XVIII rapporto sulle condizioni di detenzione

Donne ristrette. Nuovi spazi di detenzione, vecchi problemi: il caso toscano

Donne ristrette. Nuovi spazi di detenzione, vecchi problemi: il caso toscano

Donne ristrette. Nuovi spazi di detenzione, vecchi problemi: il caso toscano

1024 576 XVIII rapporto sulle condizioni di detenzione

Carlotta Vignali

La detenzione femminile in Toscana tra chiusure, ristrutturazioni e criticità

Al gennaio 2022 sono 95 le donne detenute in Toscana. Dopo la chiusura della struttura esclusivamente femminile di Empoli nel 2016 e del padiglione femminile a Livorno nel 2011, sono rimasti quello di Firenze Sollicciano – dove le donne rappresentano l’11,6% sul totale della popolazione detenuta – e quello di Pisa – dove tale percentuale si attesta al 10,4%1) – gli unici reparti a ospitare le donne detenute in regione.

Appare risolto il grande problema dei wc fino a quel momento a vista, condizione drammatica tutt’ora permanente invece in larga parte delle stanze detentive maschili.

Il ritorno delle detenute nel carcere di Pisa

Dopo essere stati per qualche ora immersi in spazi angusti e fatiscenti, tra muri scrostati, bagni ancora a vista e spazi chiusi per inagibilità, siamo giunti al termine della nostra visita annuale presso la casa circondariale Don Bosco di Pisa. Poco prima di raggiungere l’uscita, il personale che ci accompagna ci invita a fermarci per visionare la parte di edificio dedicata alla detenzione femminile, cui durante la visita non avevamo avuto accesso poiché in piena fase di ristrutturazione e dunque momentaneamente disabitata: «volete avere l’esclusiva e osservare in anteprima il nuovo volto della sezione femminile?». La “sezione femminile”, sì, perché il carcere di Pisa rientra nella cinquantina di istituti penali italiani che ospitano le donne detenute in sezioni distaccate delle strutture maschili, a fronte di solo quattro istituti2) interamente destinati alla carcerazione femminile in Italia. Consci delle evidenti criticità strutturali in cui da anni versa l’istituto pisano e felici di poter intraprendere una pre-osservazione di quei rinnovati spazi, accettiamo di buon grado la proposta. Chi ci guida nell’accesso alla sezione ci mette in guardia rispetto ai ritardi nell’avanzamento dei lavori, ma sembra comunque vantare una certa fierezza nel mostrare la rigenerata sezione. Entriamo e, tra secchi di vernice e infissi da montare, notiamo un cambiamento che, seppur ancora in divenire, sembra finalmente dare respiro a un reparto che, in maniera non difforme rispetto alle restanti aree dell’istituto, ricordavamo in condizioni critiche. La ristrutturazione ha riguardato sia il piano superiore, dove sono ubicate le camere di pernottamento, reso del tutto calpestabile a fronte dalla sua precedente configurazione a balconata, sia il pianterreno in cui, allo stato attuale, oltre all’ufficio di sorveglianza e all’ufficio per i colloqui, sono state ricavate una piccola palestra, una stanza per la parrucchiera, una sala polivalente destinata alle varie attività e un ripostiglio dove è stato inserito un freezer per le detenute.

Nonostante i lavori, al femminile ancora assente è infatti la cucina: le detenute usufruiscono del vitto giunto direttamente dalle sezioni maschili, spesso lamentandosi della qualità e dell’impossibilità di disporre di una propria cucina interna. Sempre al pianterreno è posta la stanza pensata per l’isolamento e, infine, il centro clinico. In linea con la peculiarità del presidio sanitario presente al maschile e dotato di particolari specificità, anche il femminile, infatti, dispone di un servizio medico di assistenza intensiva (SAI). Seppur dalla portata inferiore e dagli spazi più ristretti poiché pensati per la cura di un’utenza dai numeri ridotti, il SAI femminile è abilitato a fornire assistenza sanitaria di tipo medico e infermieristico alle recluse di che necessitino di assistenza sanitaria specialistica e continuativa. Al suo interno, sebbene ancora in ristrutturazione, visitiamo un paio di camere di pernottamento dedicate alle degenze. Il totale di queste stanze allo stato attuale è di quattro.

