Edilizia penitenziaria

Edilizia penitenziaria

1024 538 Ventesimo rapporto sulle condizioni di detenzione

L’edilizia penitenziaria

Per i giornali e per buona parte dell’opinione pubblica c’è un fenomeno che più degli rileva quando si parla di carcere, a volte trattato come un’emergenza, altre volte come una piaga endemica del nostro sistema penitenziario. Ci riferiamo al sovraffollamento, ovvero al fatto che le carceri quasi sempre ospitano più persone di quante ce ne dovrebbero stare in base alla loro capienza regolamentare.

Si tratta di un dato certamente significativo, che incide sulla vivibilità degli spazi detentivi, ma anche, indirettamente, sulla disponibilità di tutte le altre risorse di cui è fatto il carcere, risorse che, se restano invariate, diventano sempre più scarse mano a mano che il numero dei detenuti, ed il sovraffollamento, crescono. C’è così in proporzione ad esempio meno lavoro, meno opportunità di formazione, ma anche meno possibilità di cura o di ogni genere di interazione con gli operatori.

Nell’immaginario collettivo il problema del sovraffollamento è anzitutto un problema di mancanza di spazi, e la soluzione più scontata appare quella della costruzione di nuove carceri.

Sono osservazioni queste del tutto scontate, ma ciò nonostante nell’immaginario collettivo il problema del sovraffollamento è anzitutto un problema di mancanza di spazi, e la soluzione più scontata appare quella della costruzione di nuove carceri. In realtà come dicevamo sopra, senza più personale e più risorse la disponibilità di maggiori spazi risolve solo in parte il problema, ma la risposta puramente edilizia è fallace anche per altre ragioni.

Una appare puramente logica: se in un contenitore mettiamo in una unità di tempo più “cose” di quelle che nella stessa unità di tempo togliamo, il contenitore prima o poi si riempirà. Se è più grande, ci metterà più tempo a riempirsi, ma se il carcere dovesse rispettare la logica del nostro esempio, il sovraffollamento sarebbe comunque inevitabile.

Il CPT è fermamente convinto che la costruzione di nuove carceri e/o consentire la crescita della popolazione carceraria non fornirà una soluzione duratura al problema del sovraffollamento.

L’altra ragione per cui la risposta puramente edilizia è perdente, è data invece dall’esperienza, che da tempo ci insegna come la crescita della capacità detentiva determina di solito una crescita della popolazione detenuta, più che un calo del sovraffollamento penitenziario. Il concetto è stato ribadito di recente nel 31 rapporto generale del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT): “Il CPT nota inoltre che in alcuni Paesi europei si stanno spendendo ingenti somme per per la costruzione di nuove carceri e/o per l’adozione di politiche di espansione della capacità del patrimonio carcerario. Il CPT è fermamente convinto che la costruzione di nuove carceri e/o consentire la crescita della popolazione carceraria non fornirà una soluzione duratura al problema del sovraffollamento”.

Nonostante questo è comunque utile dare uno sguardo a quanto accaduto negli ultimi anni nel nostro paese su questo fronte, anzitutto per capire meglio cosa intende la politica quando si impegna a costruire nuove carceri. E qual è stato l’esito di questi impegni.

Per farlo, guardiamo all’ultimo documento disponibile sul tema, per leggerlo però “a ritroso”. Dalla Relazione del Ministero sull’amministrazione della giustizia relativa all’anno 2023, presentata in occasione della inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2024, apprendiamo anzitutto che in effetti di nuove carceri non si parla quasi più.

Unica eccezione il riferimento al “nuovo istituto di Pordenone in località San Vito al Tagliamento”, che viene però collocato “in un orizzonte temporale più ampio (che si ritiene poter circoscrivere nell’ambito di un quinquennio)”, e del quale si parla già dagli anni novanta dello scorso secolo, con gare d’appalto finite davanti al Tar e assegnazioni dei lavori poi revocate. Un’operazione che forse prima o poi andrà in porto, ma che certo non ha nulla a che fare con la risposta all’emergenza sovraffollamento.

