per verificare se queste certificazioni fossero o meno in cartella clinica.
P.M.: sarebbero i certificati con il nulla osta al trasferimento?
Teste: sì, solo che lì ricordo che parlando con il [Provveditore], il [Provveditore] me li propose come, potrei sbagliare, ma questo è il mio ricordo, certificati di nulla osta all’isolamento. Io ricordo che in quel momento me li fece vedere, io li lessi e io dissi: “ma questi non sono pareri favorevoli all’isolamento disciplinare, sono parevi favorevoli alla traduzione”. Poi lì ovviamente non avendo rilevato nulla nella documentazione sanitaria, ho attivato inevitabilmente un procedimento disciplinare, perché il medico avrebbe dovuto, pur comprendendo la situazione particolare, non certo quella del 6 che io non conoscevo, ma quella del Covid, quindi in termini di attenuanti, però era importante prestare attenzione ad una obbligazione, registrare in cartella clinica il rilascio di un certificato eccetera, eccetera, per cui poi avviai un provvedimento disciplinare…».

Come accennato nell’incipit di questo breve scritto, tale squarcio è interessante per comprendere l’interazione istituzionale delle gerarchie del comando penitenziario, non le singole responsabilità. Dopo la perquisizione straordinaria, stando alle contestazioni e a quanto riscontrato in questa prima fase del dibattimento, i dirigenti, di vario grado, con un evidente automatismo sinergico si sono impegnati ad assorbire – con strumenti normativi approssimativi e edulcorati – l’esercizio abnorme della forza scatenata nel mese di aprile, energia cinetica che con una certa difficoltà riusciva a rientrare negli schemi della legittimità formale.
È esattamente questa intersezione tra la dimensione formale e informale, evidenziata negli incartamenti processuali, a mio giudizio, la chiave di lettura necessaria per comprendere il governo della prigione. In particolare, l’uso delle celle di isolamento come ‘zone cuscinetto’ per emarginare i detenuti che destabilizzano la riproduzione dell’ordine interno, le sezioni ex art. 32 RE. immaginate e usate come spazi punitivi, la predisposizione dei trasferimenti disciplinari per scaricare in altri istituti i soggetti ritenuti incompatibili con i rapporti di forza interni, sono strumenti informali di gestione costantemente presenti nel quotidiano carcerario.
Inoltre, sono indicative le dichiarazioni dell’allora capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Francesco Basentini escusso come testimone nel processo che esplicita con chiarezza le coniugazioni delle prassi. L’interpretazione del Dirigente dell’intera vicenda è illuminante: la scelta di intervenire il 6 aprile in modo energico nel carcere di Santa Maria Capua Vetere fu legittima e le violenze perpetrate nel corso delle operazioni sono altra cosa, una declinazione scellerata degli agenti che non hanno onorato la divisa assolvendo a quanto deciso ragionevolmente dal comando penitenziario regionale. L’idea di Basentini è che si trattò di un intervento di ordine pubblico e non di polizia giudiziaria. Tuttavia, il passaggio più significativo riguarda i trasferimenti dei detenuti:

«Teste: Le ripeto: relativamente al periodo Covid, quindi non più in generale, i trasferimenti sono avvenuti in conseguenza di provvedimenti disciplinari…
Io ho parlato e rispondo in generale, ho risposto in generale sicuramente. Per quello che ricordo all’epoca del Covid -e lo ripeto- i trasferimenti erano rarissimi per ovvie ragioni di prevenzione sanitaria; furono disposti sicuramente dei trasferimenti disciplinari all’indomani delle rivolte e soprattutto perché in alcuni degli istituti in cui si erano verificate delle rivolte erano stati anche danneggiati strutture, reparti, a volte interi reparti come è successo a Modena, come è successo a Bologna, quindi i posti disponibili proprio si erano ridotti al punto tale che fu necessario trasferire certamente dei detenuti; a volte questi trasferimenti erano anche non per motivi disciplinari, ma per esigenze proprio di spazio. Comunque alla domanda le dico: in generale sicuramente si saranno verificati dei trasferimenti disciplinari, sì».