I colori chiari delle mattonelle del pavimento e dell’intonaco delle pareti sembrano riflettere una luce insolita per gli spazi carcerari. Rimossi i grandi blindi verniciati in verde bottiglia, abbattuti muretti e tramezzi e non ancora innalzate le pareti interne, la sensazione che si ha è quella di un guadagno in termini di spazio, condizione strutturale che scarseggia nella maggior parte degli istituti di pena italiani. Di contro, l’apertura degli spazi e la mancanza di mobilio non ci fa rendere perfettamente conto di quanti possano effettivamente essere i metri quadri calpestabili. Chi ci accompagna ci assicura che le stanze di pernottamento non saranno deputate a ospitare più di due detenute, il che ci sembra congruo con l’effettiva vivibilità dei rinnovati locali. Ogni stanza di pernottamento è dotata del rispettivo bagno, al cui interno si trovano i vari sanitari, tra cui doccia e bidet. Appare risolto il grande problema dei wc fino a quel momento a vista, condizione drammatica tutt’ora permanente invece in larga parte delle stanze detentive maschili. Tutto ancora in fase di ricostruzione, ma ideato apparentemente in linea con una serie di standard prima non ravvisabili in reparto e purtroppo non ancora rispettati nelle ben più popolate sezioni maschili dell’edificio.

Quella che emerge in maniera dirompente è una tangibile disparità nell’accesso all’istruzione, se paragonata all’universo maschile.

Se questa era la situazione ad ottobre del 2020, nelle prime settimane del 2021 veniamo informati dell’avvenuto trasferimento delle donne. Stando a quella data, sono 17 in totale le ristrette che fanno ingresso nel nuovo reparto, un numero inferiore rispetto alle presenze cui eravamo abituati, che tendenzialmente oscillavano tra le 30 e le 45. Presenze che subiscono fin da subito un incremento contando una presenza media di 25 recluse nei mesi che vanno dal febbraio 2021 al gennaio 20223). Tornando alla cronistoria del ritorno delle detenute presso il carcere di Pisa, passano pochi giorni dalla loro avvenuta sistemazione quando ci segnalano che in sezione non scorre l’acqua calda. Nel freddo di gennaio, la tanto attesa e con ogni probabilità non del tutto ultimata ristrutturazione presenta subito un problema non di poco conto, tenute presenti le temperature del periodo. Quella che sembra configurarsi è una situazione tale per cui le detenute sarebbero arrivate in sezione, senza che i lavori fossero del tutto completati. Anzi, in virtù del disordine trovato data la natura ancora in progress delle fasi finali della ristrutturazione, le stesse detenute si sono impegnate nella pulizia dei locali per velocizzare il totale recupero della vivibilità degli spazi. Fortunatamente, nel giro di un paio di settimane la disfunzione è risolta e l’acqua calda inizia a scorrere. Ciò che invece continua a giungerci dalle voci dal di dentro è un clima teso e ostile all’interno della sezione: se la disfunzione strutturale sembra dunque essere rientrata piuttosto velocemente, ciò che non appare stabilizzarsi è l’equilibrio relazionale interno. Frustrazione, parapiglia e battibecchi sono frequenti. Al di là dell’alienazione e della deprivazione endemiche al contesto carcerario, ciò che forse sembra esacerbare il clima di tensione è la non ultimata ristrutturazione degli spazi cui si unisce una iniziale disorganizzazione gestionale del ritorno delle detenute. Chi nel mondo del volontariato ha regolarmente accesso al carcere ci riporta un aumento delle tensioni tra recluse durante i mesi estivi del 2021. Seppur non siano chiare le motivazioni, ma presumibilmente riconducibili a dinamiche gruppali interne, gli screzi sembrano essere stati fronteggiati con la predisposizione di una serie di isolamenti durante i momenti più tesi e con alcuni trasferimenti che, sul finire dell’estate, sembrano avere messo un freno al clima incandescente.

