Detenuti LGBT

Detenuti LGBT

1024 538 Ventesimo rapporto sulle condizioni di detenzione

di Daniela Ronco

Carcere, intersezionalità, identità di genere: l’impatto della detenzione sulle persone LGBT+

Identità di genere e processi di criminalizzazione

A livello globale, ottenere dati e informazioni sui numeri delle persone LGBT+ in carcere è molto difficile, per via della frequente marginalità che ne caratterizza le biografie, dentro o fuori dal carcere. Questo spesso si traduce in carenze nella presa in carico di bisogni o nella realizzazione di attività trattamentali: essendo le informazioni solo frammentate o parziali, spesso le autorità si trovano a prendere decisioni e programmare interventi sulla base di senso comune e pregiudizi, come ha evidenziato l’UN Independent Expert on protection against violence and discrimination based on sexual orientation and gender identity nel 2019.1)

Il Global Prison Trends 2023 fornisce pochi dati su alcuni specifici contesti territoriali: a titolo esemplificativo, il report evidenzia la presenza di 90.000 persone che si identificano come lesbiche, gay o bisessuali nelle prigioni americane (sia prisons che jails), 6.000 persone che si identificano come transgender (sempre negli Stati Uniti, ma esclusivamente nelle prisons, mancano invece dati sulle jails), 230 persone transgender nelle prigioni di Inghilterra e Galles, 91 persone transgender nei penitenziari indiani, 1.701 persone appartenenti alla comunità LGBT+ nelle prigioni colombiane (pari allo 0,9% del totale della popolazione detenuta nel paese).2)

I pochi dati a disposizione sono il risultato di una evidente e diffusa frammentazione nella raccolta, ma, al contempo, mostrano una significativa sovra-rappresentazione delle persone LGBT+

I pochi dati a disposizione sono il risultato di una evidente e diffusa frammentazione nella raccolta, ma, al contempo, mostrano una significativa sovra-rappresentazione delle persone LGBT+ all’interno dei penitenziari di molti paesi3). Come hanno evidenziato Day e Gill4), spesso osserviamo il convergere di bassi livelli di istruzione, condizioni socio-economiche precarie, legami familiari fragili, dunque un quadro complessivo di vulnerabilità strettamente connessa all’intersezionalità legata a classe, razza, appartenenza etnica e identità di genere. Al di là di forme di criminalizzazione5) specifiche legate in alcuni paesi all’identità di genere o al sex work, le persone LGBT+ spesso sperimentano fuori dal carcere varie forme di discriminazione (ad esempio nella ricerca di casa e lavoro) che possono contribuire ad aumentare le probabilità di finire nelle maglie della giustizia penale e dunque di essere oggetto di processi di criminalizzazione. Questo vale per tutte le fasi, dall’incontro con le agenzie di controllo, fino all’esecuzione penale interna o esterna al carcere.

La discriminazione contro le persone LGBT+ si verifica lungo un continuum che va dall’invisibilità a comportamenti palesemente discriminatori, compresi abusi verbali e fisici.

Al contempo, tuttavia, l’invisibilità all’interno della quale le persone LGBT+ si trovano a vivere la detenzione, spesso determina un significativo livello di “sommerso” che, ancora una volta, non consente di avere una corretta fotografia della questione dell’identità di genere nel penitenziario e, conseguentemente, determina la possibilità di sottovalutare i rischi di discriminazione e violenza cui è possibile incorrere all’interno del carcere. All’interno del contesto penitenziario, la discriminazione contro le persone LGBT+ si verifica lungo un continuum che va dall’invisibilità a comportamenti palesemente discriminatori, compresi abusi verbali e fisici6).

