Messa alla prova

Messa alla prova

1024 538 XVII rapporto sulle condizioni di detenzione

 

La messa alla prova

La messa alla prova: vizi e virtù

Iniziamo con il dire che la messa alla prova non rientra tra le misure alternative alla detenzione. Le misure alternative rappresentano una modalità differente alla reclusione per scontare una condanna, mentre la “sospensione del procedimento con messa alla prova” è una modalità di estinzione del reato introdotta nel 2014 quando la legge n.67 ha inserito sia nel codice penale che in quello di procedura questo istituto che interviene prima della conclusione del processo penale, prima cioè che si giunga a un’eventuale condanna o assoluzione. La messa alla prova sospende il processo e nel caso in cui l’esito finale sia favorevole va a estinguere completamente il reato.

A normare la MAP nel nostro ordinamento sono l’articolo 168-bis del codice penale, e gli articoli 464-bis e seguenti del codice di procedura penale.
Il codice penale descrive anzitutto le situazioni oggettive e soggettive in cui è possibile per l’imputato e l’indagato (art.464-ter), fare richiesta di accesso alla MAP. Intanto l’imputazione deve riguardare, fatte salve poche eccezioni, un reato la cui pena sia pecuniaria o abbia un massimo edittale non superiore ai 4 anni.
Non si può invece accedere a questa misura di comunità nel caso si sia riconosciuti e dichiarati delinquente abituale (ex artt. 102 e 103 c.p.), contravventore abituale (ex art. 104 c.p.), delinquente o contravventore professionale (ex art. 105 c.p.), o delinquente per tendenza (ex art. 108 c.p.).

*dal 2014 al 2019 i dati sono al 31/12, il dato del 2020 è aggiornato al 15/01/2021

Dalla sua introduzione nell’ordinamento la MAP ha visto un rapido aumento del suo ricorso tanto da potersi considerare dopo pochi anni un istituto consolidato delle misure di comunità.

Dalla sua introduzione nell’ordinamento la MAP ha visto un rapido aumento del suo ricorso tanto da potersi considerare dopo pochi anni un istituto consolidato delle misure di comunità. Ma questo importante ricorso all’istituto cosa ci dice? I dati che hanno visto una crescita inesorabile della popolazione detenuta tra il 2014 e l’inizio del 2020 sicuramente ci permettono di affermare che il ricorso alla MAP non ha rappresentato una decongestione del sistema penitenziario. Quindi la crescita dei numeri relativi all’accesso alla MAP è piuttosto una spia della dimensione patologica del sistema penale italiano? È possibile che il grande successo riscosso dalla MAP sia dovuto alla estenuante durata dei processi che in questo modo invece si sospendono? La messa alla prova è un’alternativa alla condanna e alla reclusione o piuttosto un’alternativa alla libertà? Se si immaginasse di procedere con la depenalizzazione dei reati minori cui viene riconosciuta una più bassa pericolosità sociale, come sono – inevitabilmente visti i criteri di accesso alla MAP – molti di quelli i cui imputati scelgono l’istituto della messa alla prova, si parlerebbe di altri numeri?

Intanto dal Rapporto Istat, Delitti, imputati e vittime dei reati. La criminalità in Italia attraverso una lettura integrata delle fonti sulla Giustizia, pubblicato nel 2020, è possibile conoscere in forma disaggregata le tipologie di procedimenti sospesi per messa alla prova (a pagina 132). Dalla tabella che si riporta qui di seguito è possibile leggere come in media il 27,6% dei procedimenti sospesi per messa alla prova negli anni tra il 2014 e il 2018 riguardasse sole contravvenzioni.