Allo stato attuale, facendo un bilancio tra quanto osservato e quanto ricostruito attraverso i racconti dal di dentro e gli interpelli dell’associazionismo, quella che pare configurarsi è una situazione in cui a fronte di un notevole ed evidente miglioramento edilizio non sembrerebbe parimenti corrispondere un miglioramento della quotidianità detentiva, ancora priva di una serie di accorgimenti la cui mancanza continua a relegare la realtà femminile pisana in una condizione di arretratezza trattamentale. Sono poche le attività previste per le recluse, essenzialmente ridotte ai corsi di scrittura creativa e al laboratorio di cucito. Quella che emerge in maniera dirompente è una tangibile disparità nell’accesso all’istruzione, se paragonata all’universo maschile. Se l’istituto pisano rientra infatti tra le strutture dotate di un reparto adibito a polo universitario4) per gli iscritti a svariati atenei, prevedendo al contempo spazi per l’istruzione di grado inferiore, nel caso delle donne il diritto allo studio sembra ostacolato. Giustificando questa carenza in virtù dell’esiguo numero di detenute e della difficoltà gestionale nel predisporre attività scolastiche pensate per un’utenza ridotta, le recluse non hanno ad oggi alcun accesso ai corsi scolastici, vedendosi respinte anche le richieste di iscrizione all’istituto alberghiero, i cui corsi sono regolarmente attivi al maschile.

Per tirare le fila di questa descrizione della sezione femminile pisana, ricordiamo i dati aggiornati al gennaio del 2022, momento in cui risultano 28 le detenute presenti5). Chiusa nel 2019 e ripopolata due anni dopo, l’ala femminile dell’istituto di Pisa sembra avere raggiunto notevoli miglioramenti edilizi all’interno di una struttura che nel complesso necessiterebbe di moltissimi lavori di ristrutturazione6). A fronte di questo salto di qualità strutturale non sembrerebbe però corrispondere un’eguale attenzione nella gestione della quotidianità intramuraria, che risente ancora di carenze gestionali da un punto di vista trattamentale. Ma nei due anni di chiusura del reparto, quali destinazioni hanno preso le detenute ospitate nella sezione pisana prima dell’inizio dei lavori di ristrutturazione?

A compromettere ulteriormente la ristrettezza degli spazi, già soffocati dalla superata soglia di capienza regolamentare, è l’esubero di brandine e mobilio inutilizzati.

Sovraffollamento, carenza di spazi e chiusure a Sollicciano

Questo interrogativo ci riporta alla visita effettuata al carcere di Sollicciano, a Firenze. Arriviamo un paio di mesi dopo che parte delle detenute fino a poco prima presenti erano state trasferite nella nuova sezione femminile pisana. Durante i due anni di ristrutturazione, infatti, larga parte delle recluse che fino al momento di inizio dei lavori erano ubicate a Pisa, sono state trasferite a Sollicciano, unico altro reparto femminile nel territorio toscano. Volendo fornire un riferimento numerico circa le detenute presenti in sezione nei due anni in cui l’istituto fiorentino ospitava le recluse provenienti da Pisa, tra il 2019 e il 2020 le ristrette ammontavano circa a un centinaio7). Al momento della nostra vista – aprile 2021 –, il dato risente del calo dovuto ai trasferimenti verso Pisa: sono 67 le detenute, a fronte di una capienza regolamentare pari 52 posti8). Sebbene la riapertura della sezione pisana abbia dunque sfoltito i numeri delle presenze, in realtà permane una situazione di sovraffollamento. A compromettere ulteriormente la ristrettezza degli spazi, già soffocati dalla superata soglia di capienza regolamentare, è l’esubero di brandine e mobilio inutilizzati. Infatti, in seguito ai trasferimenti verso Pisa non sono stati rimossi i letti riservati alle recluse presenti fino a pochi mesi prima. Visitiamo più stanze e all’interno di locali stretti e sovraffollati notiamo il concreto intralcio che le brandine inutilizzate rappresentano nelle camere di pernottamento, la cui effettiva calpestabilità risulta compromessa. Ma la scarsità e la costrizione dei metri quadri non è l’unica criticità che salta all’occhio durante la visita nel femminile di Sollicciano.