Circuitazione e rischi di isolamento delle persone transessuali: i dati sull’Italia

Il caso italiano non si discosta dal panorama internazionale in quanto a frammentarietà nella raccolta dati e ricostruzione del fenomeno. Nel primo rapporto di Antigone sulle donne detenute in Italia, pubblicato nel 20237), sono raccolti i dati sulle persone transessuali, complessivamente 72 in tutta Italia, collocate in 6 istituti (Roma Rebibbia, Como, Reggio Emilia, Ivrea, Belluno e Napoli Secondigliano). Tanto i numeri quanto la collocazione delle persone transgender risultano in continua evoluzione, ma restano uno spaccato piuttosto contenuto rispetto alla popolazione detenuta complessiva8). Diverso è il caso della popolazione LGBT+ complessivamente intesa, per la quale è sostanzialmente impossibile avere una fotografia minimamente rappresentativa. Il Dipartimento Amministrazione Penitenziaria ha tentato ad esempio di tracciare la categoria omosex facendo riferimento esclusivamente a omosessuali maschi dichiarati, registrando, nel febbraio 2022, 64 persone9). Si tratta evidentemente di un dato ben poco significativo. Al di là delle difficoltà di classificazione che derivano dalla complessità dell’identità di genere, il contesto penitenziario è pervaso da regole, formali e informali, che disegnano un modello fondato sull’iper-mascolinità e su un sistema binario da cui è difficile uscire, con un’inevitabile compromissione dell’affermazione e della libertà di espressione della propria identità di genere.

Il numero contenuto di persone individuate negli isolati tentativi di mappatura non deve dunque indurre a pensare che si tratti di una questione marginale o di scarso rilievo all’interno del sistema penitenziario. Se, da un lato, non è facile ricostruire il fenomeno in tutte le sue complesse sfaccettature, dall’altro lato i rischi di discriminazione risultano particolarmente elevati. Da questo punto di vista, i processi, formali e informali, di circuitazione attorno a cui il nostro sistema penitenziario è venuto progressivamente a modellarsi10), hanno determinato, nel caso specifico della gestione delle questioni di genere dentro al penitenziario, una precisa divisione improntata sul sistema binario, che vede l’affermarsi della rigida separazione maschio/femmina e che individua in sezioni apposite situate in reparti maschili la principale collocazione delle persone detenute transgender11).

Il dibattito attorno alle giustificazioni utilizzate per realizzare e mantenere la separazione (la protezione da possibili soprusi) e i rischi della stessa (l’isolamento e la privazione di vari diritti) richiama la più ampia distinzione tra normalizzazione /
segregazione

Il dibattito attorno alle giustificazioni utilizzate per realizzare e mantenere la separazione (la protezione da possibili soprusi) e i rischi della stessa (l’isolamento e la privazione di vari diritti) richiama la più ampia distinzione tra normalizzazione/segregazione che, come ben emerge dall’attività di osservazione, risulta sempre più sbilanciata sulla seconda e, dunque, sulla e separazione sul confinamento di gruppi sociali ritenuti, per diverse ragioni, di difficile “gestione”.

L’impatto della detenzione su salute e benessere delle persone transessuali

Le discriminazioni subite dalle persone transessuali dentro al penitenziario impattano quindi significativamente sulla loro salute e sul loro benessere, intesi tanto dal punto di vista fisico, che psichico che sociale, anche tenendo conto della interrelazione tra i tre aspetti.

Una seconda criticità che riguarda specificatamente il penitenziario ha a che fare invece con la possibilità di garantire la continuità delle cure

