Minori

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1024 538 Diciannovesimo rapporto sulle condizioni di detenzione

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Sono 380 i ragazzi detenuti negli Istituti Penali per Minorenni al 15 marzo 2023 (tra cui solo 12 ragazze), pari al 2,7% del totale dei ragazzi in carico ai servizi della giustizia minorile. I minori in Ipm sono 180, mentre sono 200 i giovani adulti tra i diciotto e i venticinque anni che hanno commesso il reato da minorenni. I ragazzi stranieri sono il 46,8% del totale dei ragazzi detenuti, ovvero 178. Tra loro, le ragazze sono 5.
Il numero delle presenze nelle carceri minorili italiane – che negli ultimi quindici anni ha raramente superato le 500 unità – è tornato quello che era prima del calo dovuto alla pandemia.

Erano infatti 374 al 15 febbraio 2020, numero sceso in due mesi di 90 unità – cioè quasi del 25% – con l’emergenza sanitaria. Nel maggio 2020 si contavano negli ipm 280 minorenni o giovani adulti, una cifra rimasta più o meno stabile nei mesi successivi, che aveva lasciato sperare non sarebbe tornata a crescere. Ma così non è accaduto. Segno del fatto che, sebbene la risposta detentiva sia minoritaria nel sistema della giustizia penale minorile, potrebbe esserlo senza troppa fatica ancora di più. Senza troppa fatica infatti, sotto la spinta del pericolo sanitario, il sistema ha trovato soluzioni alternative al carcere nel ridurre i flussi in entrata e aumentare quelli in uscita. Evidentemente tali soluzioni sono valide anche a prescindere da quella spinta.
Gli Ipm attivi in Italia sono attualmente sedici (da quando, nell’aprile 2022, fu chiuso quello di Treviso a seguito di disordini messi in atto da ragazzi, la cui riapertura annunciata per la fine di febbraio non è avvenuta). La grandezza delle carceri varia attualmente dalle 54 presenze di Nisida alle 5 di Pontremoli, unico Ipm interamente femminile d’Italia. A Roma troviamo 48 ragazzi, a Torino 34, ad Airola 31, a Milano 27. Dall’altro lato troviamo 8 ragazzi a Cagliari, 9 a Caltanissetta, 11 a Catanzaro, 13 a Firenze.

Anche la presenza degli istituti sul territorio nazionale non è omogenea. Dieci di essi sono collocati al sud o nelle isole (in Sicilia se ne trovano addirittura quattro), aggiudicandosi quasi il 57% del totale delle presenze. Se guardiamo invece ai ragazzi in carico agli uffici di servizio sociale per i minorenni, vediamo come in queste aree il loro numero non raggiunga il 45% del totale, mostrando così come siano qui inferiori rispetto al centro e al nord Italia le possibilità di percorsi non carcerari.
Se si guarda ai motivi degli ingressi in carcere nel corso del 2022, si vede come il 77,7% di essi è avvenuto per custodia cautelare. Tra i rimanenti, oltre la metà (ovvero 148 ingressi) è avvenuta per esecuzione pena dalla libertà. Eppure, se fino a quel momento non si era ravvisata la necessità di una misura cautelare contenitiva e il ragazzo era lasciato libero sul territorio, ancor più si sarebbero probabilmente potuti trovare percorsi alternativi al carcere in fase di esecuzione.
Sono stati 309 nel corso dell’anno – un numero preoccupantemente alto, pari quasi al 30% degli ingressi totali – gli ingressi in carcere dalle comunità a causa del cosiddetto ‘aggravamento’ della misura cautelare, in sostanza per permanenze massime di un mese in seguito a comportamenti ritenuti inadeguati. Come da tempo Antigone va sostenendo, l’aggravamento andrebbe abolito e sostituito con soluzioni improntate a un modello educativo, senza prevedere un passaggio per il carcere che è traumatico per il ragazzo nonché pesante per l’organizzazione dell’Ipm, gravato così di un’utenza indiretta e sporadica.
Si ha una sorpresa quando si va a guardare i reati che conducono i ragazzi in Ipm. Considerando i dati di flusso del 2022 (disponibili fino al 15 dicembre di quell’anno), scopriamo che solo 18,9% dei reati che hanno comportato la carcerazione ha riguardato reati contro la persona, ovvero la categoria generalmente più seria. Mentre addirittura il 61,2% di essi ha riguardato la meno grave categoria dei reati contro il patrimonio. Ci si sarebbe invece aspettati, essendo il carcere da usarsi quale misura estrema, che venisse destinato solamente agli autori dei reati maggiori. Si pensi invece che i reati contro la persona sono stati il 29,7% dei reati ascritti ai giovani in carico agli uffici di servizio sociale per i minorenni nello stesso periodo, una percentuale oltre dieci punti superiore a quella che riguarda gli ingressi in Ipm.
La gravità del reato non sembrerebbe dunque essere il parametro unico e specifico sul quale avviene la selezione carceraria. Qualche altro fattore determina l’ingresso o meno in Ipm di un ragazzo che ha incrociato la giustizia penale minorile. Come Antigone va ripetendo da molti anni, continua ad essere vero che il sistema, il quale nel complesso ha funzionato nell’intento di rendere residuale il ricorso al carcere, lo ha fatto meglio per alcuni e peggio per altri: meglio per chi aveva maggiori garanzie relazionali anche prima del reato, peggio per chi ne aveva di meno.
Citiamo a riprova di ciò, come purtroppo continua a essere valido da molti anni, la situazione dei ragazzi stranieri, senz’altro meno garantiti degli italiani dalla presenza di reti familiari e sociali esterne. Se nel 2022 gli stranieri sono stati il 22% dei ragazzi complessivamente avuti in carico dai servizi della giustizia minorile, sono stati invece il 38,7% dei collocamenti in comunità, fino ad arrivare a essere il 51,2% degli ingressi in carcere. Più la misura è contenitiva, maggiore è la percentuale dei ragazzi stranieri.