Sempre in tema di nuove carceri si è poi negli ultimi anni più volte sentito parlare del recupero delle ex caserme come una soluzione alternativa ed innovativa rispetto al bilancio fallimentare di numerosi piani straordinari di edilizia penitenziaria. Ma anche su questo la Relazione gela gli entusiasmi. “A causa di problematiche emerse in sede di pianificazione e progettazione degli interventi previsti … l’unico al quale si è potuto dare ulteriore seguito è quello relativo alla caserma Barbetti”. Le ex caserme dunque diventano una sola ex caserma, la “Barbetti” di Grosseto, e peraltro anche della costruzione di un nuovo carcere a Grosseto si parla almeno dagli anni novanta. E lo scenario non è comunque incoraggiante, viene infatti descritto come “particolarmente complesso in ragione della consistente estensione dell’area che misura circa 154.000 mq e della presenza di ben 32 edifici”.

Niente nuove carceri dunque, neanche nelle ex caserme, nel futuro prossimo, ma nella Relazione si parla invece estesamente della realizzazione di nuovi padiglioni.

Niente nuove carceri dunque, neanche nelle ex caserme, nel futuro prossimo, ma nella Relazione si parla invece estesamente della realizzazione di nuovi padiglioni. Si dice ad esempio che “sono in corso di completamento le attività di collaudo tecnico amministrativo, a cura del competente Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, del nuovo padiglione da n. 92 posti destinato al regime 41-bis presso la Casa circondariale di Cagliari e il padiglione da n. 200 posti della Casa di reclusione di Sulmona”. Ma anche su questi due interventi è utile sapere qualcosa in più.

Anzitutto Cagliari, dove la nuova Casa circondariale di Uta, inaugurata nel 2014, prevedeva già in origine il padiglione per il 41bis che però non era stato ultimato a causa del fallimento della ditta costruttrice. Più che di realizzazione di un nuovo padiglione dunque, si tratta del completamento di una struttura i cui lavori, apprendiamo dalla Relazione dell’Ufficio Tecnico per l’Edilizia penitenziaria e Residenziale del 2008, sarebbero dovuti finire nel 2009.

Quanto a Sulmona, dalla Relazione sullo stato di attuazione del programma di edilizia penitenziaria per l’anno 2015, apprendiamo che “rispetto ai nuovi padiglioni la cui realizzazione era stata prevista dal Piano Carceri, il Commissario Straordinario del Governo per le Infrastrutture Carcerarie ha avviato le procedure per la realizzazione dei 2 nuovi padiglioni da 400 posti da costruirsi presso gli istituti penitenziari dì Milano Opera e Roma Rebibbia, e degli 11 padiglioni da 200 posti presso gli istituti penitenziari di Vicenza, Bologna, Ferrara, Parma, Sulmona, Lecce, Taranto, Trani, Caltagirone, Siracusa, Trapani per un totale di 3000 posti detentivi”.

L’esperienza dell’Ufficio del Commissario straordinario, avviata all’inizio del 2013, si chiudeva dunque con un misero bilancio e strascichi giudiziari, e lasciava in eredità al Ministero i progetti avviati. A quella stagione, e a quella emergenza, sembrerebbe risale dunque l’intervento su Sulmona, ma scavando ancora si può tornare addirittura più indietro, e lo si trova già citato anche nel Piano carceri di Ionta del 2009, data di consegna prevista: giugno 2011.

E la situazione è simile anche per altri padiglioni. Nella Relazione sul 2023 scopriamo che “è prevista, inoltre, la ripresa dei lavori di realizzazione del nuovo padiglione in costruzione presso la Casa di reclusione Milano Opera” e che “entro il 2024 dovrebbe essere inoltre ultimato il nuovo padiglione da n. 400 posti in costruzione presso la Casa circondariale di Roma Rebibbia Nuovo Complesso”. Entrambi lavori, come si vede sopra, che facevano già parte del piano straordinario. E degli altri di quel piano che ne è stato?