Dati: Fonte ISTAT, elaborazione media % Antigone

Sempre l’ISTAT ci permette di conoscere i principali delitti e contravvenzioni per i quali gli imputati che hanno poi richiesto la messa alla prova si sono trovati ad affrontare un procedimento penale. Nel 2017 i quattro delitti che più frequentemente figurano come capo d’imputazione in procedimenti poi sospesi per MAP sono stati: lesioni personali (787), furti (2.098), rapine (204) e produzione, vendita, acquisto ecc. di stupefacenti (1.315). Questi delitti rappresentano il 33,8% dei delitti totali per cui si accede alla MAP. Mentre per quanto riguarda le contravvenzioni, le quattro più frequenti sono state nello stesso anno: guida sotto l’influenza dell’alcool o di droghe (3.616), violazione delle norme relative all’immigrazione (78), violazione delle norme in materia di armi, munizioni ed esplodenti (272), violazione delle norme in materia ambientale (185). Queste contravvenzioni rappresentano l‘86,7% sul totale delle contravvenzioni per le quali si è richiesta la sospensione del procedimento per MAP.

In cosa consiste per chi ne faccia richiesta la messa alla prova?

L’articolo 168-bis del codice penale prevede che la persona che decida di ricorrervi e che incontri nella sua richiesta l’assenso del giudice, debba svolgere una serie di “condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato” (art. 168-bis c.p.), e se possibile anche occuparsi di risarcire la vittima. Questo generalmente si sostanzia, come vedremo, nei lavori di pubblica utilità e nella partecipazione alle attività di enti o associazioni di volontariato.
Inoltre la MAP prevede che l’imputato sia affidato al servizio sociale. Per questa ragione sono gli Uffici di esecuzione esterna a prendere in carico le istanze di MAP e a svolgere le indagini conoscitive personali e familiari sul richiedente necessarie a stilare un programma di trattamento.

Anche i dati sulle indagini e le consulenze restituiscono un quadro di crescita nell’accesso alla MAP. Inoltre il giudice può richiedere, qualora ritenga utile per la decisione sulla concessione della misura, tutte le informazioni sulla persona, sulla sua famiglia, sulla sua vita economica e sociale. Informazioni che ha l’obbligo di condividere con il pubblico ministero e con la difesa.

Un aspetto che non è discrezionale è quello relativo alla subordinazione della MAP alla prestazione di lavoro di pubblica utilità

Il programma stabilito dal servizio sociale e avallato dal giudice può comportare una serie di prescrizioni che possono prevedere la partecipazione ad attività di volontariato, o determinati rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, ma può prevedere anche prescrizioni negative, come il divieto di frequentare alcuni luoghi o altre compressioni nella libertà di movimento.
Un aspetto che non è discrezionale è quello relativo alla subordinazione della MAP alla prestazione di lavoro di pubblica utilità, ovvero un’attività di lavoro non retribuita che non può avere durata inferiore ai 10 giorni e che – nella scelta della tipologia di lavoro, deve tenere conto sia delle attitudini lavorative del richiedente che delle sue eventuali esigenze lavorative, familiari, sanitarie e non possono superare le 8 ore giornaliere. I lavori di pubblica utilità così intesi devono essere svolti in favore della collettività, per questa ragione la norma prevede che siano considerati idonei i lavori svolti per lo Stato, le Regioni o gli enti locali, nonché le aziende sanitarie; ma anche per enti od organizzazioni – purché operanti in Italia – che svolgano attività sociale o sanitaria anche di volontariato e che siano convenzionati con i Tribunali di riferimento o, a livello nazionale, con il Ministero della Giustizia.

Il dato più recente relativo alla tipologia di attività svolta dalle persone in MAP è del 31 dicembre 2019.
A quella data la maggior parte delle persone era assegnata a servizi di supporto in attività socio-assistenziali e socio-sanitarie (13.734 persone) e poi nella tutela del patrimonio ambientale (1.889) e nella manutenzione di immobili e servizi pubblici (1.766).