Come è noto, l’art. 42 dell’Ordinamento penitenziario non ammette i ‘trasferimenti disciplinari’. Gli strumenti di correzione legali previsti dal legislatore sono di tutt’altra natura, eppure nella vita quotidiana della prigione le forme di governo reali reinterpretano le norme adattandole ai contesti – contravvenendo non solo alle disposizioni normative italiane ma anche alle Regole penitenziarie europee (17.3) –. Perfino, un alto dirigente del Ministero di Giustizia perde il senso e i confini della legge.
Inoltre, riguardo all’uso delle sezioni ex. art. 32 RE. sono assai indicative le parole rese da un educatore dell’istituto sammaritano, sentito come testimone:

«P.M.: senta, concentrandoci in particolare lei ha indicato sull’applicazione dell’articolo 32 regolamento esecuzione penitenziario, giusto?
Teste: ok, allora da quando ricordo c’erano degli ordini di servizio, perché il problema della sezione 32 che è un po’… intanto non è una sezione disciplinare la sezione ex articolo 32, perché le sanzioni disciplinare sono quelle normate e non c’è la sezione 32 punto però di fatto è a mio avviso un po una sanzione in bianco, cioè…
P.M.: una?
Teste: Sanzione in bianco, cioè nel senso di fatto lo è, cioè non lo è formalmente ma lo è da un certo punto di vista. Io parlo chiaramente sempre da un punto di vista trattamentale parlo anche un po da, anche se non lo sono più da educatore.
P.M.: mi scusi, dottor Gargano, forse è un problema mio, se si allontana un po dal microfono, perché a volte mi sfuggono…
Teste: no, dico la sezione 32 prevede sostanzialmente un regime custodiale più forte, diciamo, fondamentalmente».
Anche in questo caso, la descrizione della ‘sanzione in bianco’ restituisce in modo concreto i dispositivi di gestione della popolazione detenuta epurati da ideologie e retoriche.

La fantasia al potere. Il governo della prigione tra formale e informale.

Nell’ultimo anno di lavoro dell’Osservatorio di Antigone ci siamo concentrati in modo specifico sulle sezioni dedicate all’isolamento e alle connessioni funzionali che questi spazi sviluppavano con gli altri luoghi del quotidiano del penitenziario rivisto in ultimo dalla circolare sulla media sicurezza n. 3693/6143 del 18 luglio 2022. 2 In sostanza, ci siamo accorti che quelle sezioni ‘strutturalmente’ sono diventate ‘spazi liquidi’ che sopperisco a diverse necessità amministrative e soltanto in via residuale assolvono alla funzione prescritta dall’ordinamento.3 Allo stesso modo, le sezioni ex art. 32 RE. di fatti costituiscono ghetti punitivi in cui confluiscono i detenuti ingestibili 4 e si regolano tendenzialmente con continui scambi permeabili. In sostanza, i soggetti che presentano un certo grado di difficoltà gestionale vengono spostati in altri istituti continuamente quando l’ambiente penitenziario in cui sono rinchiusi raggiunge un livello di saturazione conflittuale.
Tali metodologie informali conservano l’ordine interno che si percepisce (ovvero lo è concretamente) sempre più compromesso: uno spazio di guerra in cui la forza esercitata (a diversi gradi e livelli) sembra essere l’unica prospettiva concreta di soluzione dei micro /macro conflitti.
Non c’è altra soluzione perché la pressione di ingresso nel circuito penitenziario, in uno con l’indice crescente delle contraddizioni sociali esterne, impone una continua valorizzazione creativa dei territori penitenziari: poche risorse, pochi spazi per un numero ipertrofico di utenti. 5

In conclusione, criticando ogni visuale mostrificante che tende ad interpretare i fatti accaduti il 6 aprile nell’istituto sammaritano (e ogni altra violenza istituzionale) in modo pornografico, come il precipitato causato da agenti scellerati, quanto affiora anche nei margini di questo processo contribuisce a disegnare il metabolismo quotidiano di un organismo in metastasi progressive.
Nulla di eccezionale.

