I diritti LGBTQI+ in carcere

I diritti LGBTQI+ in carcere

1024 538 Diciannovesimo rapporto sulle condizioni di detenzione

di Daniela Ronco

Diritti LGBTQI+ in carcere: la difficile affermazione dell’identità di genere tra norme, pratiche e spazi del penitenziario

Premessa: la questione della “gestione” della promiscuità

Il tema della tutela dei diritti delle persone LGBTQI+ detenute da sempre evoca forme di marginalizzazione e spesso di violazione di diritti fondamentali. Se, da un lato, il sistema penitenziario fatica tuttora a garantire il diritto all’affettività e alla socializzazione della popolazione detenuta nel suo complesso, per quanto riguarda nello specifico la questione dell’identità di genere, continua a non riconoscere il diritto all’espressione della sua affermazione, con tutte le criticità che ne derivano (Zago, 2019).

La questione sessuale viene da sempre risolta, nell’ambito penitenziario, attraverso il meccanismo della segregazione sessuale binaria di tipo obbligatorio

I criteri di collocazione delle persone detenute fanno riferimento al sesso di appartenenza che è riportato sui documenti d’identità personale, in una definizione normativa che ricalca una visione binaria che spesso stride con la definizione data in prima persona in merito alla propria identità di genere (Mantovan, Vianello, 2017). La questione sessuale viene da sempre risolta, nell’ambito penitenziario, attraverso il meccanismo della segregazione sessuale binaria di tipo obbligatorio per cui, conseguentemente, le persone transgender non operate vengono, salvo rarissime eccezioni (una di queste eccezioni è rappresentata dalla Casa Circondariale di Firenze Sollicciano, dove si è realizzato l’unico esperimento in Italia di un reparto transgender collocato in un padiglione femminile; cfr. Dias Vieira, Ciuffoletti, 2015), collocate all’interno di sezioni e padiglioni maschili.

Le pratiche di rigida separazione degli spazi detentivi riflettono il fatto che la questione del genere e l’impatto dell’incarcerazione di persone transgender non è mai stata inserita nell’agenda dei policy-makers italiani (Dias Vieira, Ciuffoletti, 2015), bensì il tema è sempre stato affrontato in termini di “gestione” del penitenziario e di risoluzione dei rischi associati alla promiscuità sessuale. Storicamente, le tecniche di riduzione dei rischi implementate attraverso l’isolamento protettivo individuale (tradizionalmente usato per gestire le vulnerabilità e le diversità) sono state nel tempo sostituite dal ricorso alle sezioni promiscue protette (Ciuffoletti 2019). In entrambi i casi, ragioni di sicurezza e protezione vengono poste come il fondamento a spiegazione e giustificazione dell’esclusione e dell’emarginazione che, di fatto, in entrambi i casi viene a crearsi all’interno del penitenziario

I numeri delle persone transessuali detenute

Nel presentare i numeri delle persone transessuali detenute sono necessarie due premesse. La prima è che si tratta di uno spaccato certamente contenuto, rispetto alla popolazione detenuta complessiva, tuttavia ciò non giustifica la sottovalutazione del suo impatto e del suo rilievo: “osservare il dato problematico della questione a partire dalla sua incidenza percentuale rispetto al totale della popolazione detenuta potrebbe aprire al rischio di sottovalutarne l’impatto sia nella sua prospettiva pratica , cioè quanto alla vivibilità delle condizioni carcerarie, sia in chiave teorica, per quanto riguarda la tutela e garanzia dei diritti delle persone transessuali recluse” (Lorenzetti, 2017, 55).

La seconda premessa, di carattere metodologico, riguarda il fatto che i numeri e la collocazione delle persone detenute transessuali è in continua variazione (nota: la descrizione dei risultati di una prima indagine pilota a livello nazionale è contenuta in Chianura, Di Salvo, Giovanardi, 2010). I dati qui presentati rappresentano la fotografia fornita dal primo rapporto sulle donne detenute in Italia pubblicato da Antigone l’8 marzo 2023 (https://www.rapportoantigone.it/diciannovesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/category/sezioni-transessuali/).

    Le persone transgender detenute sono complessivamente 72, di cui:

  • 69 in sezioni protette omogenee riservate a persone transgender
  • 2 collocate in una sezione promiscua Nuovi Giunti
  • 1 collocata in isolamento circondariale
    • Gli istituti che accolgono persone transgender sono 6 e le presenze sono così distribuite:

    • 16 a Rebibbia Nuovo Complesso (su una capienza di 30 posti)
    • 11 a Como
    • 11 a Reggio Emilia
    • 11 a Napoli Secondigliano, di cui 8 collocate nella sezione per persone transgender (su una capienza di 24 posti), 2 collocate nella sezione Nuovi Giunti e 1 collocata in isolamento circondariale
    • 7 a Ivrea (su una capienza di 20 posti)
    • 16 a Belluno (su una capienza di 16 posti)

La sezione di Napoli Secondigliano è stata aperta nell’ottobre 2022, quando è stata trasferita da Napoli Poggioreale per lavori di ristrutturazione.