Partendo dal modello biomedico di salute, la legge 164/1982 ha previsto la possibilità per la persona transessuale di modificare il proprio sesso anagrafico sulla base della propria identità di genere. In seguito, vari tribunali hanno iniziato ad autorizzare la rettifica dei dati anagrafici senza la necessità di sottoporsi al trattamento chirurgico, definendo così come prioritario il diritto alla salute e la possibilità per la persona di esprimere la propria identità di genere senza sottoporsi ad interventi. Parallelamente, si sono diffuse le terapie ormonali sostitutive, ossia l’assunzione di ormoni femminilizzanti o mascolinizzanti per modificare i tratti sessuali secondari. A partire dal 2020 l’Italia si è allineata al contesto europeo, stabilendo che tali terapie diventassero a totale carico del Servizio Sanitario Nazionale e dunque gratuite per i richiedenti. Dall’osservazione del contesto penitenziario emergono almeno due grandi criticità rispetto all’esercizio di tale diritto in carcere. La prima riguarda l’accesso ai centri specializzati nell’elargire questo tipo di servizio: questi centri sono pochi e si rileva quella situazione a mappa di leopardo che riflette la regionalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale e dunque differenze territoriali in termini di tempistiche e criticità di carattere organizzativo per l’invio nelle strutture carcerarie di esperti endocrinologi e altri specialisti. Una seconda criticità che riguarda specificatamente il penitenziario ha a che fare invece con la possibilità di garantire la continuità delle cure, tanto in ingresso (per chi abbia già avviato un percorso e vuole portarlo avanti dentro al carcere), quanto in uscita (per le difficoltà a tenere agganciate le persone all’uscita dal carcere, come nel caso di persone straniere con procedimenti di espulsione in atto), quanto durante la stessa detenzione, dove i trasferimenti tra istituti non sono infrequenti e possono determinare interruzioni e ostacoli ai percorsi di cura e trattamento.

Il riferimento ad una dimensione di salute in senso prettamente “biomedico”, tuttavia, rischia di non cogliere la complessità dei percorsi di transizione, che non necessariamente vanno identificati nel sistema binario in cui molte persone non si riconoscono (non a caso si parla più opportunamente di affermazione di genere, anziché di transizione di genere). Per questo in generale tali percorsi andrebbero accompagnati da equipe multiprofessionali (non esclusivamente mediche). Questo pare piuttosto problematico in un contesto penitenziario, per almeno due fattori. Innanzitutto, nel caso di persone detenute, occorre considerare il più generale drammatico impatto della detenzione, che incide su questi percorsi per via dell’aumento del malessere e del disagio psichico (espresso ad esempio dai numerosi eventi critici, autolesionismo in primis) legati alla privazione della libertà e alla durezza della condizione detentiva. In secondo luogo, tra le figure istituzionali previste dal sistema penitenziario per monitorare il benessere psichico sono presenti in genere soltanto psichiatri e psicologi, che peraltro sono notoriamente in grande sofferenza in termini numerici complessivi e nel rapporto ore/paziente. Si tratta evidentemente di una rilevante criticità che riguarda tutto il penitenziario. Quello che qui emerge è una concreta manifestazione della grande difficoltà del penitenziario a garantire percorsi individualizzati, soprattutto se consideriamo che i percorsi di transizione non sono uguali per tutti.

Accade spesso in carcere che uno specifico stato di malessere venga associato al contempo a dipendenze, disagio psichico, patologie di vario tipo, non infrequenti nel contesto penitenziario

Se consideriamo, infine, le rappresentazioni sociali della salute e della malattia, ossia il significato che gli altri attribuiscono ad una specifica condizione e al modo in cui viene percepito chi si trovi in quella condizione, può accadere che la persona vada incontro a varie forme di stigmatizzazione. Accade spesso in carcere che uno specifico stato di malessere venga associato al contempo a dipendenze, disagio psichico, patologie di vario tipo, non infrequenti nel contesto penitenziario, per cui spesso la persona detenuta va incontro a plurimi e intricati processi di stigmatizzazione.

L’istituzione penitenziaria spesso fatica a trattare queste plurime criticità, per cui, oltre alla medicalizzazione, ossia la gestione demandata all’area sanitaria, la risposta più frequentemente messa in atto è quella della collocazione in sezioni apposite, quella tendenza ad allocare le persone detenute a seconda della specifica “categoria” di appartenenza (tossicodipendenti in trattamento, circuito protetti, ecc.). È in tale cornice generale che sono venute a crearsi negli anni anche le sezioni protette destinate alle persone LGBT+. L’obiettivo formale che sta dietro alla circuitazione in generale, si è visto, è spesso quello di “proteggere” le persone qui ristrette (soprattutto da eventuali sopraffazioni che si ritiene altre persone detenute potrebbero mettere in atto) o offrire un trattamento (sanitario o penitenziario) più efficace. Nel caso specifico delle persone LGBT+, così come in molti altri casi, tuttavia, è possibile che si sviluppi un effetto perverso duplice: da un lato, un surplus di stigmatizzazione nei confronti di queste persone (detenute e collocate in una sezione protetta); dall’altro lato, una rilevante limitazione nell’accesso alle attività trattamentali, per la difficoltà ad organizzare attività per numeri in genere limitati di persone e l’impossibilità a partecipare ad attività previste per la popolazione detenuta comune. Tutto ciò può così tradursi in un surplus di afflittività della pena e in un aumento di malessere per la persona.