Esattamente come ravvisabile per l’intero complesso penitenziario, il reparto femminile riporta numerose carenze strutturali ed edilizie: infiltrazioni, muffe, umidità, intonaco deteriorato. Le detenute ci indirizzano verso le docce comuni, non utilizzate poiché ogni stanza dispone di un bagno con doccia, ma adibite a lavatoio. Ci chiedono di visionare questo spazio poiché i danni creati da umidità e infiltrazioni appaiono ancor più evidenti. Il disappunto che le recluse palesano per le condizioni strutturali del reparto è unanime e senza dubbio condivisibile.

Se questa è la situazione al piano superiore, dove sono ubicate le camere di pernottamento, non propriamente migliore è la condizione del piano terra, dove, a causa di un datato cedimento del terreno, dai passeggi sono state ricavate la chiesa e la sartoria, soluzione “emergenziale” ormai dalla durata decennale. Sempre al pianterreno sono presenti le aule scolastiche e la biblioteca, utilizzata anche come sala lettura. Al momento della visita, solo il corso di alfabetizzazione è in presenza, mentre le altre lezioni scolastiche sono tenute da remoto per via della pandemia. Sono 18 in totale le iscritte ai corsi scolastici. Anche a livello trattamentale, molte attività hanno subito momentanee sospensioni per via del Covid19, ma in generale i corsi dedicati alle donne sono teatro, danza terapia, sartoria, scrittura creativa, book art, sport all’aperto, uncinetto e cura degli asini presenti nell’area verde. Da lì a poco sarà inoltre avviato un progetto per la per la produzione di pasta, pizza e dolci. È previsto anche un corso formativo da parrucchiera.

Tra i vari spazi dedicati alle donne detenute, il carcere di Sollicciano è dotato della sezione asilo nido, destinata ad accogliere recluse con figli e donne gestanti. Fortunatamente, al momento della visita non ci sono bambini in istituto, il reparto è dunque vuoto, ma ne visitiamo comunque gli spazi. La luce fioca che proviene dall’esterno in una giornata particolarmente grigia non contribuisce a illuminare i locali interni, intensificando la cupezza dei corridoi e delle stanze disabitate, ricordandoci quanto gli istituti di pena siano luoghi in contrasto con la spensieratezza di un minore e fortemente inadatti per la sua crescita. Oltre alle camere di pernottamento, la sezione è dotata di uno spazio in comune al cui interno è presente una cucina pensata per ricreare quanto più possibile un clima “familiare”. Allo stesso scopo sono previste un’area giochi interna e una esterna, nell’area verde. Se alla data della visita non erano presenti recluse con figli, complessivamente nel corso del 2021 si è delineata una situazione che ha visto in alcuni mesi la presenza di uno o due bambini e di qualche gestante9).
In riferimento alla variabile di genere, il reparto nido non è – o meglio non era – l’unico differenziato rispetto alla restante sezione femminile. Il carcere di Sollicciano, infatti, è stato il primo istituto a destinare uno spazio allocato nella parte dell’edificio dedicato al femminile alle persone detenute transgender (M to F), la cui generale collocazione a livello nazionale tende a essere gestita all’interno di sezioni separate e “protette”, ma incorporate nei penitenziari maschili10).

Al momento della richiesta del dato numerico circa le recluse transgender ci viene prontamente risposto “zero”. Non esiste più infatti la sezione transgender a Sollicciano.

Quale spazio per le persone transgender?

