41 bis e Alta sicurezza

41 bis e Alta sicurezza

1024 538 Diciannovesimo rapporto sulle condizioni di detenzione

41 bis e Alta sicurezza

Il caso Cospito ha acceso un ampio dibattito sul regime 41-bis sia a livello istituzionale che nell’opinione pubblica. Al fine di contribuire alla corretta informazione sul regime e sul caso specifico, in questi mesi Antigone ha pubblicato diversi documenti fra i quali si trovano un dossier sul caso Cospito, una ricerca sul regime 41 bis presentata in occasione di un recente convegno e un articolo di sintesi riguardante l’ultimo rapporto sul regime speciale pubblicato dal Garante Nazionale.

Il regime 41-bis è stato introdotto nel 1992 e aveva inizialmente un carattere temporaneo finché l’introduzione della legge 279/2002 non ha reso questo regime permanente.

Il regime ha subito nel corso del tempo vari interventi normativi, gli ultimi dei quali risalgono al 2009 e al 2020. Le restrizioni a cui sono sottoposti i detenuti al 41-bis sono molte e non tutte sono contenute nella legge. Altre sono invece disposte da una circolare apposita emanata dal DAP nel 2017 al fine di normare in maniera molto, se non troppo, dettagliata i contenuti del regime.

Nel corso degli anni sul regime è intervenuta varie volta sia la Corte di legittimità, che la Corte Suprema, ma anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Per esempio la Corte Costituzionale nel 2013 è intervenuta sul diritto alla difesa abolendo i limiti ai colloqui (sia telefonici che in presenza) con i difensori che inizialmente erano limitati dal punto di vista numerico e di durata.

L’imposizione della misura si effettua tramite decreto del Ministro della Giustizia e la sua durata è pari a quattro anni la prima volta che viene imposto, mentre le proroghe seguenti sono di due anni. “La proroga è disposta quando risulta che la capacità di mantenere collegamenti con l’associazione criminale, terroristica o eversiva non è venuta meno”, tale capacità non può essere esclusa tramite “il mero decorso del tempo”.

La Corte Europea per i Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia varie volte per violazione dell’Articolo 13 della Convenzione (right to an effective remedy) il diritto a un rimedio effettivo

La modifica del 2009 ha individuato come un unico tribunale competente a ricevere il ricorso del detenuto il Tribunale di Sorveglianza di Roma. Il ricorso deve essere inviato entro venti giorni dalla comunicazione dell’imposizione della misura e il tribunale deve decidere entro dieci giorni dalla ricezione del ricorso; tuttavia, questo in pratica non avviene e per questo motivo la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia varie volte per violazione dell’Articolo 13 della Convenzione (right to an effective remedy) il diritto a un rimedio effettivo, per la mancata pronuncia in tempi brevi, che di fatto vanificava il reclamo stesso, e per violazione dell’articolo 6 della CEDU, quando il Tribunale di Sorveglianza non prendeva nemmeno in esame il ricorso a causa della sua inammissibilità, in quanto il provvedimento ministeriale su cui si basava era già decaduto.

Le restrizioni previste dal regime devono essere “necessarie per il soddisfacimento” delle esigenze di ordine e sicurezza e hanno lo scopo di “impedire i collegamenti con l’associazione” a cui la persona sottoposta al regime appartiene. Siamo dunque arrivati a uno dei punti cruciali delle discussioni sul 41-bis. Questo regime viene infatti troppo spesso chiamato “carcere duro” come a indicare che lo scopo del regime sia quello di punire più duramente le persone che vi sono sottoposte, quando invece la ratio è quella di impedire le comunicazioni e rescindere i collegamenti con le associazioni mafiose di appartenenza. L’idea contemporanea di pena detentiva è che la privazione della libertà sia la pena e che altre punizioni aggiuntive siano contrarie a questo principio. Proprio per questo motivo il Garante raccomanda di astenersi dal riferirsi a questo regime come “carcere duro”.

Intanto i detenuti sottoposti al regime sono separati dagli altri detenuti in apposite sezioni collocate in alcuni specifici istituti penitenziari e trascorrono la gran parte della giornata (21 o 22 ore) in cella, rigorosamente singola. Al loro ingresso vengono inseriti in “gruppi di socialità” formati da al massimo 4 persone all’interno dei quali è possibile comunicare liberamente sia durante l’apertura delle porte blindate (a meno che nella stessa sezione non siano presenti detenuti appartenenti ad altri gruppi di socialità) sia durante le ore da trascorrere fuori dalla cella. Le comunicazioni con appartenenti ad altri gruppi di socialità sono vietate.

I colloqui con i familiari sono limitati a uno al mese e sono della durata di un’ora

Rispetto alle comunicazioni con il mondo extra carcerario, i colloqui con i familiari sono limitati a uno al mese e sono della durata di un’ora. I colloqui vengono effettuati con il vetro divisore e soltanto i minori di 12 anni possono passare dall’altro lato del vetro e stare a contatto con il proprio genitore detenuto. Anche le telefonate sono limitate al caso in cui non si usufruisca del colloquio di persona e la telefonata è una e della durata di 10 minuti. Sia i colloqui che le telefonate sono registrati.

