Ventesimo rapporto sulle condizioni di detenzione

Indagine sui procedimenti penali per tortura

Indagine sui procedimenti penali per tortura

Indagine sui procedimenti penali per tortura

1024 538 Ventesimo rapporto sulle condizioni di detenzione

di Edoardo Paoletti e Maria Serena Costantini

Indagine sui procedimenti penali per tortura

“L’unico dubbio che me resta
è se po esse chiamata giustizia questa
Loro pestano, er tester che testano
Ma nun se pestano mai i piedi a vicenda
Er G8 a Genova quella sporca faccenda in caserma”
(Chicoria – Tortura)

Con la Legge n. 110 del 14 luglio 2017, il legislatore italiano – adeguandosi ai moniti della Corte EDU che, con la sentenza “Cestaro c. Italia” del 2015, ha condannato l’Italia perché priva di una legislazione adeguata a punire il reato di tortura – ha introdotto nel codice penale gli articoli 613 – bis e 613 – ter, rubricati rispettivamente “Tortura” e “Istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura”.

In particolare, l’art. 613 – bis punisce con la reclusione da quattro a dieci anni “Chiunque, con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa” mentre, se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio con abuso di autorità o violazione dei doveri inerenti la funzione o il servizio, è prevista la pena della reclusione da cinque a dodici anni.

Il percorso legislativo che ha portato all’introduzione di questa fattispecie di reato nel nostro ordinamento è stato caratterizzato da un acceso dibattito politico e mediatico, poiché alcuni esponenti politici all’epoca sostennero che il nuovo reato di tortura di fatto avrebbe “legato le mani” alle forze dell’ordine, impedendogli di svolgere il loro quotidiano lavoro, dal momento che qualsiasi persona arrestata o fermata avrebbe potuto accusare i pubblici ufficiali di averla sottoposto a tortura.

La realtà dei fatti ha dimostrato che tali timori erano del tutto infondati, non essendosi registrato nessun boom di denunce contro le forze dell’ordine in ordine a detto reato.

La prima condanna in Italia per tale delitto c’è stata il 15.01.2021

La prima condanna in Italia per tale delitto c’è stata il 15.01.2021, quando per la prima volta nella storia, un Tribunale italiano – nello specifico, il Tribunale di Ferrara – ha condannato un agente di polizia penitenziaria per il reato di cui all’art. 613 – bis c.p., riconoscendo l’imputato colpevole di aver torturato un uomo detenuto nel carcere di Ferrara. Fino al luglio del 2017, non sarebbe stato possibile punire un uomo per aver sottoposto a tortura una persona già sottoposta a restrizione della libertà personale.

Dal 2021 in poi, anche a fronte di questa prima pronuncia, sono stati avviati altri procedimenti a carico di agenti di polizia penitenziaria accusati di aver torturato delle persone detenute.

Il 17 febbraio 2021, 10 agenti di polizia penitenziaria della Casa di Reclusione di San Gimignano sono stati condannati per tortura e lesioni aggravate in concorso. Le pene vanno dai 2 anni e 3 mesi ai 2 anni e 8 mesi.

L’episodio oggetto del processo risale all’ottobre del 2018, quando – secondo la ricostruzione del querelante – un detenuto tunisino subì un brutale pestaggio da parte di più agenti nel corso di un cambio di cella. La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Siena, nell’ottobre del 2019, aveva contestato il reato di tortura a 15 agenti del suddetto istituto; 10 di loro sono stati condannati a febbraio del 2021, mentre gli altri 5 sono stati condannati dal Tribunale di Siena il 09.03.2023. In quest’ultimo procedimento, Antigone si è costituita parte civile. Nell’ambito di detto procedimento, peraltro, a novembre del 2020 era stato giudicato con il rito abbreviato anche un medico del carcere, condannato a 4 mesi di reclusione per rifiuto di atti d’ufficio, per non aver visitato e refertato la vittima.