Consapevoli dell’esistenza del “reparto transgender”, chiediamo informazioni e, come di consueto, chiediamo di visionare la sezione durante la visita. Al momento della richiesta del dato numerico circa le recluse transgender ci viene prontamente risposto “zero”. Non esiste più infatti la sezione transgender a Sollicciano. Alcuni lavori di ristrutturazione sembrano avere decretato la chiusura del reparto, comportando veloci trasferimenti per la dozzina di persone che si trovavano precedentemente in sezione. Anche in questo caso, attraverso le informazioni provenienti da volontari che quotidianamente hanno accesso al carcere, capiamo che le persone transgender, ignare fino all’ultimo minuto della destinazione finale del loro spostamento, sono state trasferite a Belluno, Ivrea e Roma Rebibbia, dove sembrano essere state collocate all’interno di reparti specifici e protetti, facendo tuttavia giungere ai volontari fiorentini lamentele circa la marginalizzazione avvertita. Per quanto dalle precedenti visite ricordiamo la sezione transgender piuttosto isolata, poiché collocata nel punto più alto e distante della parte del complesso dedicato alla detenzione femminile, e sebbene non sia mai stata superata la presenza di un agente penitenziario di sesso maschile nella gestione del reparto, lo spazio dedicato alla detenzione transgender, pur con le sue criticità, si rivelava un’innovazione all’interno di un impianto penitenziario ancora oggi basato sulla rigidità della logica binaria di genere che mal si concilia con i bisogni delle transgender. Consci della delicatezza che contraddistingue questo fenomeno e della necessità di una presa in carico ponderata e non sbrigativa, che non si risolva unicamente in un ragionamento dualistico, che vede per un verso il pericolo di sopraffazione delle persone transgender nelle sezioni maschili e per altro verso il rischio di una loro polarizzazione in sezioni ad hoc dall’effetto ghettizzante, riteniamo che la repentina chiusura del reparto fiorentino, caso pilota nella gestione di situazioni di questo tipo, abbia certamente comportato una frattura nelle biografie di queste detenute, esacerbando il già abbondantemente marcato senso di spaesamento vissuto in un penitenziario che esalta e rimarca la distinzione binaria dei sessi. Distinzione che, come sintetizzato all’interno di questi paragrafi, sfocia in una disattenzione istituzionale verso necessità e bisogni espressi dalla percentuale non maschile della popolazione reclusa. Anziché giustificare la miopia nei confronti delle minoranze di genere ristrette negli istituti penali facendo appello alla bassa percentuale di donne e transgender, sono per l’appunto i ridotti numeri nelle presenze che potrebbero rivelarsi funzionali per la progettazione di una serie percorsi, attività e iniziative, la cui buona riuscita è auspicabile proprio in virtù della esigua utenza da coinvolgere e gestire.

References

References
1 Percentuali calcolate in base ai dati del Ministero della Giustizia.
2 Si tratta di Trani, Pozzuoli, Roma-Rebibbia e Venezia Giudecca.
3 Elaborazione sui dati del Ministero della Giustizia.
4 Per ulteriori informazioni sul tema si invia al sito del CNUPP – Conferenza Nazionale dei Delegati dei Rettori per i Poli Universitari Penitenziari.
5 Ministero della Giustizia.
6 Per restituirne una descrizione visiva si rinvia a un video da noi girato nel 2019 all’interno dell’istituto (il filmato include anche immagini immortalate nella sezione femminile prima della sua messa a nuovo).
7 Elaborazione sui dati del Ministero della Giustizia.
8 Ibidem
9 Ministero della Giustizia.
10 Cfr. Francesca Vianello e Caterina Peroni «Il governo del penitenziario di fronte alla sfida delle soggettività transgender: riconoscimento, normalizzazione e resistenze» in Vianello F., Vitelli R., Hochdorn A. e Mantovan C. (a cura di) Che genere di carcere? Il sistema penitenziario alla prova delle detenute transgender, Guerini Scientifica, Milano, pp. 185-216