Altre restrizioni riguardano aspetti della vita quotidiana che poco hanno a che fare con le esigenze di sicurezza, quanto con quelle di uniformare il regime. Da qui hanno origine alcune restrizioni che sembra abbiano più lo scopo di infliggere maggiori vessazioni piuttosto che garantire la sicurezza o le interruzioni dei contatti con le associazioni di appartenenza. Alcuni esempi sono la grandezza delle pentole consentite o il numero e la grandezza di foto e di libri che possono essere tenuti in cella. Fino al 2018 i detenuti non potevano nemmeno cuocere cibi in cella, ma soltanto riscaldarli ed è dovuta intervenire la Corte Costituzionale per rimuovere questa restrizione.

Un’altra criticità (lungi da essere l’ultima) su cui ci si vuole soffermare è rappresentata dalla presenza delle c.d. “aree riservate”, sezioni che rappresentano una specificità ancora più specifica del 41-bis, a cui sono destinate le persone ritenute figure apicali delle associazioni. La funzione delle aree riservate però si sovrappone a quella che è la funzione del 41-bis stesso oltre che essere un regime più afflittivo per due detenuti, uno dei quali si trova all’interno dell’area riservata soltanto per fare “da compagnia” a un altro.

Al 27 febbraio 2023, come riportato dal Garante Nazionale, erano 740 i detenuti sottoposti al 41-bis di cui 728 uomini e 12 donne, tutte ristrette nella Casa Circondariale di L’Aquila, in cui è presente l’unica sezione femminile del regime 41-bis. Rispetto all’andamento delle presenze dei detenuti ristretti in questo regime, negli ultimi anni il dato sembra essersi stabilizzato fra le 740 e le 750 unità.

I reparti 41-bis sono in totale 60 distribuiti su 12 istituti, le aree riservate sono 11 in cui sono ristrette 35 persone. Come si evince dal grafico, i detenuti sono distribuiti in maniera poco uniforme fra i vari istituti. L’istituto con più detenuti in regime speciale (150) è quello dell’Aquila mentre quello che ne ha meno (3) è la Casa Circondariale di Nuoro-Baddu e Carros in Sardegna.

La maggior parte dei detenuti sono definitivi (613) mentre 92 non sono definitivi. Di questi ultimi 15 sono in attesa di primo giudizio, 33 sono appellanti e 44 ricorrenti. Infine 29 sono misti senza definitivo e 6 sono in misura di sicurezza in regime 41-bis. Gli ergastolani sono 204.

Rispetto alle fasce d’età, visto il ruolo ricoperto dalle persone soggette al 41-bis all’interno delle organizzazioni criminali e le pene lunghe a cui sono condannati, è chiaro come la maggioranza dei detenuti abbiano fra i 50 e i 69 anni.

Alta sicurezza

Non meno problematica è la situazione delle persone in Alta sicurezza. L’Alta sicurezza non è infatti un “regime detentivo”, bensì un “circuito” regolato non dalla legge, ma da una serie di circolari dell’Amministrazione penitenziaria.

Per essere considerati detenuti ad “alta pericolosità” rileva il solo reato commesso per cui si è condannati o accusati. Se è uno dei reati previsti nel (sempre più lungo) elenco di cui all’art 4 bis dell’Ordinamento penitenziario, allora si entra automaticamente in questo circuito. C’è in effetti una remota possibilità che la collocazione avvenga per decisione dell’Amministrazione penitenziaria, ma si tratta di casi residuali. I circuiti di Alta sicurezza, regolati dalla già citata circolare dell’Amministrazione penitenziaria del 2009, sono suddivisi in tre livelli (Alta sicurezza 1, 2 e 3).

L’AS1 è dedicato alle persone detenute detenute ed internate nei cui confronti sia stato dichiarato inefficace il decreto di applicazione del regime di cui all’art. 41 bis o.p. (i c.d. declassificati); l’AS2 è invece pensata per detenuti accusati i condannati per delitti commessi con finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento diatti di violenza. L’AS3 è invece dedicato ai detenuti per delitti di cui agli art. 416 bis c.p (associazione di stampo mafiosi, ma senza ruoli apicali) o reati connessi all’organizzazione per lo spaccio di stupefacenti.

Non essendo stati pubblicati recentemente dati ufficiali che possano darci un’indicazione quantitativa delle persone presenti in ciascun circuito, ci affidiamo ai nostri dati, in modo da restituire una fotografia almeno parziale della situazione. Secondo i dati raccolti dal nostro Osservatorio, durante le 97 visite effettuate negli istituti penitenziari (circa la metà degli istituti) sono state rilevate 4.756 persone in AS3, 39 in AS2 e 146 in AS1.