La tortura in Europa e nel mondo

La tortura in Europa e nel mondo

1024 538 Diciannovesimo rapporto sulle condizioni di detenzione

di Sofia Antonelli

La criminalizzazione della tortura nel mondo e in Europa

Ogni Stato Parte provveda affinché qualsiasi atto di tortura costituisca un reato nel proprio diritto penale

La Convenzione della Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli inumani e degradanti (UNCAT) del 1984 prevede, all’articolo 4, che ogni Stato Parte provveda affinché qualsiasi atto di tortura costituisca un reato nel proprio diritto penale. Nonostante non vengano forniti ulteriori indicazioni sulla forma che il reato debba assumere, il Comitato contro la tortura (CAT), incaricato di monitorare l’implementazione della Convenzione, ha sempre interpretato tale disposizione come richiesta di prevedere una norma penale autonoma, distinta da altri reati generici o dalla configurazione di mera aggravante.

A supporto di questa interpretazione, vi è l’intero impianto della Convenzione la quale, in ogni suo aspetto, chiede agli Stati Parte di eliminare qualsiasi ostacolo e di agire affinché le pratiche di tortura siano vietate e, ove si verifichino, debitamente perseguite. Risulta difficile immaginare il raggiungimento di tale obiettivo senza l’esistenza di un reato specifico che prefiguri chiaramente le fattispecie e le conseguenze ad esse derivanti. Questa norma, secondo il Comitato, dovrebbe poi riprendere, il più possibile, la definizione di tortura fornita all’articolo 1 della Convenzione, includendo tutti gli elementi che la compongono1). Formulazioni più ampie sono accolte positivamente, mentre versioni più ristrette, che escludono alcuni aspetti del reato, possono non garantire una piena perseguibilità penale delle condotte ad esso ascritte.

A quasi quarant’anni dall’entrata in vigore della Convenzione delle Nazioni Unite, 173 Paesi ne fanno parte2). Non tutti però hanno dato attuazione all’articolo 4, introducendo il reato di tortura nei propri ordinamenti.

In media i Paesi che criminalizzano la tortura registrano una riduzione delle pratiche di torture commesse da parte della polizia

Secondo uno studio pubblicato dall’American Journal of Political Science 3), in media i Paesi che criminalizzano la tortura registrano una riduzione delle pratiche di torture commesse da parte della polizia. Questi risultati emergono dall’incrocio di dati sulle norme penali e le violazioni commesse dagli agenti di polizia, specificità su cui l’analisi si concentra poiché, a differenza della tortura da parte dei militari, quella commessa da parte della polizia è comune sia nei regimi autoritari che nelle democrazie.

Stando a questo studio, vi sarebbero due principali ragioni per cui un norma penale specifica limita nel tempo la commissione di tali pratiche. Anzitutto, sulla necessità di una norma penale, quando per un Paese il divieto di tortura è inserito solo in una carta costituzionale o in un trattatato internazionale di cui è parte, è assai imporbabile che esso generi un effetto deterrente forte quanto quello provocato da una norma penale, non implicando costi materiali diretti per i responsabili. Secondo lo studio, non vi sono correlazioni significative tra i divieti di tortura previsti a livello costituzionale e internazionale e un calo delle violazioni4). I Paesi che criminalizzano la tortura registrano invece una riduzione (modesta, ma statisticamente significativa) della tortura commessa da parte della polizia. Questi risultati sono particolarmente validi nei Paesi che adottano una definizione di tortura conforme agli standard codificati nella UNCAT5).

Sulla “specificità” della norma, lo studio sottolinea come la previsione della tortura all’interno di un reato più ampio che genericamente condanna altri atti violenti (come le lesioni), potrebbe non coprire alcune condotte che costituiscono tortura, indebolendo potenzialmente il potere di queste leggi nello scoraggiare e perseguire tali abusi. Limitare le lacune che una legge generica può implicare impatta sicuramente sulla capacità di combattere la tortura.

Il reato di tortura nel mondo

Dall’adozione della Convenzione delle Nazioni Unite nel 1984, la criminalizzazione della tortura si è diffusa progressivamente in tutto il mondo. Pochi Stati avevano un reato di tortura autonomo prima di entrara a far parte della Convenzione e tra i Paesi che non ne fanno ancora parte è raro che vi sia una legge che la criminalizzi.