La protezione, tra paradossi ed evoluzioni

L’analisi dei numeri delle persone transessuali detenute e, in particolare, della loro collocazione spaziale nel penitenziario, evidenzia la sostanziale affermazione della scelta della circuitazione, applicata a partire dalla circolare del 2001 sulle Sezioni cd. “protette” (nota: Circolare DAP n. 500422 del Maggio 2001, Sezioni c.d. “protette”. Criteri di assegnazione dei detenuti: http://win.dirittopenitenziario.it/portale-di-scienze-penitenziarie/circolari/circ_6/500422.pdf). Tali sezioni sono state istituite, si legge nella circolare, per “rispondere ad esigenze di tutela di determinate categorie di detenuti per motivi oggettivamente esistenti ancorché talora connessi a caratteristiche soggettive dei ristretti”, portando come esempio proprio la transessualità. Una delle criticità da tempo riscontrate nell’osservazione degli istituti penitenziari riguarda il fatto che all’interno di tali sezioni sono spesso state collocate persone che esprimevano bisogni di protezione molti diversi tra loro, con l’effetto di rimarcare un marchio di diversità che non tiene conto della complessità dei vissuti e dei percorsi individuali. Questo ha riguardato, ad esempio, la collocazione per un certo periodo di persone transessuali e persone omosessuali dichiarate in un’unica sezione protetta nella casa circondariale di Ivrea, cosa che ha determinato problemi di convivenza e notevoli tensioni che hanno poi spinto l’Amministrazione Penitenziaria a trasferire nel 2016 le persone detenute omosessuali presso una specifica sezione protetta collocata nella casa circondariale di Verbania (Zago, 2019).

L’episodio rappresenta forse soltanto l’apice delle criticità insite nell’utilizzo di sezioni protette per persone che esprimono problemi e bisogni di natura diversa, per cui si arriva al paradosso per cui per proteggere dai rischi della promiscuità si arriva a istituire una sezione a sua volta promiscua (Ciuffoletti 2019).

Altro effetto perverso dell’applicazione delle sezioni protette riguarda la compromissione, da più parti riportata, dei diritti connessi al trattamento penitenziario (nota: si rimanda agli studi di caso realizzati da Dias Vieira e Ciuffoletti, 2015, nella casa circondariale di Sollicciano, Mantovan e Vianello, 2017, negli istituti di Belluno e Napoli; e di Zago, 2019, negli istituti di Ivrea, Verbania e Roma Rebibbia femminile).

La scelta di gestire la collocazione in sezioni protette attraverso “circuiti” (connotati dal carattere dell’informalità), anziché attraverso “regimi” (che invece formalizzano la limitazione del diritto all’uguaglianza di accesso al trattamento), non si traduce, nella materialità della condizione detentiva, nel godimento del pieno diritto al trattamento, anzi, può rivelarsi di fatto come una condizione punitiva.

I rischi di isolamento e di compromissione del diritto al trattamento sono stati oggetto di discussione sia degli Stati Generali dell’Esecuzione Penale (nota: cfr. in particolare il tavolo 2: Vita detentiva. Responsabilizzazione del detenuto, circuiti e sicurezza, https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_2_19_1_2.page?previsiousPage=mg_2_19_1), che della riflessione sul punto del Garante Nazionale, espressosi da tempo a favore di un modello dinamico che possa coniugare una separazione notturna e un’offerta trattamentale comune diurna da svolgersi senza alcuna discriminazione, in modo da superare gli effetti perversi dell’isolamento protettivo.

In linea con tali tendenze interpretative, anche la significativa decisione del Magistrato di Sorveglianza di Spoleto che ha accolto il ricorso ex art. 35bis presentato da una persona detenuta, richiamando, nella motivazione della sentenza, l’art. 14 o.p. secondo cui “l’assegnazione dei detenuti e degli internati per i quali si possano temere aggressioni o sopraffazioni da parte della restante popolazione detenuta, in ragione solo dell’identità di genere o dell’orientamento sessuale, deve avvenire, per categorie omogenee, in sezioni distribuite in modo uniforme sul territorio nazionale, previo consenso degli interessati, i quali, in caso contrario, saranno assegnati a sezioni ordinarie. È in ogni caso garantita la partecipazione ad attività trattamentali, eventualmente anche insieme alla restante popolazione detenuta.” (vedi Ord. n. 2407/2018 Magistrato di Sorveglianza di Spoleto: https://www.giurisprudenzapenale.com/wp-content/uploads/2019/09/ordinanza_spoleto.pdf). Con tale sentenza il Magistrato ha quindi anche dichiarato l’incompatibilità con l’attuale assetto normativo della prassi di inserire persone che temono discriminazioni per via dell’orientamento sessuale o dell’identità di genere all’interno di sezioni protette promiscue (cfr. anche il commento di Alessandra Rossi pubblicato sul precedente Rapporto, 2022 dal titolo “I diritti LGBT+ : Il carcere alla prova del principio di non discriminazione verso la differenza sessuale e di genere” https://www.rapportoantigone.it/diciottesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/i-diritti-lgbt-in-carcere/)