I dati relativi al flusso nei venti Centri di Prima Accoglienza d’Italia, che ospitano i minori essenzialmente in stato di arresto fino all’udienza di convalida al massimo per 96 ore, ci dicono che il 48,4% degli ingressi ha riguardato nello scorso anno ragazzi stranieri. Le uscite vedono quasi sempre l’applicazione di una misura cautelare. Ma, anche qui, gli stranieri hanno rappresentato il 34,1% delle prescrizioni e il 28,2% delle permanenze in casa, mentre hanno pesato per il 44,1% sui collocamenti in comunità e addirittura per il 70% sulle custodie cautelari in carcere.
Per la grande maggioranza, ovvero il 70%, i giovani stranieri entrati in carcere durante il 2022 provenivano dal Nord Africa, sostanzialmente Marocco (164), Tunisia (102), Egitto (60). Per più del 25% erano ragazzi provenienti da paesi europei, principalmente Romania (42), Bosnia (29), Albania (22), Serbia (21).
Uno sguardo alle posizioni giuridiche dei ragazzi detenuti ci dice che a metà marzo solo 21 ragazzi (tutti giovani adulti), pari al 5,5% del totale, erano in carcere esclusivamente per espiare la pena. Altri 128 (di cui solo 15 minorenni), pari al 33,7% del totale, avevano una posizione giuridica mista con almeno una condanna passata in giudicato. La maggioranza era in carcere senza alcuna sentenza definitiva (il 28,7% del totale delle presenze riguardava ragazzi in attesa di primo giudizio). In particolare, il 33% dei giovani adulti e addirittura il 91,7% dei minorenni non aveva ancora una condanna passata in giudicato, segno di come il sistema della giustizia minorile si impegni, soprattutto nei confronti dei più giovani, a trovare modalità di espiazione penale che siano alternative a quelle carcerarie.
Le norme sull’ordinamento penitenziario minorile introdotte nel 2018 sono a oggi ancora applicate solo in parte. Gli istituti si sono adeguati in maniera disomogenea alla previsione che introduceva le visite prolungate, da effettuarsi in locali il più possibile simili a ordinarie abitazioni. In alcune carceri non si sono mai effettuate per mancanza di spazi, in altre vi è stato qualche tentativo, solo in poche si è vista una maggiore costanza. Le sezioni a custodia attenuata, che si sperava potessero imporsi quale modello principale di vita detentiva, sono sostanzialmente inesistenti. E comunque non sono state intese con l’ampiezza di vedute che si sperava: un intervento di sistema, capace di aprire il carcere al territorio esterno, facendo uscire i ragazzi in raccordo con il mondo della scuola, della formazione, del lavoro, dell’assistenza sanitaria, dei servizi sociali territoriali, immergendoli così in un contesto di normalità. Anche la singola previsione esplicitata dall’art. 18 della riforma, per il quale i ragazzi sono ammessi a frequentare corsi di istruzione e di formazione sul territorio, è quasi del tutto disattesa per quanto riguarda la scuola e lo è poco meno per la formazione professionale. Di recente, per fare un esempio, di fronte al caso di una singola persona da inserirsi in un percorso di istruzione, ci è stato detto semplicemente che la classe non poteva venire attivata, senza che neanche si considerasse la possibilità di farla accedere a un percorso scolastico esterno.
Quanto al sistema disciplinare, nel corso delle nostre visite ci è spesso capitato di trovare ragazzi che erano sottoposti alla sanzione dell’isolamento, nonostante il Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità abbia sostenuto che essa non è utilizzata nel sistema minorile.
Ci è capitato inoltre di recente di verificare come in alcuni istituti il disagio dei ragazzi, soprattutto se stranieri, venga gestito con l’uso di psicofarmaci. Capita che la dipendenza da sostanze venga sostituita dalla dipendenza da grandi e neutralizzanti dosi di farmaci. Se un ragazzo maggiorenne è identificato come portatore di un malessere psichiatrico viene inoltre con più facilità inviato nel carcere per adulti. Attraverso trasferimenti collettivi, che colpiscono in particolare i giovani stranieri, questi problemi vengono trasferiti in altre carceri. Proprio da un istituto che era stato destinazione di alcuni di tali trasferimenti ci è stata recentemente segnalata la presenza di dinamiche violente innescate dalla dipendenza da farmaci e dal bisogno di procurarseli. A ciò si accompagnerebbe un tasso preoccupante di autolesionismo, addirittura sfociato in vari tentativi di suicidio.
Sicuramente la vita interna alle carceri minorili è da sempre caratterizzata da una maggiore attenzione ai percorsi individuali di quanto non accada per gli adulti. Le norme introdotte nel 2018 si sono in molti casi depositate su situazioni virtuose che di fatto le avevano precedute nella sostanza. Tuttavia, possiamo dire che la riforma non ha a oggi fatto compiere alla vita degli Ipm quel balzo in avanti in termini di apertura al territorio e apporto di significato che si sarebbe auspicato. Anzi, potremmo dire che di recente si sia verificato in essa un irrigidimento. Ci auguriamo che possa riprendere una riflessione ampia e coraggiosa che torni ad abbracciare con decisione quel percorso culturale iniziato fin dagli anni ‘70 del secolo scorso che ha portato la giustizia minorile italiana a imporsi quale modello per l’intera Europa.