Secondo l’ultimo rapporto della Special Rapporteur sulla tortura, pubblicato a marzo 2023, almeno 108 Stati oggi prevedono la tortura come reato esplicito e distinto

Secondo l’ultimo rapporto della Special Rapporteur sulla tortura, pubblicato a marzo 2023, almeno 108 Stati oggi prevedono la tortura come reato esplicito e distinto6). Un numero significativamente inferiore rispetto ai 173 membri della Convenzione delle Nazioni Unite, ma in costante crescita. Secondo la Special Rapporteur, emerge una progressiva traiettoria verso l’adozione della tortura come reato autonomo nella maggior parte dei Paesi del mondo.

Nello specifico, stando al rapporto, il reato è presente in almeno 31 Stati dell’Africa, 11 Stati arabi, 11 Stati dell’Asia-Pacifico, 36 Stati membri del Consiglio d’Europa, la Federazione Russa e 18 Stati del continente americano.

Non tutte le norme sono però in linea con la definizione di tortura fornita dall’articolo 1 della Convenzione

Sebbene la maggior parte degli Stati membri della UNCAT criminalizzi la tortura come reato autonomo, non tutte le norme sono però in linea con la definizione di tortura fornita dall’articolo 1 della Convenzione e richiederebbero, secondo la Special Rapporteur, ulteriori modifiche.

Il rapporto racconta inoltre come, oltre alla mancanza di un reato esplicito o di variazioni nella definizione di tortura, le carenze più comuni nei quadri giuridici nazionali comprendano: qualificare la tortura come reato solo se commessa nell’ambito di un crimine contro l’umanità o di un crimine di guerra e non prevedere la tortura al di fuori di questi contesti (Guinea-Bissau, Lesotho e Uruguay); limitare gli attori pubblici che possono essere perseguiti per tali crimini, come gli agenti penitenziari (Ghana); o limitare gli scopi della tortura a contesti particolari, come durante gli interrogatori (Cina, Kuwait e Sudan). Alcuni Paesi hanno escluso la finalità di discriminazione dal reato di tortura (Uganda). Altre normative continuano a consentire l’eccezione dell’ “esecuzione di ordini superiori”, che annulla la responsabilità penale individuale7). Alcuni Stati hanno deciso di elencare il tipo di atti che costituiscono tortura in appendici o disposizioni interpretative (Maldive e Uganda). Sebbene tali elenchi possano fornire chiarezza giuridica su ciò che costituisce tortura, non possono mai essere esaustivi.

Tra le azioni positive, la Special Rapporteur annovera il riferimento esplicito a un ampio elenco di categorie di discriminazione da vietare come motivo di tortura, tra cui l’opinione politica, la razza, la religione, il sesso, l’orientamento sessuale, l’identità di genere, la disabilità o altre caratteristiche protette. Come buona prassi, alcuni Stati hanno chiarito che lo stupro e l’abuso sessuale fanno parte di una categoria di atti che equivalgono alla tortura, mentre altri Paesi rendono la perpetrazione di stupri o altre violenze sessuali una circostanza aggravante del reato di tortura.

Oltre al reato di tortura, alcuni Stati hanno introdotto altre fattispecie ed esso legate. Ad esempio la mancata denuncia di atti di tortura è stata criminalizzata come reato separato in Armenia, mentre la mancata prevenzione è stata esplicitamente criminalizzata in Ecuador.

Un numero crescente di Stati, predilige definizioni più ampie di quella contenuta nell’articolo 1 della Convenzione

Un numero crescente di Stati, soprattutto nei Paesi dell’Africa e dell’America Latina, predilige definizioni più ampie di quella contenuta nell’articolo 1 della Convenzione, per riflettere sfide e contesti specifici (insurrezioni interne, conflitti armati con attori non statali, attività terroristiche o altre situazioni di emergenza). Ad esempio, alcuni Stati criminalizzano la tortura non solo se inflitta da persone che agiscono nelle loro funzioni ufficiali, ma anche se agiscono al di fuori della loro veste pubbliche o in veste del tutto privata. L’Uganda ha esteso la definizione dell’articolo 1 per includere la responsabilità penale di «altre persone che agiscono in veste ufficiale o privata». L’Argentina e il Messico includono la tortura commessa da attori privati, mentre il Guatemala e la Bolivia criminalizzano esplicitamente la tortura se commessa da membri di bande organizzate.