A Torino invece, a seguito delle segnalazioni della Garante comunale Monica Cristina Gallo, 25 funzionari dell’Amministrazione Penitenziaria – di cui 21 agenti, nonché il comandante di reparto, l’allora direttore della Casa Circondariale di Torino e un membro del sindacato di polizia penitenziaria – sono stati rinviati a giudizio perché accusati a vario titolo di tortura e omissione di denuncia, per fatti che sarebbero avvenuti nel carcere “Lorusso – Cotugno” tra il 2017 ed il 2019 ai danni di almeno una quindicina di detenuti ristretti nella sezione dei c.d. sex offenders. A settembre del 2023, a seguito della celebrazione del processo con rito abbreviato, l’ex comandante di reparto è stato assolto dalle accuse a suo carico, l’allora direttore dell’istituto penitenziario di Torino è stato condannato per il reato di omessa denuncia, mentre per un agente di polizia penitenziaria accusato di tortura, il reato è stato riqualificato in abuso di autorità. Per gli altri 22 imputati, i quali hanno scelto il rito ordinario, il procedimento penale al momento risulta ancora in corso.

Inoltre, a seguito delle rivolte del 9 marzo 2020, conseguenti alla chiusura dei rapporti con l’esterno per contenere l’emergenza pandemica, Antigone ricevette diverse segnalazioni in cui venivano denunciati abusi di potere, pestaggi e maltrattamenti

Inoltre, a seguito delle rivolte del 9 marzo 2020, conseguenti alla chiusura dei rapporti con l’esterno per contenere l’emergenza pandemica, Antigone ricevette diverse segnalazioni in cui venivano denunciati abusi di potere, pestaggi e maltrattamenti da parte della Polizia Penitenziaria come punizione alle proteste di quei giorni.

Nel mese di aprile 2020, la nostra associazione è stata contattata da familiari di varie persone detenute presso il reparto “Nilo” della Casa Circondariale di Santa Maria Capua Vetere. I familiari segnalavano presunti abusi, violenze e torture che alcuni detenuti avrebbero subito nel pomeriggio del 6 aprile 2020, come ritorsione per la protesta del giorno precedente, la quale aveva fatto seguito alla notizia secondo cui vi era nell’istituto una persona positiva al coronavirus. I medici avrebbero visitato solo alcune delle persone detenute poste in isolamento, non refertandone peraltro le lesioni. A fine aprile 2020 Antigone ha presentato un esposto per tortura, percosse, omissione di referto, falso e favoreggiamento. A giugno 2020 la Procura fece notificare avvisi di garanzia a 44 agenti di polizia penitenziaria indagati per tortura, abuso di potere e violenza privata. A seguito della prosecuzione delle indagini, il 07.11.2022 dinanzi alla Corte d’Assise di Santa Maria Capua Vetere, è iniziato il processo per imputazione di tortura più importante della storia della nostra Repubblica, con 105 funzionari dell’Amministrazione Penitenziaria accusati a vario titolo di tortura, omissione di denuncia, favoreggiamento, omissione in atti d’ufficio, falsità in atto pubblico e omissione di referto. L’istruttoria dibattimentale invece è iniziata l’08.03.2023.

Sempre nei primi mesi di emergenza pandemica, l’associazione Antigone è stata contattata dai familiari di diverse persone detenute nella Casa Circondariale di Melfi, i quali denunciavano gravi violenze, abusi e maltrattamenti subiti dai propri cari nella notte tra il 16 ed il 17 marzo 2020, verso le ore 3.30, come punizione per la protesta scoppiata il 9 marzo 2020. Le testimonianze raccontavano di detenuti denudati, picchiati, insultati e messi in isolamento. Molte delle vittime sarebbero poi state trasferite e, durante le traduzioni, non sarebbe stato consentito loro di andare in bagno. Inoltre, sarebbero state fatte firmare loro in maniera forzata delle dichiarazioni in cui attestavano di essere cadute accidentalmente. Ad aprile 2020 Antigone aveva presentato un esposto per violenze, abusi e torture. Tuttavia, in assenza di riscontri oggettivi, e soprattutto non essendovi telecamere che avessero documentato i fatti denunciati, il procedimento penale relativo a tali episodi è stato archiviato.