Per quanto attiene alla procedura di accesso alla messa alla prova, l’art. 464-bis del codice di procedura penale prevede che la richiesta sia espressione diretta della volontà dell’imputato che può presentarla, sia in forma orale che in forma scritta, in prima persona o tramite un procuratore speciale (il proprio avvocato) e con tempistiche precise a seconda della tipologia di rito cui si prende parte.
Insieme all’istanza è presentato un programma di trattamento elaborato dall’UEPE, oppure se non vi è stato tempo per preparare il programma – nelle ipotesi come il rito direttissimo – è allegata una richiesta di elaborazione del programma stesso che poi verrà messo a punto nei mesi seguenti.
Il programma prevede il modo in cui sarà coinvolto l’imputato e – se del caso – la sua famiglia e la sua cerchia, nel processo di reinserimento sociale; tutte le prescrizioni previste nel suo caso per riparare alle conseguenze del reato, comprese le eventuali restrizioni alla sua libertà di agire e di muoversi, gli eventuali obblighi di volontariato e il programma di lavoro di pubblica utilità. Può altresì prevedere, ma senza obbligo, attività di mediazione con la vittima di reato.
Se il giudice valuta soddisfacente il programma contestualmente sospende il procedimento e ammette l’imputato alla messa alla prova stabilendone, con ordinanza, tempistiche e termini. Nel corso della MAP il giudice viene sempre informato dall’UEPE relativamente all’andamento dell’attività della persona messa alla prova, ha facoltà di modificare termini e modalità del programma e alla fine valuta in udienza se la MAP ha avuto o meno un esito positivo.

Per quanto riguarda l’accesso alla misura di comunità sappiamo che le donne rappresentano il 16,2% delle MAP prese in carico dagli UEPE al 15 gennaio 2021. E anche le indagini e le consulenze portate avanti dagli UEPE sempre per la MAP hanno riguardato, allo stesso periodo nella medesima percentuale, 16,2%, le donne.
Purtroppo non esistono dati disaggregati utili a conoscere la nazionalità e l’età delle persone che accedono alla misura di comunità della messa alla prova, né è possibile conoscere quali UEPE sul territorio lavorino più domande e prendano in carico più persone.

Mentre relativamente alla nazionalità il dato più recente reso noto dalla DGCM è del 31 dicembre 2019 quando in messa alla prova si trovavano 18.227 persone di cui 15.360 italiani e 2.867 stranieri. Tra gli stranieri oltre il 20% delle persone in MAP sono donne. Mentre il 44,4% degli stranieri in MAP provengono da Paesi europei di cui più della metà extra UE, il 29% da Paesi africani, la maggior parte dei quali afferenti all’Africa Settentrionale. La cinque nazionalità più rappresentata è quella rumena con 392 persone in messa alla prova, poi l’albanese con 374 persone, quella marocchina con 364 persone. Seguono poi Ecuador (121), Senegal (119), Perù (114).

Se sappiamo che le cinque regioni con la maggiore presenza di detenuti ristretti negli istituti di pena sono la Lombardia (7.645), la Campania (6.417), la Sicilia (5.727), il Lazio (5.759) e il Piemonte (4.178) [dato al 31 gennaio 2021], al 31 dicembre 2019 gli UEPE con in carico più adulti in MAP erano: Lombardia 18%, Piemonte 10%, Sicilia, Toscana, Emilia-Romagna 9%, il Veneto 8%.

Al 5 maggio 2020 tutti gli incarichi di MAP sopravvenuti agli UEPE nel 2017 e 2018 si erano conclusi. E anche il 52% degli incarichi sopravvenuti nel 2019 si erano già conclusi.
La misura si è conclusa positivamente nel 2017 nel 95,1% dei casi, nel 2018 nel 96,3% e del 2019 tra le misure già concluse il 96,4% aveva avuto esito positivo.
Mentre le revoche sono state il 2,9% nel 2017, il 2,1% nel 2018 e l’1,6% tra le misure consluse del 2019.
La maggior parte delle revoche si è avuta per grave o reiterata trasgressione al programma di trattamento (art.168 quater, n.1), questo nel 36% dei casi di revoca nel 2017, nel 40% nel 2018 e nel 29% nel 2019. Mentre le revoche per rifiuto LPU (Art.168 quater, n.1) sono state il 31% nel 2017, il 32% nel 2018, e il 34% nel 2019.
Mentre solo le revoche per evasione/irreperibilità ha riguardato solo il 4% delle revoche nel 2017 e 2018, e il 5% nel 2019. Quelle per commissione reati della stessa indole (art.168 quater, n.2) sono state il 3% nel 2017 e 2018, e il 5% nel 2019.