Tra gli Stati che non hanno ancora criminalizzato la tortura come reato autonomo, alcuni hanno aggiunto la tortura come fattore aggravante ad altri reati e, come tale, hanno aumentato la pena applicabile per la loro commissione (Costa d’Avorio, Danimarca e Mozambico). Gli Stati Uniti invece criminalizzano la tortura praticata da pubblici ufficiali, ma solo quando commessa fuori dal territorio nazionale8). Non vi è nessuna legge federale che preveda il reato di tortura nel suolo americano, dove è esplicitamente vietata solo nell’ambito di conflitti armati (War Crimes Act del 1996). Gli stati della California e del Michigan prevedono reati penali di tortura, ma nessuno dei due individua esplicitamente la responsabilità penale dei funzionari pubblici.

Guardando l’area del Consiglio d’Europa, vediamo come su 46 Stati Membri 10 non abbiano ancora introdotto nel proprio ordinamento un reato di tortura autonomo

Il reato di tortura in Europa

Guardando l’area del Consiglio d’Europa, vediamo come su 46 Stati Membri 10 non abbiano ancora introdotto nel proprio ordinamento un reato di tortura autonomo. Si tratta, nello specifico, di Bulgaria, Danimarca, Germania, Islanda, Monaco, Polonia, San Marino, Svezia, Svizzera e Ungheria. Tutti e dieci sono Stati Parte della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, a cui quindi non stanno dando attuazione rispetto a quanto previsto dall’articolo 4.

In tre di questi Stati (Germania, Svezia e Svizzera) vige un paradosso. Nessuno dei Paesi ha nel suo Codice penale un reato di tortura specifico, ma riconoscono e perseguitano la tortura come reato universale. Ciò significa che non è possibile perseguire – con l’imputazione di tortura – i propri cittadini che commettono tortura in patria, mentre i cittadini stranieri presenti nel territorio dello Stato sono perseguibili per atti commessi altrove.

In Germania il divieto di tortura è sancito a livello costituzionale, ma non è previsto in modo specifico nel Codice penale. La tortura viene inclusa in una norma ampia che punisce le lesioni fisiche e psichiche9).

Guardando agli Stati che hanno introdotto il reato di tortura, emerge come, in molti casi, la formulazione normativa richiami la definizione di tortura sancita dall’articolo 1 della Convenzione delle Nazioni Unite

Guardando agli Stati che hanno introdotto il reato di tortura, emerge come, in molti casi, la formulazione normativa richiami la definizione di tortura sancita dall’articolo 1 della Convenzione delle Nazioni Unite. Tra questi vi è ad esempio la Spagna che, nonostante avesse già nel proprio ordinamento un reato che puniva gli atti di tortura10), dopo aver ratificato la UNCAT decise di riformulare la norma, in linea con l’articolo 1. Nel Codice penale spagnolo del 1995 viene così introdotto un nuovo reato di tortura, all’articolo 17411). Il divieto di tortura è anche esplicitamente previsto dall’articolo 15 della Costituzione.

Anche il Regno Unito vieta la tortura con una norma in linea con la Convenzione ONU. Il reato è stato introdotto nel 1988, lo stesso anno in cui il Governo inglese ha ratificato la Convenzione, a cui ha quindi dato immediata attuazione. Il reato è previsto, in forma autonoma e specifica, dall’articolo 134 del Criminal Justice Act del 198812). Inoltre, nel Regno Unito il divieto di tortura è sancito dallo Human Rights Act del 1998 che inserisce nell’ordinamento inglese i diritti enunciati nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

Rientrano nella categoria di Stati con un reato coerente alla UNCAT Portogallo, Malta, Lussemburgo, Norvegia, Olanda e Austria. Nel Codice penale maltese, il legislatore riprende alla lettera l’articolo 1 della Convenzione e in Lussemburgo, la disposizione fa espresso riferimento alla Convenzione. In Norvegia la definizione è simile, ma più ampia, fornendo un elenco dei tipi di discriminazione che possono motivare il reato.

A discostarsi invece dalla Convenzione ONU è la Francia

A discostarsi invece dalla Convenzione ONU è la Francia. Nonostante il nuovo Codice penale francese sia stato adottato nel 1992, dopo che il Paese era entrato a far parte della UNCAT (ratificata nel 1986), si optò per un reato di tortura ben diversao da quanto previsto dall’articolo 1 e da altri Paesi europei. Anzitutto, il reato previsto all’articolo 222-1 del Codice penale francese13), non fornisce nessuna definizione di tortura, limitandosi a recitare che «Sottoporre una persona a tortura o ad atti di barbarie è punibile con quindici anni di reclusione». Il significato di tortura viene quindi demandato all’interpretazione del giudice e alla dottrina delineata nel tempo. Inoltre, la tortura non viene identificata come reato proprio del pubblico officiale, ma come fattispecie comune, a cui possono aggiungersi circostanze aggravanti, elencate negli articoli successivi. L’articolo 222-3, n. 7, prevede sì l’ipotesi in cui il fatto sia commesso da un pubblico ufficiale, ma solo come una di numerose altre ipotesi aggravanti (come ad esempio un fatto commesso dal coniuge o dal convivente della vittima). Alle aggravanti delineate in base alle caratteristiche dell’autore di reato, se ne aggiungono altre sulle caratteristiche della vittima, sui motivi dell’atto e sulle modalità. La scelta compiuta dal legislatore francese può sollevare alcune critiche sia in termini di determinatezza, in assenza di una definizione vera e propria, sia in termini di generalizzazione, equiparando situazioni assai diverse tra loro in un unico elenco di aggravanti.