In conclusione, criticando ogni visuale mostrificante che tende ad interpretare i fatti accaduti il 6 aprile nell’istituto sammaritano (e ogni altra violenza istituzionale) in modo pornografico, come il precipitato causato da agenti scellerati, quanto affiora anche nei margini di questo processo contribuisce a disegnare il metabolismo quotidiano di un organismo in metastasi progressive.
Nulla di eccezionale.
L’operazione straordinaria di aprile è venuta alla luce per una serie di circostanze fortuite in aggiunta ad alcune peculiarità che si sono verificate in fase di indagine ed è oggetto – per fortuna – di una (minima) discussione pubblica. In tale senso, recuperando le parole di Sofri quando scriveva «Ci sono due modi per guardare i filmati di Santa Maria Capua Vetere. Uno è pensare a che cosa orribile sia successa. L’altro è pensare a tutti quei casi dei quali il filmato non esiste», 6l’osservazione del processo può essere valorizzata in tutta la sua potenza evocativa e semantica soltanto quando diventa strumento di analisi della fenomenica ordinaria del potere penitenziario.
Tutto il resto diventa è soltanto cibo avariato da dare in pasto ai giornali scandalistici.

Bibliografia

Dell’Aquila Dario Stefano, Romano Luigi (2020), Potere, emergenza e carcere: il caso di Santa Maria Capua Vetere, in Antigone XV.2, pp. 126-136.
Filippi S., L’utilizzo delle sezioni di isolamento nei processi per tortura seguiti da Antigone, in Antigone XVIV.1, 202-209.
Nese Giuseppe, Ponticiello Rosaria, Cafaro Loredana, Caruso Stefania (2024), Programmi di contrasto all’isolamento penitenziario in Campania, in Antigone XVIV. 1, 149-163.
Romano Luigi (2023), Prime emersioni sulla Mattanza nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, in Antigone XVIII.1, pp. 142-164.
Romano Luigi, Sbraccia Alvise, Il bacino della media sicurezza in Campania e Emilia-Romagna: tra illusioni normative e adattamenti sistemici progressivi, ics.
Portelli Alessandro, 2019, L’ordine è già stato eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria, Roma, Donzelli editore.

  1. Il materiale da riorganizzare è enorme e ogni tentativo di investigazione sembra effimero rispetto alla mole di informazioni che si può trarre da un’esperienza giuridica simile. Tuttavia, mi riferisco principalmente a quanto sostenuto in precedenza: v. Dell’Aquila D. S., Romano L. (2020) e Romano L. (2023).
  2. Un prima bozza di analisi comparativa tra le regioni Campania ed Emilia Romagna è stata pubblicata nel precedente rapporto (v. Valerio Pascali-Luigi Romano-Raffaele Tartaglia, Medie sicurezze: spunti comparativi dagli osservatori di Campania ed Emilia-Romagna, reperibile on line all’indirizzo: https://www.rapportoantigone.it/ventesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/medie-sicurezze-spunti-comparativi-dagli-osservatori-di-campania-ed-emilia-romagna/).
  3. Si tengano presenti anche le considerazioni di Simona Filippi sviluppate a partire da un’attenta analisi dei processi in cui Antigone è costituita parte civile (Filippi S., 2024).
  4. Ad oggi in Campania è in atto una sperimentazione che coinvolge il Provveditorato regionale e l’Asl napoletana e salernitana che ha l’obiettivo di razionalizzare il circuito e riportarlo nei parametri di legge, sul punto si v. G. Nese et al, 2024.
  5. Queste considerazioni sono discusse in modo più approfondito nel prossimo numero monografico della rivista Antigone, in corso di pubblicazione (si v. Romano L., A. Sbraccia, 2025).
  6. Si v. A. Sofri, La galera a telecamere spente, in Il Foglio, https://www.ilfoglio.it/piccola-posta/2021/07/06/news/la-galera-a-telecamere-spente-2621753/.