Conclusioni

Un carcere prevalentemente maschile e connotato da una sempre marcata distinzione binaria tra i sessi, unitamente ai numeri contenuti delle persone transgender detenute, fanno sì che le stesse siano trattate come “eccezioni” all’interno del sistema penitenziario.

L’essere percepiti e trattati come “eccezione” dentro al carcere non va inteso in termini di opportunità di accedere a una condizione per vari aspetti privilegiata, bensì, al contrario, significa rischiare o sperimentare forme di pluri-stigmatizzazione ed emarginazione, maggior fatica ad esercitare i propri diritti, subire, complessivamente, una carcerazione ancor più afflittiva

L’essere percepiti e trattati come “eccezione” dentro al carcere non va inteso in termini di opportunità di accedere a una condizione per vari aspetti privilegiata, bensì, al contrario, significa rischiare o sperimentare forme di pluri-stigmatizzazione ed emarginazione, maggior fatica ad esercitare i propri diritti, subire, complessivamente, una carcerazione ancor più afflittiva. La marginalità sociale vissuta nel penitenziario, peraltro, spesso accompagna percorsi di emarginazione già sperimentati all’esterno e verso i quali con grande probabilità si farà ritorno una volta scontata la pena.

L’interesse, normativo, giurisprudenziale, di ricerca, nei confronti dell’impatto della detenzione sui percorsi di vita delle persone transessuali si è sviluppato solo di recente e resta molta strada da fare per arrivare ad una piena affermazione dei diritti e per rispondere in maniera adeguata ai bisogni espressi. Colmare la lacuna di una formazione specifica verso l’inclusione, che utilizzi un approccio intersezionale al tema, “in grado di riconoscere l’interazione tra identità di genere, classe sociale e appartenenza etnica” (Mantovan, Vianello, 2015, p. 55) sembra essere la principale sfida che l’attuale sistema penitenziario ha di fronte per ridurre quel divario tra l’uguaglianza e la parità di accesso ai diritti in carcere e le concrete condizioni di detenzione sperimentate dalle persone detenute transessuali.

Bibliografia

CHIANURA L, DI SALVO G. & GIOVANARDI G., Detenute transgender clandestine negli istituti penitenziari italiani: un’indagine pilota, in Ecologia della mente- rivista interdisciplinare per la costruzione di un comportamento terapeutico, 2011, Roma, n. 2, pp. 220-238.

CIUFFOLETTI S., Carcere e Antidiscriminazione. Prime prove di tutela dei diritti a fronte della (dimidiata) riforma dell’ordinamento penitenziario, in GenIUS – Rivista di Studi Giuridici sull’Orientamento Sessuale e l’Identità di Genere, 2-2019

DIAS VIEIRA A., CIUFFOLETTI S., REPARTO D: Un Tertium Genus Di detenzione? Case-study sull’incarceramento di persone transgender nel carcere di Sollicciano, in Rassegna Penitenziaria e Criminologica 1-2015, pp. 159-207

LORENZETTI A., Carcere e transessualità: la doppia reclusione delle persone transgeneri, in Genius, luglio 2017 anno IV, numero 1, pp. 53-68.

MANTOVAN C., VIANELLO F., Detenute e transgender: tra riconoscimento e normalizzazione. Le sezioni protette di Belluno e Napoli Poggioreale, in Antigone 2/2017, pp. 53-84

ROSSI A., I diritti LGBT+ : Il carcere alla prova del principio di non discriminazione verso la differenza sessuale e di genere”, in “Il carcere visto da dentro. XVIII Rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione” (https://www.rapportoantigone.it/diciottesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/i-diritti-lgbt-in-carcere/)

ZAGO G., Declinazioni del principio di dignità umana per i detenuti queer: sessualità e identità di genere nel sistema penitenziario italiano, in Giurisprudenza penale web, 2019, 2-bis – Affettività e carcere: un binomio (im)possibile?, pp. 1-30.