Infine, altro aspetto interessante, è la diversa collocazione che gli Stati scelgono di dare al reato all’interno del proprio Codice penale. Alcuni di essi, come la Spagna, la Grecia e la Francia, includono la norma tra i reati contro l’integrità della persona o in generale contro i diritti della persona umana (in Bosnia Erzegovina). Altri lo inseriscono tra i reati contro l’amministrazione o tra i reati commessi nell’esercizio di funzioni pubbliche (in Norvegia).

References

References
1 La definizione della Convenzione della Nazioni Unite identifica la tortura principalmente sulla base di quattro elementi costitutivi: l’inflizione di una grave sofferenza fisica o psichica; la volontarietà del comportamento; l’obiettivo dell’atto; e che la condotta si mossa da un pubblico ufficiale o con il suo coinvolgimento.
2 OHCHR, Convention against Torture and Other Cruel, Inhuman or Degrading Treatment or Punishment, Status of Ratification.
3 Berlin, Mark S., Does Criminalizing Torture Deter Police Torture?”, American Journal of Political Science, 10 settembre 2021.
4 Lo studio di Mark S. Berlin cita come fonti altre ricerche precedenti sul tema. Nello specifico: Chilton and Versteeg 2015; Keith 2002; Keith, Tate, and Poe 2009.
5 Secondo il modello elaborato nello studio di studio di Mark S. Berlin, gli Stati che adottano le leggi più forti (ossia in linea con la definizione della UNCAT) registrano una riduzione media statisticamente significativa di quasi un punto intero (0,86) su una scala delle torture commesse dalla polizia che arriva fino a 6 punti. Allo stesso modo, un secondo modello elborato nello studio suggerisce che le leggi sulla tortura con più elementi della UNCAT hanno un maggiore effetto deterrente.
6 Special Rapporteur on torture and other cruel, inhuman or degrading treatment or punishment, “Good practices in national criminalization, investigation, prosecution and sentencing for offenses of torture, and remedies for victims – Report of the Special Rapporteur on torture and other cruel, inhuman or degrading treatment or punishment, A/HRC/52/30, 13 marzo 2023, pp. 9-11. Nel rapporto la Special Rapporteur specifica che “sono stati compiuti tutti gli sforzi per garantire che la legislazione a cui si fa riferimento nel rapporto sia aggiornata”. Per questo è utilizzato il termine “almeno 108 Stati”, potendo esserci un margine d’errore in negativo.
7 Il terzo comma dell’articolo 2 della UNCAT vieta specificamente questa circostanza L’ordine di un superiore o di un’autorità pubblica non può essere invocato a giustificazione della tortura.
8 La sezione 2340A del Titolo 18, United States Code, proibisce la tortura (intesa come «atti specificamente destinati a infliggere gravi dolori o sofferenze fisiche o mentali») commessa da pubblici ufficiali. Lo statuto si applica però solo agli atti di tortura commessi al di fuori degli Stati Uniti. Esiste una giurisdizione federale extraterritoriale su tali atti ogni volta che l’autore del reato è un cittadino degli Stati Uniti o il presunto colpevole si trova all’interno degli Stati Uniti, indipendentemente dalla nazionalità della vittima o del presunto colpevole.
9 Committee against Torture examines the situation in Germany, 30 aprile 2019
10 Introdotto dalla legge 17 luglio 1978, n. 3, che introdusse, nel Codice penale spagnolo del 1973, l’art. 204-bis.
11 Código Penal, Ley Orgánica 10/1995, 23 novembre 1996, articolo 174, all’interno del Titolo VII del Libro II, rubricato «Tortura e altri reati contro l’integrità morale».
12 UK Public General Acts, articolo 134 del Criminal Justice Act del 1988.
13 Code pénal, Paragrafo 1 «Torture e altre barbarie», articoli da 222-1 a 222-6-4.