Appare poi meritevole di menzione un’ulteriore vicenda giudiziaria attualmente in corso: il 28 maggio 2022 il Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Perugia ha disposto l’avocazione delle indagini della Procura di Viterbo relativamente al suicidio del detenuto Hassan Sharaf, avvenuto nel carcere di Viterbo a luglio del 2018 dopo che lo stesso era stato trasferito in isolamento. Le indagini in merito ai presunti pestaggi all’interno della Casa Circondariale di Viterbo, a seguito di una serie di archiviazioni da parte della Procura viterbese, sono state quindi assunte dal G.I.P. di Perugia, che al momento sta procedendo per il reato di tortura.

Inoltre, in tempi più recenti vi sono stati altri procedimenti che vedono imputati funzionari dell’Amministrazione Penitenziaria per questo reato: il 14 marzo 2024, il G.U.P. presso il Tribunale di Reggio Emilia ha rinviato a giudizio dieci agenti della polizia penitenziaria del carcere di Reggio Emilia, otto dei quali imputati per tortura e due per lesioni personali gravi, oltreché per falso in atto pubblico, reati commessi nei confronti di un detenuto tunisino di 44 anni.

I fatti risalgono al 3 aprile 2023, quando il detenuto venne incappucciato con una federa, fatto cadere e poi colpito con pugni e calci sul corpo e sul costato e calpestato con gli scarponi; terminato il pestaggio, venne denudato e trascinato di peso in cella. L’intero episodio era stato registrato dalle telecamere interne della sezione detentiva. Nel registro degli indagati erano stati iscritti inizialmente 14 nomi: le restanti quattro posizioni invece sono state momentaneamente stralciate.

Il 18 marzo 2024 nei confronti di dieci agenti della polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Foggia, il Gip ha disposto gli arresti domiciliari per aver partecipato a vario titolo ad un violento pestaggio di due detenuti, compiuto l’11 agosto 2023. I dieci indagati sono accusati in concorso dei reati aggravati di tortura, abuso d’ufficio, abuso di autorità contro arrestati o detenuti, omissione di atti d’ufficio, danneggiamento, concussione, falsità idelogica commessa da un pubblico ufficiale in atto pubblico, distruzione e occultamento di atti veri.

Due giorni dopo, il 20 marzo 2024, il Tribunale di Bari ha condannato cinque agenti di polizia penitenziaria, ritenuti colpevoli di aver brutalmente picchiato e sottoposto ad umiliazioni un detenuto psichiatrico del carcere di Bari il 27.04.2022, dopo che quest’ultimo aveva appiccato il fuoco ad un materasso.

L’associazione Antigone attualmente è parte civile in 5 diversi procedimenti penali che hanno per oggetto violenze, torture, abusi, maltrattamenti o decessi avvenuti in vari istituti penitenziari del Paese. La mappatura dei procedimenti penali attualmente in corso in Italia per il reato di tortura si rende necessaria soprattutto per avere una panoramica quanto più esaustiva del fenomeno, anche al fine di un più efficace monitoraggio delle condizioni detentive in Italia.

In ogni caso, vale la pena sottolineare come l’introduzione dell’art. 613 – bis c.p., contrariamente a quanto paventato da alcuni esponenti politici all’indomani dell’entrata in vigore della L. 110/2017, non ha “legato le mani” alla Polizia Giudiziaria né tantomeno alla Polizia Penitenziaria, al contrario proprio grazie all’introduzione di questa fattispecie di reato oggi è possibile agire penalmente in maniera efficace nei confronti di quei pubblici ufficiali che, abusando della propria autorità e dei propri poteri, offendono la professionalità e l’onore di quanti invece svolgono quotidianamente il loro lavoro nel rispetto della legge e dei diritti della persona.

In quest’ultimo anno tuttavia sono stati vari i tentativi di mettere mano al delitto di tortura, per modificarlo, come il ddl n. 314, o per abrogarlo con il ddl n. 661. Il 2024 si è aperto con le dichiarazioni del Governo di voler introdurre modifiche alla fattispecie. Per questo motivo Antigone assieme ad altre organizzazioni come Amnesty International Italia e A buon diritto, chiediamo che questa legge non venga né modificata, né tantomeno abrogata, e che l’Italia continui a impegnarsi nel perseguire chi si rende colpevole del reato di tortura, così come era stato più volte richiesto al nostro Paese dalla Corte europea dei diritti umani e da altri organismi internazionali, negli anni in cui non si era ancora dotato di una legge in tal senso.