Quello di Vicenza, anche questo che già figura nel vecchio Piano Ionta del 2009, è stato aperto nel 2016. Quelli di Siracusa e Trapani, anche loro già nel Piano Ionta, sono stati inaugurati nel 2017. Quelli di Parma, Lecce (anche loro nel Piano Ionta) e Trani e Caltagirone, sono stati aperti nel 2020. Quello di Taranto, anche lui sulla carta almeno dal 2009, è stato aperto nel 2021.

Molti, come a Parma o Trani, inaugurati con grandi resistenze della polizia penitenziaria, che lamentava la carenza di personale adeguato per gestirli.

Infine, sempre dalla nuova Relazione 2023, scopriamo che “entro il 2025 dovrebbero essere, inoltre, ultimati il nuovo padiglione da n. 200 posti dell’istituto di Bologna”, anche questo nel Piano Ionta già dal 2009, e che quello di Ferrara è addirittura finito nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) con decreto legge n. 59 del 2021.

La Relazione prosegue elencando una serie di nuovi padiglioni da realizzare, per lo più legati al PNRR, ma forse è più utile fermarsi qui, a questo sguardo sul passato, che mostra quali siano i tempi e le complessità di realizzazione di nuove infrastrutture, e come queste, nei decenni necessari alla loro realizzazione, ci vengono più volte riproposte come la nuova, imminente risposta all’ultima emergenza in corso.

È invece forse utile in conclusione dare uno sguardo ai numeri.

Negli ultimi 10 anni la capienza del nostro sistema penitenziario è cambiata assai poco, passando dai 49.635 posti regolamentari del 2014 ai 51.179 del 2023.

Come si vede, negli ultimi 10 anni la capienza del nostro sistema penitenziario è cambiata assai poco, passando dai 49.635 posti regolamentari del 2014 ai 51.179 del 2023. Ma come è possibile se, come abbiamo visto, quanto meno alcune nuove strutture, per lo più padiglioni in carceri preesistenti, sono entrate in funzione proprio in questo periodo? A fronte di tutte quelle inaugurazioni abbiamo ricavato solo 1.500 posti?

La risposta è anzitutto che 1.500 posti non sono proprio pochi, ci vogliono molti anni, molti nuovi padiglioni e molti soldi per metterli assieme.

Ma l’altro fattore da tenere presente è che mentre inauguriamo nuove strutture, come è inevitabile ne chiudiamo nel frattempo altre, che il passare del tempo ha reso funzionamente inadeguate e fatiscenti.

In quegli stessi anni abbiamo ad esempio chiuso numerosi OPG, alcuni dei quali non sono stati convertiti in spazi detentivi, come quelli di Reggio Emilia o di Montelupo Fiorentino. Ma abbiamo anche chiuso diverse carceri, da ultime quelle di Savona, Camerino ed Empoli, divenute nel frattempo funzionalmente o strutturalmente inutilizzabili. E anche questo ovviamente continuerà a succedere, come è ovvio nella gestione di un patrimonio di edilizia penitenziaria così ampio, ad oggi composto di ben 189 istituti, e così articolato, per tipologie e periodi di costruzione. Si pensi che almeno il 20% delle nostre carceri è stato costruito prima dell’inizio del secolo scorso, e si tratta di strutture che hanno spesso bisogno di interventi di riorganizzazione radicale.

Chi promette nuove carceri per rispondere all’emergenza sta in fondo dicendo che a lui, o lei, dell’emergenza in corso, non importa poi tanto.

E come si inseriscono in questo quadro i ricorrenti piani straordinari per l’edilizia penitenziaria, pensati per rincorrere il sovraffollamento penitenziario? Forse la storia a questo punto ci insegna che si tratta solo di bugie. Un sistema penitenziario grande ed articolato come il nostro ha una sua evoluzione fisiologica, fatta di nuove strutture che progressivamente vanno a sostituire o a integrare le precedenti, e questo è quanto in questi anni è successo. Il resto, nella interpretazione più benevola è solo propaganda, promesse che si sa che non verranno mantenute, ma che nell’immediato hanno comunque un potere rassicurante. Ma c’è anche una interpretazione meno benevola, per cui chi promette nuove carceri per rispondere all’emergenza sta in fondo dicendo che a lui, o lei, dell’emergenza in corso, non importa poi tanto.