La discriminazione e i rischi di abusi e violenze impattano dunque evidentemente sulla salute e sul benessere psico-fisico delle persone detenute. Nonostante il crescente riconoscimento della necessità di identificare e proteggere gruppi potenzialmente vulnerabili negli ambienti carcerari, c’è ancora bisogno di comprendere più approfonditamente le esigenze delle persone LGBT+. Nel contesto italiano, ad esempio, a fronte di un crescente impegno dell’associazionismo e dell’attivismo nell’evidenziare i rischi di discriminazione e violenza a cui le persone LGBT+ detenute possono andare incontro, resta carente un’attenzione specifica, da parte della ricerca ad esempio, volta a ricostruire il punto di vista delle persone coinvolte, sia per quanto riguarda i propri bisogni, sia per ciò che concerne le aspettative e gli auspici su come fronteggiare la propria condizione di vulnerabilità.

References

References
1 https://www.penalreform.org/global-prison-trends-2021/lgbtq-people-in-prison/
2 Fernandes, F. L., Kaufmann, B., & Kaufmann, K. (2021), LGBT+ People in Prisons: Experiences in England and Scotland (Executive Summary). University of Dundee, https://doi.org/10.20933/100001166
3 Majd K., Marksamer J., Reyes C. (2009), Hidden injustice: Lesbian, Gay, Bisexual and Transgender Youth in Juvenile Courts. Legal Services for Children, National Juvenile Defender Center, and National Center for Lesbian Rights, http://www.equityproject.org/wp-content/uploads/2014/08/hidden_injustice.pdf
4 Day, A. S. and Gill, A. K. (2020). Applying Intersectionality to Partnerships between Women’s Organizations and the Criminal Justice System in Relation to Domestic Violence. The British Journal of Criminology, 60(4):830-850.
5 https://www.aclu.org/news/lgbtq-rights/pride-has-always-been-about-ending-mass-incarceration
6 White-Hughto J.M., Clark K.A., Altice F.L., Reisner S.L., Kershaw T.S., Pachankis J.E. (2018), Creating, reinforcing, and resisting the gender binary: A qualitative study of transgender women’s healthcare experiences in sex-segregated jails and prisons. Int. J. Prison. Health, 14:69–88.
7 https://www.rapportoantigone.it/primo-rapporto-sulle-donne-detenute-in-italia/category/sezioni-transessuali/, dati all’8 marzo 2023.
8 Ronco D., (2023), Diritti LGBTQI+ in carcere: la difficile affermazione dell’identità di genere tra norme, pratiche e spazi del penitenziario, Diciannovesimo Rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione, https://www.rapportoantigone.it/diciannovesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/i-diritti-lgbtqi-in-carcere/
9 Rossi A. (2022), I diritti LGBT+ : Il carcere alla prova del principio di non discriminazione verso la differenza sessuale e di genere, Diciottesimo Rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione,  https://www.rapportoantigone.it/diciottesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/i-diritti-lgbt-in-carcere/
10 Cfr. nello specifico il numero monografico di Antigone 2-2017 curato da Simone Santorso e Francesca Vianello (https://www.antigone.it/archivio-rivista#parentVerticalTab14)
11 Ciuffoletti S. (2019), Carcere e Antidiscriminazione. Prime prove di tutela dei diritti a fronte della (dimidiata) riforma dell’ordinamento penitenziario. GenIUS – Rivista di Studi Giuridici sull’Orientamento Sessuale e l’Identità di Genere, 2